[Cerchio] Privacy a rischio, sorveglianza in aumento

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Autore: clochard
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Oggetto: [Cerchio] Privacy a rischio, sorveglianza in aumento
20 Settembre 2004 - Brainstorm

Privacy a rischio, sorveglianza in aumento
      di Bernardo Parrella


Dalla Database Nation a una complessa rete di telecamere a Chicago.
Diventeremo una folla davvero nuda?












Meno privacy e più sorveglianza, in cambio di una maggiore sicurezza. E
ancora, meno privacy pur di avere servizi commerciali e condizioni
d'acquisto migliorati. Equiparazioni divenute quasi la norma, soprattutto in
quel mondo angloamericano che fino a poco tempo fa era campione della
riservatezza personale. Ormai non ci stupisce più di nulla: la Database
Nation è una realtà di fatto, come già riportato qui un paio di mesi
addietro. Mentre, a parte una sparuta manciata di attivisti e nostalgici,
tutti paiono accettare la diffusione di telecamere strategicamente
disseminate nelle aree metropolitane. Stavolta tocca a Chicago, il cui
sindaco ha appena annunciato implementazione di un cospicuo network di
sorveglianza che ha come target i luoghi pubblici più frequentati. E non è
che l'ultimo esempio di un trend in rampante ascesa.

Il progetto prevede l'installazione, entro la primavera 2006, di 2.000
telecamerine collegate a una rete che gira su un apposito software in grado
di allertare prontamente le autorità in caso di attività sospette o
situazioni d'emergenza. I responsabili cittadini si sono rifatti all'analoga
iniziativa da tempo attivata tra hotel e casinò di Las Vegas. Anche l'area
di Baltimora sta studiando qualcosa di simile, mentre svariate città USA vi
ricorrono in occasione di grandi eventi che richiamano grandi folli in
parchi e strade cittadine. Senza dimenticare il vasto network di
sorveglianza da tempo operante a Londra: alcune stime riportano che il
londinese medio viene controllato da 300 telecamere al giorno. Una serie di
premesse che consentono al sindaco di Chicago di affermare: "Le telecamere
sono l'equivalente di centinaia di paia di occhi. È la cosa più vicina ad
avere poliziotti che stazionano ad ogni possibile angolo pericoloso."

Il sistema verrà collegato alle attuali 30 telecamere in dotazione ad
altrettanti ufficiali dediti specificamente alla repressione dei crimini
violenti, e agli oltre 1.000 apparati che operano già all'O'Hare
International Airport, nei trasporti pubblici e in spazi pubblici quali
scuole e complessi residenziali. Le telecamere non verranno tutte monitorate
contemporaneamente, ma ci penserà il software a dare la sveglia nel caso di
attività fuori dall'ordinario, tipo borse abbandonate nel metrò o
autoveicoli che si fermano improvvisamente sulla tangenziale. I vari
responsabili si metteranno così davanti al video e attiveranno le necessarie
misure di intervento. L'ampiezza di questa inter-operabilità è qualcosa di
mai tentato finora in USA: non a caso il progetto viene finanziato, per un
preventivo superiore ai 5 milioni dollari, dalla Federal Homeland Security.

Problemi di privacy? Macchè, tagliano corto i responsabili: le telecamere
verranno installate solo in aree pubbliche, dove sostanzialmente la polizia
ha già il diritto a sorvegliare e intervenire se del caso. E fin qui
potrebbe anche andare, almeno sulla carta. Peccato che poi si viene a sapere
che anche delle aziende private avranno accesso alle immagini del network.
Motivo? Per raggranellare qualche spicciolo, anzi, tanti, pur se ancora non
si danno tariffe. La perfetta combinazione tra settore pubblico e privato
per garantire il massimo della sicurezza. D'altronde è noto come oggi gli
americani non ci pensino su due volte "ad andare in giro nudi" se ciò li fa
sentire più sicuri, almeno nelle intenzioni e nei messaggi diffusi dal
governo. È questa la tesi di un libro uscito qualche mese fa, intitolato
proprio "The Naked Crowd" (La folla nuda), in cui Jeffrey Rosen spiega come,
dopo l'11 settembre 2001, si sia disposti a tutto pur di sentirsi più
sicuri, ben al di là della situazione reale.

Professore di legge presso la George Washington University, l'autore del
volume così inquadra la situazione in una intervista apparsa su Wired News:
"Quel che interessa alla gente non è la privacy di per sé, ma il controllo
sulle condizioni della propria esposizione pubblica. Gli stessi che
affermano di non voler subire abusi dei dati personali sono perfettamente
contenti avere webcam in giro. E quanti resistono alle telecamere di
sorveglianza appaiono relativamente favorevoli a capitolare davanti al
direct marketing in base alla teoria che in cambio ne ricaveranno dei
benefici. Tutte queste non sono altro che sensazioni di controllo illusorie,
tuttavia, e a meno che la gente non si preoccupi abbastanza della privacy
così da tutelare innanzitutto la propria, non saranno in grado di
abbracciare l'impegno politico necessario per resistere a forme intrusive di
sorveglianza governativa e privata. Spesso soltanto quando l'abuso dei dati
personali viene allo scoperto le persone comprendono i pericoli nel
diffonderli, ma a quel punto è troppo tardi".

E rispetto alla (presunta) sicurezza di progetti tipo quello di Chicago,
Rosen spiega come queste tecnologie possano tornare utili nel senso che
calmano la gente, sono semplici e relativamente poco costose. Eppure,
aggiunge, "qualsiasi beneficio psicologico possano avere, viene superato dal
fatto che finiscono per distrarre l'attenzione dalla ricerca di risposte al
terrorismo che funzionino davvero". Mettendo infine sull'avviso che comunque
sia non è il caso di aderire a posizioni come quella espressa tempo fa da
Scott McNealy (CEO di Sun Microsystems) per cui "abbiamo già zero privacy,
meglio scordarsene". Perché, attenzione, la riservatezza rimane un
fondamentale diritto sociale ed è cruciale impegnarsi per tutelarla e
garantirla, attivando soprattutto le necessarie norme o modifiche
legislative.
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