[Consumo critico - Milano Social Forum] Chi è Negroponte Amb…

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Author: xawcos@tin.it
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Subject: [Consumo critico - Milano Social Forum] Chi è Negroponte Ambasciatore USA in Irak?
L'anima nera: un Negroponte per Baghdad
NOAM CHOMSKY
Un principio morale che non deve provocare controversie è quello dell'universalità:
dobbiamo applicare a noi gli stessi standard che applichiamo agli altri.
E, sicuramente, con più zelo. In generale, se gli stati hanno il potere
di agire con impunità, rifiutano i principi morali, dato che sono loro che
stabiliscono le regole. Questo è un nostro diritto se ci consideriamo esenti
dal principio di universalità. E lo facciamo costantemente. Tutti i giorni
sorgono nuovi esempi. Soltanto il mese scorso, John Negroponte (nella foto
Ap) è arrivato a Baghdad come ambasciatore degli Stati uniti in Iraq, per
guidare la missione diplomatica più grande del mondo. La sua intenzione
era consegnare la sovranità agli iracheni al fine di mettere in pratica
la «missione messianica» di George W. Bush di istaurare la democrazia in
Medio Oriente e nel mondo. Al meno è quello che ci è stato solennemente
detto.

Nessuno però può trascurare un orribile precedente: Negroponte imparò il
suo mestiere di ambasciatore degli Stati uniti nell'Honduras degli anni
`80, durante la prima guerra contro il terrorismo che i sostenitori di Ronald
Reagan dichiararono in Centramerica e in Medio Oriente.

In aprile, Carla Anne Robbins, del Wall Street Journal, ha scritto un articolo
sulla nomina di Negroponte in Iraq, dal titolo «Un proconsole moderno».
In Honduras, Negroponte era conosciuto come «el procónsul», titolo dato
ai potenti governanti dell'epoca coloniale. Là era a capo della seconda
ambasciata più grande dell'America latina, dov'era insediata anche la più
grossa sede al mondo, in quell'epoca, della Cia. E non era perché l'Honduras
fosse il centro del potere mondiale.

Robbins ha sottolineato che Negroponte era stato criticato da attivisti
di organismi di difesa dei diritti umani per avere «coperto gli abusi dell'esercito
honduregno», eufemismo per riferirsi al terrorismo di Stato su grande scala,
al fine di «assicurare il flusso degli aiuti statunitensi» a quel paese
vitale in quanto «base per la guerra occulta del presidente Reagan contro
il governo sandinista del Nicaragua».

La guerra occulta fu scatenata dopo che la rivoluzione sandinista prese
il controllo del Nicaragua. Il timore di Washington era che nel paese centramericano
potesse nascere una seconda Cuba. In Honduras, il compito del proconsole
Negroponte era di curarsi delle basi in cui un'esercito di mercenari terroristi,
i contras, veniva addestrato, armato e inviato a sconfiggere i sandinisti.
Nel 1984, il Nicaragua rispose in modo corretto, come uno Stato rispettoso
della legge: portò il caso contro gli Stati uniti alla Corte internazionale
di giustizia dell'Aja.

La corte ordinò agli Stati uniti di smettere con «l'uso illegale della forza»,
oppure, per dirla in parole chiare, con il terrorismo internazionale contro
il Nicaragua , e di pagargli sostanziosi risarcimenti. Ma Washington ignorò
la Corte e poi pose il veto a due risoluzioni del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni unite nelle quali si appoggiava la decisione e si esigeva
che tutti gli stati rispettassero la legge internazionale.

Il consulente legale del Dipartimento di Stato, Abraham Sofaer, spiegò la
logica della Casa bianca. Dal momento che la maggior parte del mondo «non
condivide il nostro punto di vista», dobbiamo «riservarci il potere di decidere»
come agiremo e quali problemi «spettino essenzialmente alla giurisdizione
degli Stati uniti, così come decidano gli stessi Stati uniti». In questo
caso, le operazioni in Nicaragua condannate dalla Corte.

Il disprezzo di Washington per il verdetto della Corte e la sua arroganza
verso la comunità internazionale sono forse rilevanti in relazione all'attuale
situazione in Iraq.

La campagna nel Nicaragua lasciò una democrazia succube a un prezzo incalcolabile.
Le morti dei civili sono state calcolate in decine di migliaia. Secondo
Thomas Carothers, importante storico specializzato nei processi di democratizzazione
in America latina, il numero dei morti «è in proporzione molto più alto
del numero di statunitensi morti durante la guerra civile negli Stati uniti
e in tutte le guerre del XX° secolo messe assieme».

Carothers scrive dal punto di vista di conoscitore profondo, oltre che erudito,
dato che lavorò al Dipartimento di Stato nell'epoca di Reagan durante il
programma di «rafforzamento della democrazia» in America centrale.

I programmi dell'era di Reagan sono stati «sinceri», anche se «fallirono»,
secondo Carothers, dato che Washington poteva tollerare soltanto «cambiamenti
democratici molto limitati e dal alto verso il basso, al fine di non mettere
in pericolo le strutture tradizionali del potere con cui gli Stati uniti
erano alleati da molto tempo». Si tratta di una familiare inibizione storica
nella ricerca di miraggi di democrazia, che gli iracheni sembrano capire
anche se noi non lo facciamo.

Attualmente il Nicaragua è il secondo paese più povero dell'emisfero (prima
di Haiti, altro principale obiettivo degli interventi militari statunitensi
durante il secolo XX).

Circa il 60% dei bambini nicaraguensi al di sotto dei due anni sono affetti
da anemia a causa della denutrizione. Uno dei più cupi indicatori di quella
che si considera una vittoria della democrazia.

Il governo di George W. Bush assicura di voler portare la democrazia in
Iraq, utilizzando lo stesso esperto funzionario che utilizzò in Centramerica.

Durante le sedute per la conferma di Negroponte, la campagna terroristica
internazionale in Nicaragua è stata ricordata solo di passaggio, ma non
è stata considerata di particolare importanza, grazie al fatto, sembra,
che noi siamo gloriosamente esenti dal principio di universalità.

Diversi giorni dopo la designazione di Negroponte, l'Honduras ha ritirato
il suo piccolo contingente militare dall'Iraq. Sarà stata una coincidenza.
O forse gli honduregni si sono ricordati di qualcosa del periodo nel quale
Negroponte lavorò lì. Qualcosa che noi preferiamo dimenticare.