Simona Torretta e Simona Pari, anatomia di un rapimento
(in odore di servizi segreti...)
Quando Simona Torretta ritornò a Baghdad nel marzo 2003 nel bel mezzo dei bombardamenti, i suoi amici iraqeni salutandola le dissero che era pazza: "Erano così sorpresi di vedermi, mi dissero, perchè sei tornata qui. Torna in Italia, sei pazza!". ma Simona Torretta non tornò in Italia. Rimase durante l'invasione, continuando la missione umanitaria che aveva iniziato nel 1996, quando per la prima volta visitò l'Iraq con l'ong "anti-sanzioni" Un Ponte Per Baghadad. Quando Baghadad cadde nelle mani degli americani, Simona decise comunque di restare, questa volta per portare medicinali alla popolazione sofferente per l'occupazione militare. Sempre dopo che la resistenza iraqena iniziò a colpire gli stranieri e i giornalisti internazionali, mentre gli operatori umanitari fuggivano, Simona tornò ancora. "Non posso restare in Italia"- disse la giovane volontaria 29nne ad un regista di documentari . Oggi la vita di Simona Torretta è in pericolo, insieme alle vite della sua collega Simona Pari e dei due collaboratori iraqeni, Ra'ad Ali Abdul Aziz e Mahnouz Bassam. Ma qual'è la vera storia di questo sequestro?
Otto giorni fa, i 4 furono prelevati da un commando direttamente dalla casa/ufficio di Baghdad e da allora non si sono più avute notizie. In assenza di informazioni da parte dei loro sequestratori, le controversie politiche scoppiano attorno l'incidente. I sostenitori della guerra sono soliti dipingere i pacifisti come degli ingenui, che sostengono allegramente la resistenza che invece risponde alla solidarietà internazionali con rapimenti e decapitazioni.
Intanto un sempre maggior numero di leaders islamici affermano che il raid nella sede di Un Ponte Per Baghdad non è stata opera dei mujahidin, ma dell'intelligence internazionale, al fine di screditare la lotta della resistenza. Nulla riguardo questo rapimento costituisce un somiglianza con gli altri sequestri.
Molti sono stati attacchi occasionali perpetuati su strade. Simona Torretta e i suoi colleghi sono stati "freddamente" prelevati nel loro ufficio. E mentre i mujahidin iraqeni nascondono scrupolosamente la loro identità dietro ampie sciarpe, i rapitori erano a volto scoperto e sbarbati, alcuni vestiti in uniforme. Un assalitore era chiamato dagli altri "signore". Gli ostaggi sono un uomo e tre donne.
I testimoni rivelano che il commando ha interrogato tutto lo staff della sede prima di identificare le due Simona per nome e che Mahnouz Bassam, la donna iraqena, è stata trascinata urlante per il velo; un oltraggio religioso scioccante per un'azione in nome dell'Islam. Molto strana è anche la dimensione dell'operazione: invece dei soliti 3/4 combattenti, 20 uomini armati e alla luce del sole, apparentemente incuranti di essere visti. La "Green Zone" è sorvegliata da molti checkpoint militari; il rapimento è stato effettuato senza alcuna interferenza da parte della polizia iraqena e delle truppe americane; benchè il periodico "Newsweek" ha svelato che un convoglio militare americano passò vicino alla sede della Ong italiana circa 15 minuti dopo il rapimento.
Le armi: gli assalitori erano armati con AK-47, fucili, pistole con silenziatore e armi che stordiscono. Armi difficilmente utilizzate dai mujahidin, dotati di rudimentali Kalashnikov.
Ancora più strano è questo dettaglio: i testimoni affermano che diversi sequestratori erano vestiti con le uniformi della Guardia Nazionale iraqena e si sono dichiarati come uomini di Ayad Allawi, primo ministro iraqeno ad interim. Un portavoce del governo iraqeno ha successivamaente smentito un coinvolgimento dell'ufficio del premier Allawi. Sabah Kadhim, portavoce del ministero degli interni, ha ammesso che i rapitori indossavano uniformi militari e giubbotti anti-proiettile.
Ma, allora è stato un rapimento condotto dalla resistenza iraqena o un'operazione segreta della polizia? O qualcosa di peggio: un ritorno del "mukhabarat", il servizio segreto di Saddam che eliminava i dissidenti del regime, di cui non si è saputo più nulla? Chi può aver coordinato un'azione simile e chi può portare giovamento un attacco contro questa Ong da sempre contro la guerra?
Da lunedì scorso il governo italiano riporta una sola teoria. Lo Sceicco Abdul Salam Al-Kubaisi, autorevole esponente religioso sunnita in Iraq, ha riferito ai giornalisti di aver ricevuto una visita da parte di Simona Torretta e Simona Pari il giorno prima del rapimento. "Erano impaurite"- afferma lo sceicco -"Mi hanno detto che qualcuno le ha minacciate". Alla domanda su chi vi fosse dietro queste minaccie, Kubaisi ha risposto "sospettiamo l'intelligence internazionale".
Per Kubaisi, la rivendicazione del rapimento è inusuale; egli è legato a gruppi della resistenza ed ha mediato il rilascio di diversi ostaggi. Le dichiarazioni di Kubaisi sono state ampiamente riportate sui media arabi e su quelli italiani, mentre sono assenti sulla stampa di lingua inglese. I giornalisti occidentali sono contrari a parlare di spie e cospirazioni, soprattutto per paura.
Ma in Iraq, spionaggio ed operazioni segrete non costituiscono cospirazioni; sono la realtà quotidiana.
Secondo James L. Pavitt, direttore della CIA, l'Iraq è il paese con più basi d'intelligence Usa dai tempi della guerra in Viet Nam, con circa 500/600 agenti sul territorio. Allawi stesso ha collaborato con CIA, MI6 e Mukhabarat nell'eliminazione dei nemici del regime di Saddam.
Un Ponte Per Baghdad è sempre stato contrario all'occupazione militare. Durante l'assedio di Falluja in aprile, ha coordinato, rischiando in prima persona, diverse missioni umanitarie. Le forze americane hanno chiuso le strade per Falluja e vietato l'accesso ai giornalisti, mentre si preparaveno a punire l'intera città per l'orrendo assassinio di 4 mercenari americani.
In agosto, quando la marina statunitense toglieva l'assedio da Najaf, Un Ponte Per Baghdad andò dove le forze militari d'occupazione non volevano testimoni. E il giorno prima del loro rapimento, Simona Torretta e Simona Pari avevano detto allo sceicco Kubaisi che stavano progettando un'altra rischiosa missione a Falluja. Negli otto giorni dal sequestro, appelli per il loro rilascio sono giunti da ogni parte del mondo e da ogni comunità religiosa e culturale: Jihad islamica, Hezbullah, Associazione degli studenti islamici ed altr diversi gruppi della resistenza iraqena hanno condannato l'azione.
Un gruppo della resistenza parlando da Falluja ha detto che il rapimento lascia pensare ad un collegamento con le forze d'intelligence internazionali. Particolarmente evidente è l'assenza di importanti voci, come quella della Casa Bianca e dell'ufficio di Allawi. Nessuno dei due ha detto una sola parola sul sequestro.
Quello che vogliamo far saper è questo: se il rapimento finirà nel sangue, Washington, Roma ed il governo "fantoccio" iraqeno ne approfitteranno per giustificare la brutale occupazione dell'Iraq; un'occupazione per la quale Simona Torretta, Simona Pari, Ra'ad Ali Abdul Aziz e Mahnouz Bassam hanno rischiato la loro vita per opporvisi.
E noi non ci sorprenderemo se si scoprisse che il piano era questo da sempre.
Naomi Klein e Jeremy Scahil
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Perchè Frattini è andato proprio nel Kuwait
Perché Frattini è andato proprio nel Kuwait (che a torto o a ragione è il ?Paese fratello? più odiato nell?intero mondo arabo, additato dai fondamentalisti islamici come il più blasfemo e più complice dell?Occidente) il posto peggiore per perorare la causa delle due ragazze rapite a Baghdad? Il caso Scelli/Letta.
Fermi tutti. Che c?entra il Kuwait? Perché Frattini è andato proprio in quel dimenticato fazzoletto di deserto, che era il posto peggiore per perorare la causa delle due ragazze rapite a Baghdad? Improvvisamente sul sequestro delle due Simone è calata una brutta puzza di bruciato. Le spiegazioni fornite dal tam tam degli specialisti di sicurezza nei giornali non convincono, anzi appaiono devianti.
E? vero che il Kuwait, 14 anni dopo l?invasione di Saddam Hussein è un avamposto attento alle questioni irachene. Ma proprio qui è il punto. Nessuno ha ricordato che l?emirato, è a torto o a ragione il ?Paese fratello? più odiato nell?intero mondo arabo, additato dai fondamentalisti islamici come il più blasfemo e più complice dell?Occidente Non è più considerato neanche uno Stato arabo e nemmeno un protettorato Usa, ma appena un cortile militare e petrolifero della superpotenza che suscita imbarazzo e fastidio persino in Arabia Saudita.
Sappiamo per certo che gli osservatori islamici a Roma sono rimasti di stucco e che nella comunità diplomatica araba si sono levate forti critiche all?iniziativa del ministro degli esteri. I kuwaitiani sono odiati dagli iracheni e isolati nell?intero mondo arabo. Il nostro ministro avrebbe dovuto evitare quel Paese come la peste. Se c?erano informazioni da raccogliere, poteva mandare qualcun altro.
Invece è da lì che ha deciso di iniziare il suo viaggio in Medio Oriente, lanciando proprio dalla grande moschea di Kuwait City il suo ?appello alla sensibilità, all?affetto e al cuore dei musulmani? per la liberazione delle due italiane. Così, mentre tutta la politica interna ed estera italiana si è orientata al dialogo possibile con l?Islam moderato, nel tentativo di bloccare l?escalation del conflitto di civiltà, ecco che Frattini va a scegliere proprio il Kuwait per fare pressione sui tagliagole che stringono il collo delle due ragazze. Strano, davvero strano!
Le stranezze sono tante. E? stranissimo che il ministro abbia riferito alla stampa di aver avuto ?informazioni importanti? nella sua sosta in Iraq. Che faceva tra i minareti di lusso di Kuwait City, giocava a James Bond con un drink in mano e la pistola nell?altra? Un ministro serio certe cose se le tiene per se e Frattini -osiamo sperare- dovrebbe ben saperlo. Non è possibile che il peggior veleno del berlusconismo, che è lo sfruttamento di qualsiasi occasione spicciola per mettersi in luce in tv, abbia pervaso l?intero governo e l?intero Paese. Quella dichiarazione di Frattini, dunque, poteva essere un segnale ai rapitori, per far sapere loro: ?Guardate che sappiamo certe cose!?. Esattamente alla stessa ora un segnale opposto da Baghdad si incrociava con quello del ministro. Il capo degli Ulema Abdel Salam al Kubaisi convocava un?insolita conferenza stampa, per dichiarare testualmente: ?I sequestratori delle due italiane sono agenti di un Paese straniero, gente che manovra per gettare fango sulla resistenza irachena e sull?Islam?.
Per la prima volta in Iraq un rapimento viene attribuito da un?autorità così ufficiale e importante a un servizio segreto straniero. Nelle stesse ore Al Kubaisi aveva un colloquio con l?ambasciatore d?Italia Gianludovico De Martino, andato a fargli visita. Tutto questo dovrebbe significare qualcosa. Secondo alcuni osservatori arabi, il capo degli Ulema non alludeva né alla solita Cia né a Israele, perché in tal caso si sarebbe espresso in altro modo o non avrebbe parlato affatto. Si trattava invece di un vero atto d?accusa contro i servizi segreti del Kuwait. Anche la versione del capo degli Ulema sull?intenzione delle ragazze di trasferirsi nella città di Falluja, presidiata dai ribelli, per sfuggire alle minacce ricevute sembra indicare che il pericolo veniva da tutt?altra parte.
Ma perché il piccolo e apparentemente innocuo emirato? Dopo decenni di pigro benessere, rotto dal trauma dell?invasione, dalla guerra, dalle torture, detestato dai vicini e ignorato dall?Occidente, il Kuwait ha sviluppato in questi anni una sindrome di accerchiamento e incomunicabilità con il mondo intero. Basta pensarci per constatare che il Kuwait assolutamente non esiste sulla scena diplomatica. Il suo governo, le sue ambasciate sono virtuali. E? come se vivesse nel sommerso, come un pesce palla acquattato sul fondo. Nel frattempo, secondo gli esperti di intelligence, l?emirato con l?aiuto della Cia ha costruito servizi segreti di discreta efficienza, anche perché muniti di molto denaro, ritenuti competitivi nella regione e capaci anche di operazioni sporche.
Le cose vanno viste sempre attraverso gli occhi e gli interessi dei vari protagonisti. Per lo Stato kuwaitiano non è mai cessato il terrore di essere inghiottito e annullato in un diverso assetto geopolitico regionale. Guerra e dopo guerra in Iraq e con la crisi di regime dell?Arabia Saudita stanno facendo suonare tutti gli allarmi. Nella possibile esplosione della galassia mediorientale innescata dalla guerra globale al terrorismo, certe correnti di pensiero dell?amministrazione americana vorrebbero accorpare il Kuwait con uno stato scita nel sud dell?Iraq con capitale Bassora, la città da dove provengono la maggioranza dei kuwaitiani. Quindi da un lato bisogna chiedersi non se il Kuwait sta svolgendo un gioco autonomo nell?attuale guerra civile irachena ma quale gioco esso svolga, essendo ben verosimile che la stabilizzazione dell?Iraq voluta da Washington non si concilia con gli interessi dell?Emirato. Dall?altro bisogna sperare che la nostra diplomazia sia consapevole di questi giochi ad alta e pericolosissima tensione.
Attesa in parlamento per l?audizione di Frattini-Bond
Le Commissioni esteri attendono con ansia di sentire nel pomeriggio di oggi (mercoledì) al Senato i risultati del breve e viaggio di Frattini-Bond in Medio Oriente: tappe di poche ore nei tre Paesi più ?americani? del mondo arabo, pullulanti di spie ma vuoti di influenza politica sulle bande armate irachene. Un viaggio etichettabile tra lo spionaggio di Stato e la diplomazia segreta, poco rituale per un ministro ma di sicuro effetto mediatico. Dopo il Kuwait, Frattini ha fatto tappa negli Emirati Uniti, porto franco per la comunità dell?intelligence internazionale. Abu Dhabi e Dubai, paradisi cosmopoliti del lusso e del denaro, hanno sostituito quella che fu la Beirut degli anni ?60 e ?70. Dopo brindisi all?arancio e salamelecchi, il ministro è corso a Doha nel Qatar, petrolio e tv arabe, dunque ancora spie. Sempre regolarmente embedded tra i suoi fedelissimi della Farnesina Cesare Ragaglini e Riccardo Sessa. Emozioni a non finire, da raccontare in Parlamento.
Il ritorno delle spie ovvero: quando il gioco si fa duro eccetera Il ministro Franco Frattini nelle vesti di James Bond rientra perfettamente nel nuovo clima che, nell?emergenza terrorismo, ha restituito agli 007 le loro classiche e sacrosante funzioni. I collaboratori del ministro gli avrebbero caldeggiato -e preparato- il viaggio di diplomazia segreta subito dopo aver appreso che, dopo il rapimento dei due giornalisti francesi Jacques Chirac aveva spedito a Baghdad e a Najaf una squadra di ?barbe finte? guidata dal generale Philippe Rondot, grande star dei servizi segreti di Parigi. Specialista in operazioni clandestine, Rondot è l?uomo che nel 1994 ottenne dal Sudan la consegna del super terrorista Carlos. Caso quasi unico in Europa è stato ai massimi livelli di entrambi i servizi francesi, il vecchio Sdece, oggi Dgse, e la Dst.
In Italia l?emergenza sequestri ha segnato il ritorno alla ribalta del SISMI e l?esautoramento del dilettante Maurizio Scelli, commissario della Croce Rossa. Scelli era stato ferocemente attaccato dalla sinistra per i troppi misteri e pasticci del rapimento di Agliana, Stefio, Cupertino e Quattrocchi. Nell?occasione si è detto solo che Scelli è un candidato trombato di Forza Italia ed è emersa l?anomalia del perdurante commissariamento dell?ente. Ma si è taciuto il dato più significativo: che è stato messo e viene tenuto alla CRI dal sottosegretario Gianni Letta, suo sponsor e protettore, la cui sorella è a sua volta commissario straordinario della Croce Rossa abruzzese. L?incarico di gestire il caso degli ostaggi gli era stato affidato proprio da Letta, che come sempre è stato risparmiato dall?opposizione. Si è chiusa comunque l?ambiziosa avventura sul campo di Maurizio Scelli che nei nuovi scenari emergenziali aspirava a più alti incarichi e magari alla stessa direzione di un servizio segreto. Sabato scorso, al celebre premio culturale ?Piani di Arcinazzo?, ha dichiarato che ?è giusto che a trattare gli ostaggi siano le istituzioni: noi per ora restiamo in panchina?.
La torta degli aiuti umanitari le Ong e l?Iraq: fuggire ma non fuggire questo è il problema
Il sequestro delle due ragazze italiane in Iraq ha inflitto un duro colpo alla cooperazione internazionale in quel Paese. La fuga delle Ong dall?Iraq, prima annunciata, poi smentita, poi consumata alla chetichella, si è conclusa ieri con la partenza per Damasco dell?ultimo volontario italiano, l?infermiere di Movimondo Giancarlo R.
Le ragioni, poco edificanti, di tanta incertezza sono costate il posto al coordinatore internazionale delle Ong in Iraq, Jean-Dominique Bunel, accusato di ?leggerezza? e defenestrato perché aveva annunciato la ritirata di tutte le Ong dall?Iraq per motivi di sicurezza. Gli italiani sono insorti infuriati perché ?non possiamo abbandonare gli iracheni?. In gioco c?è ovviamente la torta miliardaria degli aiuti. Il presidente della federazione delle Ong Sergio Marelli ha affermato: ?I volontari dei nostri otto organismi presenti in Iraq restano a fianco della popolazione?. Non era vero niente. Sono stati tutti richiamati, ma non si deve dire per non compromettere progetti già finanziati per centinaia di migliaia di euro con soldi pubblici e privati (Unione europea, Onu, Farnesina, Regioni, etc). Alla ricerca di una soluzione, si è fornita questa versione: gli italiani se ne vanno ma la cooperazione continua. Unica differenza, i programmi verranno a essere gestiti da ?personale locale? e teleguidati dall?Italia o da altre capitali mediorientali.
15 Settembre 2004
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Desaparecidos e Terrorismo di Stat0
Il sequestro dei volontari del ?Ponte per? aggiunge un ulteriore drammatico tassello all?escalation della sporca guerra in Iraq. Il Ponte è una delle organizzazioni non governative presenti in Iraq da più tempo. Si sempre adoperata contro l?embargo che ha decimato per più di un decennio la popolazione irachena, ha in campo da anni progetti di solidarietà, si è sempre schierata apertamente contro la guerra ed è stata il motore di numerosi convogli di aiuti umanitari diretti alle città irachene bombardate e assediate dalle truppe statunitensi e del governo fantoccio iracheno. Quest?ultimo ruolo sembra essere quello che ha portato prima il giornalista italiano Baldoni e poi le due Simone e i cooperanti iracheni del ?Ponte per? nel mirino degli squadroni della morte.
Chi ha voluto colpire i testimoni scomodi dell?occupazione in Iraq?
Chi, dunque, ha guidato ed organizzato il commando che è penetrato direttamente e non casualmente nella sede del Ponte a Bagdad e ne ha sequestrato gli attivisti? Questo sequestro, come quelli appena precedenti del giornalista pacifista Baldoni ? barbaramente ucciso insieme al suo interprete palestinese ma di cui ancora non è stato trovato né si sta cercando il cadavere ? insieme a quello di due giornalisti francesi - cioè di un paese apertamente non belligerante in Iraq -sono sequestri diversi da quelli precedenti. Lo sono negli obiettivi e nella pratica.
Il modello operativo dei sequestri appare infatti più simile al modello degli squadroni della morte latinoamericani che conducono la guerra sporca al fianco di quella convenzionale condotta dagli eserciti. Il loro obiettivo è di fare la terra bruciata intorno alle ragioni della resistenza colpendo giornalisti, attivisti umanitari, schierati contro la guerra e testimoni scomodi. Queste cose non le insegnano nelle moschee ma nelle scuole antiguerriglia negli Stati Uniti. L?ambasciatore statunitense in Iraq, John Negroponte, è un?esperto della materia essendo stato il plenipotenziario statunitense in Centro-America negli anni ottanta, quelli dei desaparecidos, degli squadroni della morte, del genocidio in Guatemala, della repressione più feroce in Salvador e Honduras e del terrorismo di stato americano in Nicaragua. Lo stesso ?premier? iracheno Allawi, è uno del mestiere essendo stato addestrato dalla CIA. In una intervista a Le Monde e al TG3, il capo degli ulema, Al Kubaysi, ha parlato esplicitamente di servizi segreti di un paese straniero come responsabili del sequestro dei volontari del ?Ponte per?.
Perché hanno colpito i testimoni e i volontari italiani?
Una ricostruzione attenta del sequestro e della ?morte? del giornalista Enzo Baldoni aiuta meglio a comprendere il perché siano stati colpiti i volontari del ?Ponte per?. Baldoni e il suo collaboratore, il palestinese Ghareeb, erano stati tra gli organizzatori di quei convogli umanitari che in questi mesi hanno forzato gli assedi di Falluja e Najaf, portando acqua, viveri, medicine alle popolazioni assediate. Questi convogli sono nati spessi nella sede del ?Ponte per? a Bagdad, diventata un punto di riferimento per tanti giornalisti, volontari, attivisti che cercano di documentare la vita quotidiana nell?Iraq occupato militarmente ma non certo normalizzato. Spesso devono forzare l?inattività della Croce Rossa Italiana che il commissario governativo Scelli sta privando della sua neutralità e credibilità facendone uno strumento collaterale e non indipendente delle forze militari di occupazione. Ma questi convogli umanitari alle città assediate non sono più tollerati dai comandi militari statunitensi. Il settimanale ?Diario? del 9 settembre, basandosi sulle corrispondenze di Baldoni, riferisce la frase di un ufficiale americano ?Noi vogliamo prenderli per fame e voi andate a portargli i viveri??. Il collaboratore di Baldoni, il palestinese Ghareeb, era un organizzatore infaticabile di questi convogli e conosceva e collaborava con i volontari del ?Ponte per? a Bagdad.
Dunque non era più tollerabile che giornalisti e attivisti italiani, il cui governo sostiene la guerra ed ha inviato migliaia di soldati ad occupare il sud dell?Iraq, potessero continuare a mettersi in mezzo con iniziative umanitarie che ridicolizzavano anche la Croce Rossa Italiana del commissario Scelli resa ormai collaterale alla politica del governo Berlusconi. Costoro avevano bisogno di una lezione, così come gli attivisti umanitari, i giornalisti ficcanaso o i religiosi troppo impegnati in Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras. In realtà gli Stati Uniti stanno perdendo la loro guerra in Iraq e sono consapevoli che dovranno farne un vero e proprio mattatoio, per questo non vogliono testimoni.
Un sequestro anomalo e l?ombra del terrorismo di Stato
?Se volessero colpire noi, verrebbero a prenderci direttamente, tutti sanno che siamo qui?. Queste sono le parole, amaramente profetiche, che Simona Torretta aveva riferito ad un noto fotoreporter pochi giorni prima del sequestro e dopo che una bomba di mortaio aveva danneggiato la sede del ?Ponte per? a Bagdad il due settembre scorso (riportato ne ?Il Manifesto?, 8 settembre). Lo stesso fotoreporter riferisce di gente strana, occidentali, nepalesi, iracheni che si precipitano sul posto dopo l?esplosione. Il capo del consiglio degli Ulema, Al Kubaysi testimonia che Simona e Simona il giorno prima del sequestro erano andate da lui in cerca di protezione perché si sentivano minacciate. Da chi? Cinque giorni dopo, il 7 settembre, Simona Pari, Simona Torretta e due cooperanti iracheni Ra?ad Alì Abdul Aziz e Manhaz Bassam, venivano sequestrati e sparivano nell?inferno iracheno.
Il commando che attua il sequestro è diverso da tutti gli altri che hanno operato gli altri sequestri in mesi. Il sequestro è mirato. Hanno i nomi di chi devono portare via. Hanno divise ed armi in dotazione ai ?contractors? (vedi la corrispondenza dell?inviato de?Il Messaggero? del 12 settembre), hanno grandi fuoristrada e colpiscono in una zona ?protetta? dai militari americani a Bagdad dove hanno sede due ministeri, l?OMS e diverse organizzazioni umanitarie. Non si tratta dunque di un gruppo ?islamico? di sequestratori arrangiato o improvvisato che ferma le macchine lungo le strade dell?Iraq e ne rapisce i passeggeri sperando di ottenere un riscatto. Si tratta invece di professionisti dell?antiguerriglia che hanno agito con sicurezza ostentata per terrorizzare giornalisti e volontari e mandare via tutti i testimoni scomodi. L?esodo delle ONG dall?Iraq, ne è la conferma.
Nessuna delle rivendicazioni arrivate è stata ritenuta credibile. In altri casi, vedi quello del giornalista statunitense Micah Garen, il sequestro era stato rivendicato e gestito pubblicamente dal movimento di Al Sadr (vedi ?La Repubblica? del 23 agosto)
E? un altro stile, un altro modello operativo ed ha un altro obiettivo: fare terra bruciata degli attivisti e dei testimoni scomodi sulla barbarie dell?occupazione militare statunitense, inglese e italiana dell?Iraq. Prende corpo un?altra ipotesi, prima sussurrata o denunciata da pochi ma che oggi sta venendo fuori con drammatica limpidezza anche nelle parole di Noam Chomski: il terrorismo di Stato. Saremmo dunque in presenza di quel modello di squadroni della morte già utilizzato il Centro-America e di cui l?ambasciatore USA a Bagdad, John Negroponte è un esperto.
E? un po? come fu la strage di Piazza Fontana in Italia: la versione di comodo (il terrorismo islamico) che perde pezzi mentre prende corpo la pista più credibile (il terrorismo di Stato da parte dei governi occupanti in Iraq e del governo fantoccio iracheno).
Il governo Berlusconi deve essere inchiodato alle sue responsabilità
Il governo Berlusconi porta già il fardello orribile di aver trascinato l?Italia nella guerra in Iraq. Lo ha fatto schierandosi prima con l?ingiustificata aggressione anglo-statunitense e poi inviando tremila soldati a partecipare all?occupazione militare del paese. Le denunce che continuano ad arrivare sulle malefatte del contingente militare italiano a Nassyria (le uccisioni di decine di civili nella battaglia dei ponti, le rivelazioni dei bersaglieri pubblicate da ?Il Manifesto?, le ambulanze colpite come documentato dal giornalista americano Micah Garen) stanno togliendo qualsiasi alone di ?missione di pace? a quella che è chiaramente una operazione di guerra. Questa condizione dell?Italia come ?Stato belligerante ed occupante? in Iraq, espone il paese ai contraccolpi e alle conseguenze della guerra. Lo espone in Iraq dove ci sono i soldati (già ne sono morti più di venti e decine sono rimasti feriti) ma anche volontari o giornalisti italiani e lo espone qui in Italia alle ritorsioni che potrebbero assumere il carattere di attentati terroristici come avvenuto in Spagna.
Il governo Berlusconi si è già reso responsabile di una sospetta latitanza nel sequestro del giornalista Enzo Baldoni (per il quale poco o nulla sta facendo per recuperarne il cadavere, come denunciato dall?inviato del Corriere della Sera) ed ora lo è ancora di più per il sequestro di Simona Torretta e Simona Pari.
Il tentativo del governo Berlusconi di nascondersi dietro l?unità nazionale in nome alla lotta contro il terrorismo, è un orribile inganno che deve essere sventato, smantellato e rovesciato.
E? decisamente ridicolo richiamarsi al ?modello francese?, in cui tutto il paese si è stretto e mobilitato per chiedere il rilascio dei due giornalisti sequestrati. Lo è per due semplici motivi:
1) Il governo francese si è schierato contro la guerra e non ha inviato militari ad occupare l?Iraq, ha avviato colloqui con tutto il mondo arabo e non ha esitato a far sentire la sua voce critica anche verso gli Stati Uniti che hanno incentivato i bombardamenti a tappeto sulle città irachene;
2) Il governo francese, si è rifiutato di incontrare il ?presidente? iracheno Gazi Al Jawar perché le ritiene responsabile dell?incolumità dei due giornalisti sequestrati. Al contrario Berlusconi e Ciampi hanno confermato la visita in Italia, hanno stretto la mano al presidente iracheno, hanno ribadito che non intendono ritirare le truppe dall?Iraq e continuano ad essere subalterni e omertosi verso gli Stati Uniti.
La sera stessa del sequestro dei volontari del ?Ponte per?, il governo emanava un comunicato in cui forniva la versione di comodo: gli autori erano un imprecisato ?gruppo islamico?. Eppure non c?era stata alcuna rivendicazione e le uniche indiscrezioni dicevano che il commando di sequestratori affermava di essere agli ordini del governo iracheno.
I partiti dell?opposizione (Centro-sinistra e PRC) hanno commesso scientemente un gravissimo errore accettando il tavolo dell?unità nazionale contro il terrorismo con il governo e abbassando il tiro sulla richiesta del ritiro immediato delle truppe dall?Iraq, cosa che invece non hanno fatto Verdi e PdCI pur presenti all'incontro con il governo. La copertura della lotta al terrorismo è anch?essa un orribile inganno che porta fuori strada le iniziative da prendere per ottenere la liberazione degli ostaggi e la fine della complicità dell?Italia con la guerra in Iraq. Se le dichiarazioni di Bertinotti sulle priorità dell?oggi hanno provocato discussione, polemiche e prese di distanza sacrosante nella sinistra e nel movimento contro la guerra, ben più gravi sono state le dichiarazioni di Violante al Corriere della Sera secondo cui ?chiedere oggi il ritiro delle truppe sarebbe affiancare i terroristi?. La trappola c?è ed è ben evidente e ci porta direttamente ad arruolarci dentro la logica della guerra di civiltà. Non siamo affatto sicuri che i sostenitori di questa posizione avventurista non ne siano pienamente consapevoli, al contrario ci pare che si prestino ad un gioco ambiguo che attiene alle garanzie della governabilità di un prossimo governo di centro-sinistra. Le forze dell?opposizione, al contrario, potrebbero e dovrebbero incalzare il governo, inchiodarlo alle sue responsabilità ma non affidargli deleghe in bianco sulle trattative, chiedergli conto dei suoi alleati (e padroni) nella guerra in Iraq, avrebbero potuto chiedere l?annullamento della visita del presidente iracheno Al Jawar in Italia come ha fatto il governo francese o insistere sul ritiro delle truppe come ha fatto il governo spagnolo?.ma non lo hanno fatto. Se la vicenda dei desaparecidos italiani in Iraq si concluderà felicemente come auspichiamo tutti?il merito sarà del governo che ha ?coniugato la fermezza con l?unità nazionale?. Se si concluderà drammaticamente le responsabilità saranno tutte del ?terrorismo islamico e dei movimenti pacifisti?. Se non è una trappola questa, che cosa lo è?
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John Negroponte darà presto vita agli squadroni della morte iracheni
Intervista a Michel Chossoudovsky di Ingo Niebel
Economista e critico dell'attuale processo di globalizzazione, Michel Chossoudovsky viene definito da alcuni il Chomsky canadese. Paragone mette in luce la ricchezza di pensiero dello studioso, così realistico rispetto all?attualità irachena e altrettanto pessimista relativamente al futuro del paese occupato che si trasformerà in un campo di battaglia con squadroni della morte e diverrà probabilmente lo scenario dell? ?inaugurazione? di una nuova arma nucleare.
Michel Chossoudovsky è stato di recente a Berlino in occasione del Congresso Europeo della ONG, l?associazione dei Medici Internazionali per la prevenzione di una eventuale guerra nucleare.
Ingo Niebel: Cosa ne pensa della nomina di John Negroponte ad ambasciatore degli Stati Uniti a Baghdad?
Michel Chossoudovsky: Presuppone una contraddizione di fondo. Attualmente non esiste nessun governo sovrano iracheno che possa sfruttare le sue credenziali. Si tratta piuttosto della nomina di un governatore militare per l'Iraq. Persino a Washington è in corso una discussione tra il Dipartimento di Stato e il Pentagono per decidere a chi dei due spetti il compito di controllare l??ambasciatore?. La regola vorrebbe che entrambi rendessero conto Dipartimento di Stato, ma in questo caso Donald Rumsfeld esige che Negroponte inoltri i suoi rapporti al Ministero della Difesa anziché a quello degli Esteri. Questa è la prova del fatto che Negroponte non è un ambasciatore, bensì il governatore militare di un paese occupato.
Ma c'è un altro aspetto ancora più importante. Prima che Negroponte fosse nominato ambasciatore degli Stati Uniti di fronte all'ONU, aveva ricoperto la stessa carica in Honduras negli anni ?80. Durante il suo mandato costituì gli squadroni della morte onduregni, che parteciparono all'assassinio di numerosi civili. Fu coinvolto anche nell'organizzazione dei contras che in Nicaragua dichiararono guerra al governo sandinista. Sappiamo che tutto ciò avvenne con la consapevolezza del governo statunitense e che era Negroponte ad aver architettato tale politica. Durante il suo incarico in Iraq si sono verificati, per l?ennesima volta, stermini di massa, assassini selettivi e torture al popolo. Praticamente ha esibito il suo intero bagaglio di conoscenze.
Ingo Niebel: Ciò significa che Negroponte scriverà in Iraq un nuovo capitolo della guerra sporca...
Michel Chossoudovsky: Credo proprio sì. Organizzerà sicuramente squadroni della morte iracheni e costituirà delle stanze di tortura. Gli Stati Uniti cercheranno di riattivare le vecchie strutture del partito Ba?ath per reprimere il popolo. Ad ogni modo ciò che possiamo sperare è che Negroponte riattivi anche quei gruppi iracheni che la CIA aveva costituito già prima della precedente Guerra del Golfo.
Ingo Niebel: Questo significa che in un futuro prossimo assisteremo a una sorta di guerra civile?
Michel Chossoudovsky: Un altro obiettivo che gli Stati Uniti non hanno ancora raggiunto è quello di manovrare i vari gruppi per metterli gli uni contro gli altri. Cercheranno di fare in Iraq ciò che già avevano fatto in Yugoslavia. Hanno a disposizione i sunniti, gli sciiti e i curdi, che potranno spingere gli uni contro gli altri creando contemporaneamente delle scissioni interne ai vari gruppi. Ma il nascente movimento di resistenza sta consolidando questi gruppi.
Nutro il sospetto che gli americani continueranno a cercare di provocare delle scissioni utilizzando tutti i mezzi possibili, compreso quello già sperimentato degli attentati terroristici contro i civili iracheni. Allo stesso modo ricorreranno ad Al Qaeda per convincere sia l'opinione internazionale che quella irachena del fatto che i fondamentalisti islamici stanno cercando di scatenare una guerra contro l? America e contro gli iracheni.
Ingo Niebel: Considera possibile che gli Stati Uniti utilizzino le mini-nukes (piccole bombe atomiche) nel caso in cui la sua situazione peggiori ?
Michel Chossoudovsky: Non c'è assolutamente nulla che possa impedirlo. La forza distruttrice di queste piccole bombe atomiche va da un terzo di quella della bomba di Hiroshima a sei volte tanto. Questo tipo di arma è stato rivalutato da poco tempo: le mini-nukes non vengono ormai più considerate bombe nucleari bensì armi convenzionali.
Nella sua campagna di propaganda, il Pentagono ha sostenuto che si tratta di armi inoffensive per i civili e non ha proferito una sola parola in merito alle radiazioni che sprigionano. Il Senato ha dato il via libera al loro utilizzo e queste armi potranno essere usate nel corso delle operazioni militari convenzionali senza dover premere il famoso bottone rosso, perché la decisione non dovrà più essere presa da un generale plurigraduato, o dal presidente, bensì da un semplice maggiore o da un generale qualsiasi. Non si può escludere nemmeno che si possa arrivare all?utilizzo di un?arma nucleare tattica.
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Da chi è manovrato il sedicente gruppo terroristico "l'esercito islamico dell' Iraq" -jaish al-islamiyah fil Iraq-? Questo gruppo che ha assassinato a tempi di record Enzo Baldoni -notoriamente contrario all'invasione americana dell'Iraq- e ha rivendicato il sequestro dei giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot ha nella propria cartella criminale altri sequestri, rapimenti e attentati; tutti atti e atteggiamenti con una fisionomia e natura politica ben precisa.
Cerchiamo una chiave di lettura: appena rapiti i due giornalisti francesi, il premier iracheno Iyad Allawi, notoriamente uomo della CIA, ha sostenuto pubblicamente: "quelli che non combattono con noi, si ritroveranno con dei terroristi". Il premier del "governo indipendente" nominato dall'amministrazione Bush ha continuato in questi termini: " i francesi si facevano l'illusione di poter restare fuori". Parole definite "inaccettabili" dal portavoce del Quai d'Orsay, Cecile Pozzo di Borgo. E' noto che la Francia si è distinta per la netta contrarietà alla guerra americana in Iraq. Il gruppo terroristico, in cambio della liberazione dei giornalisti francesi, ha chiesto la impraticabile -e insignificante per l'Iraq- abolizione della legge sul velo in Francia.
In precedenza il gruppo aveva rapito il console iraniano a Garbala, Fereydoon Jahani chiedendo in cambio la liberazione di 500 prigionieri della guerra Iran-Iraq , prigionieri inesistenti secondo fonti indipendenti internazionali. E' noto che anche l'Iran (come paese e come governo) è stato fortemente contrario all'invasione americana dell'Iraq. Il gruppo distintosi per rivendicazioni maldestre e assassini a tempo di record, ha rivendicato tra l'altro anche l'attentato contro Ahmad Chalabi che ritornava dall'incontro con l'influente leader moderato scita Grande Ayatollah Ali Sistani che si oppone all'occupazione. Chalabi è stato l'uomo del Pentagono ai tempi di Saddam con una paga mensile di 360,000 $. Ma subito dopo la cattura di Saddam, ha assunto posizioni indipendenti chiedendo a chiare lettere la fine dell'occupazione, definendo il ritorno dei ba'athisti -soluzione promossa dalla CIA- come il ritorno dei nazisti.
Chalabi con l'aiuto di cinque contabili indipendenti inglesi aveva avviato una inchiesta sulla gestione delle finanze irachene e sull'operato di Paul Bremer, allora governatore civile dell'Iraq, trovando spostamenti di ingenti somme dalle casse del ministero delle finanze iracheno verso le casse della CPA, gestite dallo stesso Bremer. Allora la CIA, assistita dagli uomini del Ba'ath, ha messo sotto sequestro gli uffici di Chalabi, accusandolo di aver fornito informazioni false sulle armi di distruzione di massa di Saddam e di aver passato informazioni riservate agli ayatollah di Teheran. In seguito, un giudice nominato da Paul Bremer, un certo al-Maleki -sconfessato dal presidente al-Yawar e dallo stesso ministro della giustizia irakeno- ha messo sotto accusa Chalabi per aver distribuito denaro falso.
Prima e dopo la caduta di Saddam si parlava di Chalabi come del premier designato dal Pentagono, ma viste le sue posizioni e dopo la vicenda di Abu Ghraib, per la quale il Pentagono di Rumsfeld è stato considerata responsabile, la CIA ha voluto ed ha potuto imporre un proprio uomo come premier e perciò ha fatto nominare Allawi, mettendo a suo fianco, come ministro della difesa, uno degli uomini più pericolosi e spregiudicati, un certo Hazim al-Sha'alan, versandogli sul conto londinese la somma di 8 milioni di $. Sha'alan è colui che - secondo gli osservatori locali, quel che si percepisce dagli eventi e certe prese di posizione - in realtà gestisce il gruppo terrorista dell' "Esercito islamico dell' Iraq", che non per caso punisce quasi esclusivamente quei paesi - Francia, Iran,? e quei personaggi come l'italiano Enzo Baldoni - che sono stati e sono contro l'invasione americana dell'Iraq.
H.al- Sha'alan, che si è distinto per l'estrema e ingiustificata violenza durante l'assedio del santuario dell' Imam Ali a Najaf, è a capo di una squadra i cui personaggi di punta sono, tra gli altri: :
1- L'ex generale del Ba'ath, Mohammad al-Shahrani, già capo dei servizi e membro della CIA, colui che ai tempi di Saddam voleva organizzare un colpo di stato su ispirazione dell'agenzia di spionaggio americana.
2- Fallah Hasan Naghib, figlio del generale Hasan al-Naghib e attuale ministro dell'interno e membro della CIA.
3- Adnan al-Zorfi il governatore di Najaf, membro della CIA.
Secondo le voci provenienti da Baghdad e dintorni, che circolano nelle capitali medio orientali, Sha'alan e i suoi uomini di punta su ispirazione e indicazioni della CIA, che secondo gli analisti arriverebbero tramite vari intermediari, passano le direttive al "raggruppamento della difesa nazionale" - jamiyyat-e defa' al-vatani- che a sua volta tramite altri intermediari fa arrivare le direttive al gruppo terrorista dell'" Esercito islamico dell'Iraq". al-Sha'alan che proviene da tribù di Khaza'el è stato sconfessato dagli stessi capitribù per aver versato troppo sangue iracheno per servire le forze d'occupazione e costruire un proprio potere.
Lui, che in varie occasioni si è distinto per eccessiva e ingiustificata violenza contro le forze -anche moderate- che si oppongono all'occupazione, ha lo stesso obiettivo di Allawi, il medesimo approccio, gli stessi padrini, soltanto con un ruolo diverso. A quanto pare, visto lo scandalo degli ostaggi francesi, la CIA sembrerebbe adesso aver l'intenzione di trasferire al-Sha'alan e qualcun altro della banda nell'"Oasi di pace" eterna per insabbiare tutto ed evitare che la verità venga a galla.
Mentre i francesi e diversi servizi segreti medio orientali hanno fatto arrivare un preciso messaggio ad al-Sha'alan e suoi uomini: la vita degli ostaggi è legata alla loro stessa vita.
di Mir Mad
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