Auteur: Luigi Pirelli Date: Sujet: [Cm-roma] [Fwd: [Cm-crew] lei non sa chi sono io!]
Date: Thu, 10 Jun 2004 15:28:39 +0200
From: menthos <menthos@???>
un po' di qui e un po' di la:
cya'
menthos
Sin dalla sua comparsa, la due ruote è sempre stata intimamente legata
al concetto di libertà.
La bicicletta è sempre stato uno strumento primario di iniziazione e di
libertà. Innanzi tutto è un'esperienza che viene trasmessa in maniera
amorevole (avete mai visto qualcuno che insegni a pedalare a un bambino
in malo modo?). È un'iniziazione in piena regola: c'è la perdita di
sangue e la ferita che segna il distacco da una condizione precedente
(le ginocchia sbucciate). C'è la meraviglia di sentire il corpo entrare
in automatica, dopo aver superato la goffaggine iniziale. La
realizzazione che, come nuotare e fare l'amore, pedalare è un atto
programmato nel nostro DNA, un atto che ci rende coscienti del fatto che
il vero equilibrio è nel movimento e non nella staticità. La bicicletta
è a tutt'oggi un modello insuperato di veicolo socialmente responsabile,
romantico (mai portato nessuno in canna?), silenzioso, non stressante e
che si muove grazie ad una fonte di energia rinnovabile e non inquinante
(in culo alle multinazionali degli idrocarburi!). Andare in bicicletta
non implica alcuna stupida esibizione di potenza, richiede solo
ottimismo e coraggio (dare le spalle alle automobili è un vero atto di
fede affrontato dal nostro guerriero interiore). I popoli precolombiani
usavano la ruota per i giocattoli dei bambini ma non per il trasporto; i
tibetani la usavano come mezzo di propulsione per le loro preghiere ma
non per il trasporto, la bicicletta è la splendida sintesi dei possibili
usi della ruota: gioco, trasporto e preghiera. È sintomatico che la due
ruote sia sempre stata, sin dalla sua comparsa, intimamente legata al
concetto di libertà. Pochi se ne redono conto ma la bicicletta è stata
anche il volano dell'emancipazione femminile a cavallo del secolo
scorso. Per la moralità e per la scienza medica del periodo pedalare era
un'attività "disdicevole" per signore e signorine; il sellino era
accusato di incoraggiare l'onanismo femminile e le distoglieva dal loro
ruolo di madri e mogli. Senza considerare il fatto che l'abbigliamento
muliebre era quanto mai inadatto alla faccenda. Per pedalare si dovevano
mostrare le caviglie (orrore!) e ci si doveva sbarazzare dei vari busti
e corsetti che costringevano le povere spine dorsali a posizioni
innaturali e che rendevano impossibile quel genere di attività fisica.
L'abbandono delle stecche e l'accorciamento delle gonne (e persino l'uso
delle gonne pantalone) nascono proprio dal boom della bicicletta. I
primi movimenti femmisti europei avevano nella bicicl! etta un simbolo
irrinunciabile.
Da Jarry ai provos
La patafisica, il movimento anticipatore del surrealismo creato dallo
scatenato Alfred Jarry è indissolubilmente legato alla sua fiammante
bicicletta da corsa. La scoperta dell'LSD da parte dello scienziato
svizzero Albert Hofmann nel 1943 è tutt'uno con la sua mitica pedalata
fatata per le vie di Basilea. Difficile pensare alla lotta di popolo dei
vietnamiti senza lo strabiliante sistema di rifornimento condotto da
sgangherate biciclette che attraversavano i sentieri nella giungla
portandosi in groppa persino gli obici. Uno degli strumenti infallibili
per misurare la civiltà di un paese è lo spazio che esso offre ai propri
ciclisti (paesi scandinavi in testa, paesi mediterranei in coda). In
Olanda agli inizi degli anni '60 in pieno boom automobilistico, proprio
quando tutti, ma proprio tutti, sognavano la loro bella quattroruote, si
fanno notare degli strani personaggi che vanno totalmente
controcorrente. Sono i Provos, un gruppo di anarchici dadaisti e
zuzzurelloni, a cui spetta la palma di avanguardia di quella
contestazione giovanile che verso la fine del decennio infiammerà
l'intero occidente. I Provos nutrivano un senso di frustrazione e di
rigetto nei confronti della società consumista e alienante, per usare le
loro parole, si sentivano in questo mondo "come ciclisti su
un'autostrada". Scelsero la bicicletta come santo strumento tribale,
arma comunitaria contro i comportamenti antisociali degli automobilisti
che agivano (e agiscono) indisturbati contro l'ambiente coperti dalla
grande industria e dalla polizia. Gli automobilisti amorevolmente
coccolati dagli spacciatori di petrolio e dai cementificatori, erano (e
sono) il "braccio armato" di uno stile di vita che ormai andava
inesorabilmente modellando la geografia del pianeta. Il piano era (ed è)
distruggere il tessuto umano dei quartieri storici creando un mondo in
cui fosse impossibile andare a scuola, al lavoro, a far la spesa, a
curarsi e a divertirsi senza poggiare il culo su un autoveicolo, senza
pagare il balzello all'industria e allo stato e senza devastare il
territorio). I Provos osano sbeffeggiare il simbolo della crescita
economica, il dogma della modernità, rivendicando il diritto di
camminare per la città senza venir minacciati fisicamente da bande di
psicopatici aggressivi rinchiusi dentro una scoreggiante scatola di
ferro. I Provos soprattutto rivendicano il diritto e il piacere di non
seguire i modelli di consumo e di non consumare. Dotati di una
formidabile capacità di spiazzare le autorità e di dar vita a fantasiose
pratiche di disobbedienza civile, restano vivi nella memoria dei più per
il famoso "piano delle biciclette bianche", la messa a disposizione
della cittadinanza di Amsterdam di un certo numero di biciclette
collettivizzate. Biciclette sempre aperte a disposizione di chiunque se
ne volesse servire, un mezzo di trasporto gratuito, una provocazione
contro la proprietà privata capitalista. "La bicicletta bianca è
anarchica e simboleggia semplicità e igiene di fronte alla cafonaggine e
alla zozzeria dell'automobile. Una bicicl! etta non è nulla ma è già
qualcosa". Un atto ecologico (anche se allora la parola ecologia non era
esisteva ancora). I Provos scelsero di dipingere le bici di bianco -
dopo aver scartato l'idea di farle rosse e nere, come la bandiera
anarchica - per il semplice fatto che le loro azioni avvenivano
prevalentemente di notte. Un bel numero di cittadini, rispondendo ai
loro appelli, si reca nel luogo di raccolta, offre le proprie biciclette
e le dipinge di bianco, mettendole a disposizione del provotariato. Il
successo è immediato e l'operazione accende l'immaginazione di altri
gruppi consimili da Stoccolma a Berkeley, da Praga a Oxford (motto
dell'iniziativa "Il bianco annulla tutto, soprattutto la proprietà). Un
famoso gruppo psichedelico inglese i Tomorrow lancia un brano delizioso,
My White Bicycle, che diffonde il messaggio libertario persino nella hit
parade. (Anche in Italia Caterina Caselli incide un brano dedicato alla
provocazione provo). Ma il segnale più evidente del successo del piano
biciclette bianche è la risposta della polizia. Le autorità reagiscono
immediatamente e in modo ridicolo: vengono sequestrate una cinquantina
di bici in giro per la città. La giustificazione è che non essendo
chiuse col lucchetto rappresentano un istigazione al furto. In pratica è
la polizia a rubarle, visto che non le restituirà più ai legittimi
proprietari, i cittadini di Amsterdam. In una società in cui vige la
proprietà privata, ciò che è gratis è illegale e pericoloso. I ladri di
biciclette in divisa non fanno altro che promuovere il piano provo,
attirando attirando nelle loro file un numero crescente di sostenitori e
spingendo l'opinione pubblica a solidalizzare con loro.