[Badgirlz-list] Dopo Braidotti, è il turno di Muraro

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Author: Errata
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Subject: [Badgirlz-list] Dopo Braidotti, è il turno di Muraro

From: Nicoletta Poidimani <poidi@???>
[Sexyshock-list]

Care compagne, mi giunge notizia che avete accolto e
fatto circolare la
mia
lettera aperta. Grazie di cuore. Speriamo che si
rompano davvero
l'omertà e,
soprattutto, la subordinazione.
Vi inoltro quaest'altra mail, anche se credo che
Cristina ve l'abbia
già
mandata
un abbraccio
Nic

La lettera di Muraro cui Cristina si riferisce è
recuperabile nel web:
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Maggio-2004/art79.html



Lettera aperta a Luisa Muraro

Luisa Muraro in una lettera pubblicata sul Manifesto
di mercoledì 5
maggio
scrive che l'articolo di Manuela Cartosio "La signora
e la badante a
tavola insieme" e la puntata dell'Infedele di Gad
Lerner dedicata
allo stesso tema, mandata in onda il primo maggio
scorso, hanno
portato con se la spiacevole conseguenza di creare
ingiusti complessi
di colpa nella donne occidentali, nonché quella di
inferiorizzare le
migranti, amplificando scorrettamente la loro immagine
di relegate al
lavoro servile.

La prima cosa che vorrei dire è che non è detto che le
donne
occidentali siano, per natura, tutte pacifiche e
rispettose, né che
tutte siano insensibili al potere, refrattarie alle
gerarchie e ai
linguaggi ad essi connessi. Diffido sempre, proprio
sulla base di ciò
che ritengo un valore dell'insegnamento femminista,
delle
stereotipizzazioni. Ma ammettiamo pure sia così e
ragioniamo a
partire da questo postulato: l'arrivo in massa sul
territorio di un
esercito di donne immigrate, richiamate dal freddo
meccanismo della
domanda, pone la massa delle donne riceventi,
pacifiche e rispettose,
di fronte ad alcuni ineludibili nodi teorico-pratici.

Il primo consiste nel domandarsi sulla base di quali
regole - o
sarebbe meglio dire "non regole" - queste donne
arrivano nei nostri
Paesi. Passano - perché indubbiamente, e
indipendentemente dalle
penalità, passano - le frontiere senza diritti,
restano bloccate sul
territorio private di nome e vale a dire di dignità,
consegnate, in
forza di questa anomia complessiva, a un lavoro
obbligatoriamente
invisibile e oscuro. Che cosa hanno da dire le
rispettose autoctone
in merito? Sarà solo questione di tarare meglio le
quote d'ingresso o
questa è una vistosa ferita aperta nel corpo delle
donne tutte? Una
ferita che ci sbatte in faccia alcune gravi
contraddizioni, prima fra
tutte l'esistenza di profondissime e intollerabili
disparità tra
eguali, neppure di classe ma innanzitutto umane? Che
elimina alla
radice la possibilità di scelta, della quale infatti
non è dato
discettare perché, semplicemente e crudamente, in
queste condizioni
non esiste?

Seconda questione. La famiglia, la città, le relazioni
tra gli esseri
umani sono oggi uno spazio economico. Dentro il lavoro
odierno stanno
incastrate componenti linguistico-affettive. In questo
senso il
lavoro di cura delle donne migranti si iscrive
perfettamente, e non
come eccezione a cui guardare con accezioni diverse,
dentro un
meccanismo assai più vasto, che comprende anche le
relazioni. Le
quali diventano oggetto di valorizzazione economica.
Un cambiamento
epocale che dovrebbe interrogare da vicino le donne e
il movimento
femminista, non credete? Non è più ammissibile una
dimissione dal
problema dei rapporti di produzione perché ciò che ci
interessa è
mettere in discusione le relazioni tra i generi, nel
momento in cui
proprio le relazioni stesse sono parte integrante dei
sistemi di
accumulazione, o mi sbaglio? Dire alle donne migranti
che tutto si
può ricomporre perché tra noi e loro, dentro lo spazio
della nostra
casa, esistono riconoscimento e relazione, non è
sbagliato, ma, posto
in questo modo, qui e ora, è fuori dall'essenza e
dalla complessità
della realtà contemporanea, che infatti non coglie.

Ritengo sia altrettanto grave che, nel corso degli
anni, non si sia
spinto, con sufficente forza, a favore di un completo
ripensamento-rivoluzione dei rapporti esistenti tra
produzione/riproduzione, che vengono ulteriormente
sclerotizzati e
appiattiti sull'esistente dai sempre più corposi
pacchetti di tagli
al welfare. Questo lavoro incompiuto è origine del
processo che oggi
costringe le donne del Nord a ricorrere all'aiuto
delle donne del Sud
del mondo. E questa non è una accusa, ma un invito a
tutte "a fare",
che si rivelerebbe socialmente assai più utile del
"trattare bene",
come è ovvio e doveroso, la propria assistente
domiciliare.

Le donne d'occidente hanno il dovere di guardare in
faccia i problemi
portati con se dalla globalizzazione, di interrogarsi
e di provare a
trovare risposte a nuove domande, senza trincerarsi
dietro la
faccenda della relazione che non sempre è la panacea
di tutti i mali,
non sempre è neutra e, in qualche caso, nasconde
rapporti di potere e
nuove gerarchie. Se sollecitare ascolto e risposte
vuole dire
"colpevolizzare", bè allora il richiamo alla relazione
pare ancor più
tragicamente formale e vuoto.

Infine, sull'inferiorizzazione delle donne straniere.
Credo che da
questo rischio sappiano salvarsi da sole, come sono
ampiamente
riuscite a dimostrare nel corso della trasmissione del
primo maggio.
Le migranti hanno un'immensa consapevolezza di se e
del loro ruolo
tra noi oltre a una invidiabile, lucidissima, capacità
di guardare
alle miserie di un occidente invecchiato
infelicemente. Capacità e
potenzialità che non ha bisogno di eccessi di
traduzione e di
ipocrite delicatezze. Invito a un pensare globale, a
non incistarci
sul nostro piccolo spazio finito. E a non dare per
scontato che le
donne straniere vengano in Italia soprattutto per
liberarsi,
finalmente, da atavici pesi. Pensiero stupendo che ci
consola, ci
rassicura e ci fa stare un po' meglio, ma che non va
molto oltre il
perimetro - e il peso - del sogno.

Cristina Morini







    
        
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