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La nonviolenza prospettiva matura di resistenza all'Impero

Da molti anni siamo impegnati nella nostra regione nelle lotte contro il
militarismo, il liberismo e la guerra, a partire dall'obiezione di
coscienza al servizio, alle spese, alla produzione militare, proseguendo
con la contestazione delle mostre navali belliche (l'ultima si e' tenuta ne
l989), passando per il G8 del luglio 2001 e le imponenti manifestazioni
contro la guerra.
Abbiamo maturato, nella pratica prima che nella teoria, la convinzione che
la nonviolenza sia una prospettiva matura e radicale per la nostra epoca.
Partiamo dalla consapevolezza che la violenza espressa dal sistema
capitalistico globalizzato sia la radice di tutte le violenze che si
manifestano sul nostro pianeta.
E senza voler qui esprimere giudizi di carattere etico e morale, siamo
convinti che ogni resistenza armata all'Impero sia costretta , soprattutto
dalla sproporzione di forze in campo, all' inevitabile coinvolgimento di
settori non direttamente combattenti..
Ci pare che le categorie espresse dalla conquista del palazzo d'inverno o
dal diritto all'uccisione del tiranno siano del tutto superate dalle mutate
condizioni socio politiche e dallo sviluppo tecnologico=20
della violenza e del controllo del consenso.
La nonviolenza puo' essere l'unico modo di resistenza credibile al potere.
Non tanto per la sua efficacia (in un mondo cosi' complesso possono essere
portati molti esempi a favore o contro nel mondo industrializzato come nel
sud del pianeta), di cui peraltro siamo convinti, ma perche' la resistenza
armata per non essere del tutto velleitaria deve interiorizzare categorie
come la disciplina, la gerarchia, il settarismo che finiscono
inevitabilmente per modificare motivazioni, organizzazioni e finalita' di
chi si oppone con le armi.
Per poter avere un qualche risultato le lotte armate (e in minima misura i
suoi scimmiottamenti nel mondo occidentale) devono manifestarsi nella
clandestinita', nel segreto, nell'obbedienza cieca e assoluta al capo
(pardon dirigente) e questo quasi sempre ha portato, laddove si e' vinto, a
regimi dittatoriali o autoritari.

Le esperienze di questi anni dimostrano, al contrario, che e' possibile
opporsi in maniera nonviolenta senza cadere nella passivita'.
Coloro che camminano sulla strada della nonviolenza sanno benissimo che non
possono fermarsi di fronte alla legalita', esprimendo il proprio amore
verso la comunita' in cui vivono anche trasgredendo degli leggi ingiuste
(quando e' l'ora non c'e' scuola piu' grande che pagare di persona
un'obiezione di coscienza=85..), ma alla luce del sole.
E questa differenzia la nonviolenza dalla manifestazione pacifica (magari
pacifica solo per paura di ritorsioni).
L'esempio di Genova ci pare paradigmatico: proprio la presenza di migliaia
e migliaia di persone che si sono opposti alla furia delle forze
dell'ordine in maniera nonviolenta, subendo sulla propria pelle le
conseguenze (a Manin come in Corso Italia, alla Diaz, come in piazza
Dante), ha consentito al movimento di non essere schiacciato nella spirale
violenza - difesa - repressione.
Queste migliaia di nonviolenti (consapevoli o meno) hanno allargato il
consenso verso un'opinione pubblica che, in altri momenti, avrebbe
percepito - grazie al monopolio delle fonti di informazione da parte del
potere - la sacrosanta protesta come esclusivamente distruttiva.
Il blocco dei treni che trasportavano armi verso i porti di Livorno e La
Spezia, il fallimento delle mostre navali belliche a Genova negli anni
novanta, il blocco del varco pedonale e carrabile di Piazza Portello,
l'interposizione dei pacifisti in Palestina, le lotte contro la
deportazione di migliaia di persone in India (Narmada) sono solo alcuni
esempi che hanno permesso al movimento di maturare.
Uno dei pi=F9 citati documenti prodotti all'interno del movimento prima del
g8 recitava:

"=85=85. Abbiamo deciso di contrapporre manifestazioni nonviolente a quel
massimo di violenza e prepotenza che il vertice dei G8 rappresenta =85. Per
questo ci impegniamo a decidere con procedure assembleari e democratiche
tempi, luoghi e durata delle manifestazioni, rifiutando di obbedire ad
eventuali divieti ed ordini di scioglimento; non aggredire n=E8 colpire
fisicamente nessuna persona, neppure per autodifesa; non portare con noi
strumenti atti ad offendere; non danneggiare oggetti.=20
Sottolineiamo che non =E8 minimamente paragonabile l'atteggiamento di chi
affama i 4/5 dell'umanit=E0 con quello di chi distrugge o danneggia un
oggetto inanimato, ma giudichiamo il danno alle cose (ed avremmo dovuto
aggiungere: ed alle persone) inidoneo a realizzare lo scopo di bloccare il
vertice , di rendere inequivocabile il massimo di dissenso e di favorire ed
incoraggiare una partecipazione plurale e diffusa. Lo giudichiamo invece
adatto ad innescare e a " giustificare mediaticamente", l'aggressione di
tutti i manifestanti da parte delle forze dell'ordine."

L'esperienza di questo ultimo anno e' stata molto importante.
Dobbiamo prendere coscienza che solo una campagna radicale e nonviolenta
contro la guerra infinita, che parta dai gesti individuali - bandiere .. -
per arrivare ad azioni di disobbedienza di massa alla preparazione e alla
costruzione della guerra potra' essere in grado di allargare il movimento e
costruire un'alternativa alla violenza neoliberista.
Citiamo solo un esempio: dopo le azioni dirette nonviolente di blocco dei
treni il movimento non ha scelto, come forse sarebbe stato opportuno, di
dare loro continuit=E0.
Si sarebbero potute realizzare per esempio azioni di blocco (anche
simbolico, anche di breve durata,, ma di blocco) delle numerose basi che
dal territorio italiano permettevano la realizzazione della guerra. Si =E8
invece privilegiato il terreno (irrinunciabile, importante e giusto, sia
chiaro; ma non esclusivo) dei grandi cortei tradizionali che molti, a torto
secondo noi, vedono come alternativi alle azioni dirette nonviolente

Antonio Bruno

Norma Bertullacelli

Luca Moro

Sergio Tedeschi

Genova, 29 gennaio 2004