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Care\i, quando si vuole attraverso un articolo comunicare qualcosa e tutti
quelli che lo leggono ne capiscono totalmente altro, c'e' un' unica
possibilita':
si e' commesso un grosso errore.
Mi riferisco ovviamente all'articolo co-firmato da me e apparso su=
Liberazione
sul tema guerra\terrorismo.
Un tema sul quale quel giornale aveva da tempo aperto il dibattito e=
rispetto
al quale da tempo mi sarebbe piaciuto intervenire per contribuire alla
discussione.
Complice il poco tempo a ridosso della partenza per Mumbay, ho seguito la
proposta di un articolo a piu' mani senza dedicarvi il tempo che un tema
cosi' delicato avrebbe richiesto.
Il risultato, riletto con calma qui a Mumbay, e' quello di aver francamente
sbagliato.
Vorrei provare a spiegare il perche', sgombrando il campo da alcune
interpretazioni
dietrologiche che anche sulla stampa sono state date.
Non sono i compagni di firma il problema, persone anche molto diverse da
me, ma con le quali e' possibile che su un tema specifico si possa costruire
una riflessione comune. Nessuna alleanza strategica dunque, ma solo la
necessita'
di contribuire ad un dibattito con un contributo collettivo ( risultato
non raggiunto, ma di questo argomento in seguito).
Ne' tantomeno era mia intenzione partecipare ad un' operazione politica
che, mettendo insieme persone di culture differenti, andasse ad impattare
nella dialettica interna del PRC, schematicamente in funzione
anti-bertinottiana,
in particolare rispetto al percorso politico-elettorale intrapreso.
Casomai l' errore -grossolano lo riconosco- e' non aver riflettuto=
abbastanza
di come questa lettura potesse essere data indipendentemente dalle mie
intenzioni.
Ma e' soprattutto nel merito, che mi sento di dover riconoscere l'errore
compiuto.
Da tempo avrei voluto intervenire sulla questione guerra\terrorismo, perche'
continuo ad essere convinto che il dibattito cosi' com'e' stato impostato
sia largamente insufficiente.
In particolare, quello che avrei voluto comunicare e' che l' assunzione
della categoria "il terrorismo" come categoria unica e compiuta in se',
non aiuta l'analisi politica e di conseguenza non orienta l'azione del
movimento.
Occorre articolare la categoria, perche' altrimenti il rischio e' quello
di pensare al mondo come diviso tra due nemici uguali e contrari, che si
alimentano reciprocamente. Assumere acriticamente questa analisi, rischia,
aldila' delle intenzioni, di mettere dentro un'unica categoria fatti
estremamente
diversi fra loro, fino a provocare un certo balbettio e una difficolta'
d'iniziativa del movimento. Provo a fare un esempio : la strrage di Nassirya
contro il contingente italiano ha visto una enorme difficolta' di intervento
da parte del movimento, che si e' rivelato tanto timido nell'esprimere la
pietas per i morti di quel fatto quanto balbettante nello scendere in piazza
per il ritiro delle truppe italiane. Io credo che questa difficolta' fosse
dovuta proprio all'assunzione della categoria terrorismo come=
onnicomprensiva.
Se avessimo articolato la categoria, avremmo letto Nassirya come un atto
di guerra, doloroso quanto si voglia, ma che ci avrebbe consentito una
capacita'
d' iniziativa piu' incisiva, perche' avremmo ascritto quell'attentato come
l'ennesima violenza provocata dalla guerra permanente.
Insomma, quello di cui avremmo bisogno, credo sia una maggior capacita'
di analisi politica dei fenomeni in corso. In Iraq ci sono sicuramente=
gruppi
terroristi in azione, con l'appoggio dei servizi di paesi stranieri=
limitrofi;
ci sono sicuramente azioni di resistenza armata, piu' assimilabili a quella
che noi storicamente definiamo "resistenza"; e ci sono importanti fenomeni
di resistenza popolare non violenta.
Non separare queste vicende, analizzandole criticamente, rischia di mettere
tutto in un unico calderone,"il terrorismo", che non aiuta la nostra=
capacita'
d'iniziativa e di aggregazione.
Vale per l'Iraq come per moltissime altre situazioni. Ma quello che avrei
voluto (non riuscendovi, mi rendo conto) comunicare e' la necessita' di
piu' analisi politica.
Il risultato e' invece un documento che non contribuisce a questo obiettivo,
ma anzi rischia di far incistare il dibattito sullo schieramento etico
violenza\non
violenza come puro schema di appartenenza.
Un ultimo punto su questo. Riletto attentamente, il documento ha un=
passaggio
sui mezzi\fini che rischia di far pensare ad un arretramento=
macchiavelliano.
Non e' cosi', per quello che mi riguarda. Penso che i mezzi debbano
corrispondere
ai fini e che i fini debbano essere la capacita' di comunicazione e di
allargamento
del consenso di ogni iniziativa intrapresa. Questo significa, per la=
dinamica
italiana ed europea, quello che l'insieme del movimento ha da sempre ( pur
con qualche sbavatura) praticato, ovvero il patto genovese fondato su azioni
non violente, pacifiche e di disobbedienza civile.
Personalmente, tutto questo non mi impedisce di accettare in altre=
situazioni
altre forme purche' corrispondenti ai fini - capacita' di comunicazione
e allargamento del consenso-i quali valgono per qualsiasi situazione si
analizzi.
Questo in estrema sintesi quello che avrei voluto comunicare partecipando
alla stesura di quell'articolo. Mi rendo conto di non aver centrato
l'obiettivo.
Ma spero che troveremo tempi e modi per affrontare questo tema con
l'attenzione
e l'intelligenza collettiva che la delicatezza dell'argomento richiede.
Marco Bersani
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