[NuovoLaboratorio] Fw: [coordinamento-lavoratori-coop-soc-ge…

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Author: Carlo Ghione
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Subject: [NuovoLaboratorio] Fw: [coordinamento-lavoratori-coop-soc-genova] Collettivo operatori sociali Napoli
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To: "coordinamento-lavoratori-coop-soc-genova"
<coordinamento-lavoratori-coop-soc-genova@???>
Sent: Wednesday, June 25, 2003 1:58 PM
Subject: [coordinamento-lavoratori-coop-soc-genova] Collettivo operatori
sociali Napoli


Cari compagni, vi invio alcune riflessioni sulla recente ricerca effettuata
dalle Acli sui co.co.co._
Riteniamo doveroso pronunciarci su una ricerca che è stata utilizzata dai
mas-media per descrivere il mondo della prcarietà lavorativa come una sorta
di paese del "Bengodi", dove tutto è spensieratezza e soddisfazione,
travisando, tra l'altro, anche i dati della ricerca stessa i quali, pur
nella loro parzialità, denunciano tutt'altra condizione. E' grave che nella
ricerca non sia stata presa in considerazione la realtà degli operatori
sociali: del resto le Acli hanno lavorato su un campione di 1.000 persone,
estrapolato da un universo di 1.000.000 di co.co.co., non rappresentativo
dell'intero mondo della precarietà contrattuale, anche co.co.co., che gira
su cifre almeno doppie.
Vogliamo far circolare queste riflessioni nel nostro settoe ma investire
anche i giornali per provare una controinformazione doverosa.
Nel salutarvi, vi rinnoviamo l'invito a partecipare all'assemblea
internazionale del 4-5-6 luglio, a Napoli, di preparazione al Forum Sociale
Mediterraneo che si terrà a Barcellona nel marzo 2004. In particolare, il 4
luglio si terrà un tavolo su lavoro, precarietà e disoccupazione che vedrà
la partecipazione di molte realtà del bacino mediteraneo. E' importante
esserci. In attesa di vostre nuove vi salutiamo a pugno chiuso.

Collettivo OPeratrici e Operatori Sociali di Napoli
____________________________________________________________________________
____________________
Riflessioni sulla ricerca Acli dedicata al mondo dei co.co.co.
Un punto di vista differente.

La ricerca realizzata dalle Acli, in collaborazione con Censis e Iref, sul
popolo dei co.co.co ("VIVERE DA CO.CO.CO FLUTTUANDO TRA LAVORO E FAMIGLIA")
merita una riflessione piuttosto dovuta a causa di palesi contraddizioni
riscontrabili sia nella metodologia adottata sia nell'uso mediatico di cui i
dati elaborati sono stati oggetto.
In primis, come operatori sociali, contestiamo la valutazione complessiva
che attribuisce ad un milione di lavoratori la categoria contrattuale di
collaborazione coordinata e continuativa: la cifra reale si attesta,
infatti, sui due milioni di persone soggette a quella tipologia di contratto
e, in questo universo della precarietà, ben cinquecentomila appartengono al
Terzo settore, ovvero alla categoria degli operatori sociali. In termini
assoluti, si tratta del 25% dei collaboratori coordinati e continuativi,
addirittura del 50% dell'universo, un po' "limato", preso in considerazione
dalle Acli.
Bene, sul mondo degli operatori sociali la ricerca di cui parliamo non
fornisce dati, non cita casi, non da voce ad una fascia che più volte ha
espresso il proprio disagio per una condizione di precarietà, mobilità e
flessibilità lavorativa inaccettabile. Uno stato precario che, alla fine,
ricade anche sui destinatari dei servizi offerti, laddove chi lavora per
migliorare la qualità della vita di soggetti marginalizzati e disagiati,
troppo spesso deve fare i conti con una qualità della propria vita
decisamente scadente.
Questo silenzio sui co.co.co. del Terzo settore non è, dunque,
comprensibile; eppure in Italia ci sono circa 600.000 operatori sociali che
agiscono nei campi dei servizi alla persona (tossicodipendenze, sofferenze
psichiatriche, donne, immigrati, famiglie in difficoltà, anziani, portatori
di handicap, minori, minori a rischio, detenuti ed ex detenuti, ecc.). Di
questi, 500.000 hanno forme di contratto atipiche (cococo, contratti
occasionali, ecc.). Circa 100.000 sono inquadrati in CCNL e quasi tutti sono
impiegati in cooperative sociali che, complessivamente, vantano 150.000
operatori in organico.
Nella regione Campania, sono attive circa 600 tra associazioni e cooperative
sociali che coprono un bacino d'utenza di più di 50.000 unità. Le
cooperative sono più di 150.
Gli operatori impiegati sono sulle 5.300 unità: di questi, 4.856 hanno forme
contrattuali atipiche e solo 1.496 sono inquadrati in CCNL.
Nella provincia di Napoli, le strutture del Terzo Settore (Associazioni,
cooperative sociali, fondazioni, Enti morali) sono circa 260 e gli operatori
in organico sono più di 2.700, suddivisi in 2.080 precari e 630 a CCNL.
Questa evidente condizione di precarietà, prevalente, è ingigantita dai
recenti tagli alla spesa sociale, previsti nel documento di programmazione
economico finanziaria, approvato dal governo, che riduce l'erogazione dei
finanziamenti statali, diminuisce l'erogazione alle Regioni di quote IVA,
costringendo gli Enti locali a tagliare servizi fondamentali per l'utenza e
relegando molti operatori in condizioni di maggiore precarietà, fino alla
disoccupazione. Ad esempio, i fondi della legge 285, per interventi a favore
dei minori e dell'infanzia, sono stati decurtati all'incirca del 50%. In
termini pratici ciò significa che saranno dimezzati o eliminati progetti di
aiuto alle famiglie (tutoraggio, accompagnamento, baby sitteraggio, sostegno
scolastico, laboratori ricreativi, ludici e interculturali per minori di
famiglie a rischio di disagio sociale) che vedono occupati centinaia di
operatori sociali che servono un bacino d'utenza di migliaia di cittadini.
Orbene, se di popolo dei co.co.co. occorre parlare, non si possono ignorare
realtà così estese e complesse né tagliare a proprio piacimento l'intero
universo lavorativo di riferimento.
Sicuramente le percentuali di insoddisfazione sulle condizioni generali di
lavoro degli "atipici" si innalzerebbero di molto e si potrebbe offrire un
quadro più realistico di un disagio che pur si esprime in forme
diversificate e, spesso, giunge a produrre momenti di lotta anche incisivi.
In realtà, anche dalla ricerca delle Acli si rilevano dati che manifestano
uno stato di preoccupazione palese negli intervistati: ad esempio, il 54,2%
aspira ad una posizione più stabile, che assicuri maggiori garanzie e tutele
e l'83,9% dei co.co.co intervistati dichiara di avere idee abbastanza
chiare sul futuro essendo convinti (58,5%) che nei prossimi anni si ridurrà
l'ampiezza della copertura pubblica per sanità e previdenza e che non
riceveranno una pensione adeguata in futuro (64,7%).
Benché nella ricerca si utilizzi un campione che, ribadiamo, non è
rappresentativo di tutto l'universo della precarietà "atipica", anche solo
di quella dei co.co.co., leggiamo, comunque che "i collaboratori, se sono
soddisfatti delle mansioni svolte e della retribuzione ricevuta (ma qui
sarebbe stato interessante conoscere l'opinione degli operatori sociali),
non lo sono nei confronti del tipo di contratto (45,3%): i più insoddisfatti
sono, in particolare, i giovani e le donne. E spiegano perché: il contratto
co.co.co, a loro giudizio, è più svantaggioso rispetto al contratto di
lavoratore dipendente per quanto riguarda la sicurezza previdenziale (65,6%)
le tutele sindacali (66,3%), la stabilità lavorativa (62,8%), la formazione
continua (54,5%)."
"Ed è ancor più penalizzante se si confronta con la situazione in cui si
trova un libero professionista. In questo caso, infatti, le percentuali di
chi giudica il contratto co.co.co penalizzante salgono all'78,5% con
riferimento alla sicurezza previdenziale, al 79,1% per le tutele sindacali,
al 75,4% per la stabilità lavorativa e al 58,1% per quanto riguarda al
formazione continua. Ma lo svantaggio si misura anche in altro modo: il
contratto co.co.co ha di fatto rappresentato un ostacolo per ottenere un
finanziamento per acquisti a rate di beni durevoli (40,3%), o per ottenere
un mutuo per acquistare una casa (34,5%) e per fare una programmazione di
più lunga durata (51,2%)."
In aggiunta, notiamo che il target della ricerca Acli richiede una maggiore
sicurezza di lavoro, attraverso un contratto collettivo anche per i
collaboratori coordinati e continuativi (37,8%) e sottolineano come la
tutela degli interessi professionali attualmente venga svolta nel 74% dei
casi dallo stesso lavoratore e solo nel 7% dei casi attraverso il sindacato
o le organizzazioni di categoria. In conclusione, dalle interviste raccolte,
si evince che i co.co.co. hanno come obiettivo a breve termine l'aumento
della retribuzione (42,4%), il passaggio ad altre forme di contratto con
l'avvio di una attività autonoma (34,7%) o l'acquisizione di una
specializzazione più spendibile sul mercato (26,5%), anche se, a lungo
termine, il primo obiettivo cui guardano è quello di ottenere un lavoro
stabile (54,2%) o più vicino alle proprie competenze (32,2%),
Il quadro che emerge non è senz'altro roseo - pur nella parzialità del
campione esplorato - ma la cosa che maggiormente sconvolge è stata la
lettura che molti media hanno voluto trasmettere circa le valutazioni
generali dei dati elaborati.
Si è arrivati, su alcuni quotidiani, a colorare il mondo co.co.co. di un
alone di spensierata accettazione del proprio stato, di generale
soddisfazione per le condizioni lavorative, di felice aggancio con le
famiglie di provenienza che, comunque, consentono una rete di sostegno che
rende agevole l'esistenza, quasi a teorizzare la dipendenza familiare sine
die come un valore positivo, contrapposto al progetto di indipendenza
economica, logistica e relazionale.
Questa fotografia distorta dell'universo precario noi la contestiamo
profondamente e siamo decisi a stigmatizzare ogni tentativo di megafonare i
messaggi governativi di accettazione dell'instabilità lavorativa come
presupposto della nostra vita presente e futura, come l'unico mondo
possibile.
La realtà è ben diversa e noi l'abbiamo denunciata con forza ed ancora ci
mobilitiamo per difendere il nostro bisogno/diritto a condizioni lavorative
dignitose, stabili, garantite da CCNL, rispettose della nostra
professionalità.
Questa tensione ci lega a tutte le componenti del lavoro e della precarietà
che lottano contro la riforma del mercato del lavoro che tende a
generalizzare e normalizzare condizioni di instabilità lavorativa per tutti.
Siamo sordi alle sirene di regime. Vogliamo dire la verità sul nostro
settore e su tutta la precarietà sociale e del lavoro, prodotta dal sistema
neoliberista e per questo crediamo doveroso puntualizzare il nostro modo di
vedere, leggere e trasformare la realtà anche e soprattutto quando altri si
occupano di noi con messaggi che non ci appaiono chiari

Collettivo Operatrici e Operatori Sociali di Napoli







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