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L'«Altra America» tra mito e politica II
5. Europa e America
Il percorso di un personaggio come Jerry Rubin, co-fondatore con Krassner
dello YIP (i cui membri erano noti come yippies), è certo significativo.
Rubin era a Berke-ley tra il dicembre 1964 e il gennaio 1965; ha poi
partecipato agli esperimenti della controcultura nella Baia di san
Francisco, ai rituali comunitari, ai grandi concerti, ec-cetera. Poi gli
yippies: dall'attacco alla Borsa con diluvio di banconote al tentativo di
far lievitare il Pentagono, dalla candidatura di un maialino alle elezioni
politiche ai teatralismi del processo agli otto di Chicago . una serie di
clamorosi tentativi di co-struire una politica dell'antipolitica. Un suo
libro, pubblicato anche in Italia, diventa famoso (Do It!), anche perché,
nel più puro stile dell'epoca, valorizza il «comuni-smo» dipingendolo non
nei termini del socialismo reale, ma come un'età di liberazio-ne collettiva
(di fatto, con il termine «comunismo» Rubin tendeva piuttosto a indicare una
società libera su base comunitaria). Negli anni Settanta è stato
protagonista del riflusso dandosi anche alla New Age. Un paio d'anni fa è
morto. Sui giornali italiani sono stati richiesti pareri ai vari
protagonisti del '68. Ricordo in particolare un com-mento di Mario Capanna,
secondo il quale all'epoca lui e in generale il Movimento Studentesco erano
molto attenti a ciò che succedeva in America e alle lezioni che provenivano
dagli ambienti della New Left e della controcultura.
Tuttavia, la versione odierna di Capanna - offerta, è bene ricordarlo, in un
clima politico in cui le opzioni marxiste sembrano essere definitivamente
tramontate - ri-sulta storicamente ambigua, se non ingannevole. Nel suo noto
Formidabili quegli an-ni, pubblicato nel ventennale del '68, si legge che «i
primi segni della ribellione si manifestano negli Stati Uniti e noi li
osserviamo con molta attenzione». Segue una versione delle lotte
studentesche e un breve accenno all'ascesa della controcultura (con
citazione di Jerry Rubin, noto in Italia appunto per il suo Do It!). In gene
rale, pe-rò, Capanna sottolinea i temi dell'attacco all'imperialismo e dell'
alienazione della condizione studentesca. Certo, una «lezione» all'epoca si
coglie, ma non è quella dell'esperienza libertaria: «Dalle risaie del
Vietnam, ci dicevamo nelle riunioni, viene una lezione che nessun barone può
darci [.]». Ciò su cui Capanna insiste è il rac-cordo tra «la lotta del
popolo vietnamita» e il «grande movimento di critica e di tra-sformazione
degli studenti». L'enfasi va a una lettura del fenomeno su basi marxiste:
«Leggevamo Marx e altri autori marxisti. E leggevamo teologi allora
innovatori [Ca-panna studia alla Cattolica]. Sugli uni e sugli altri
facevamo sovente discussioni che duravano fino all'alba». Ancora nel 1994,
nella seconda edizione del suo libro, Ca-panna offre una lista delle
«differenti culture» che «convergevano» «nella ricerca di cambiamento»:
«Quella cattolica e quella marxista, il pensiero orientale come quello
terzomondista». Il linguaggio del suo libro è inequivocabile. In un passo
successivo, le diverse forze in gioco sono identificate nel seguente modo:
in primo luogo i marxi-sti-leninisti; in secondo, i gruppi «economicisti,
spontaneisti, operaisti e movimenti-sti» (Lotta Continua e Potere Operaio);
infine, il movimento studentesco, la cui anali-si si fondava sull'idea che
«l'università e la scuola sono un anello particolare nella catena del
dominio di classe», tesi che rappresenta «un aggiornamento creativo dell'
idea di Antonio Gramsci».
Le considerazioni di Capanna ci offrono il destro per discutere cosa viene
recepito, in Europa, della lezione libertaria, antistatalista,
individualista e antipolitica che emerge dall'esperienza americana. In linea
di massima, nelle zone che sono state l'epicentro del fenomeno - Francia,
Italia, Germania - il '68 prende strade che deb-bono poco, molto poco, a
tale esperienza. Idee, linguaggi, proposte, analisi, fanno ri-ferimento ad
altri modelli, altri paradigmi.
Prendiamo in esame proprio il libro che nel 1969 Daniel Cohn-Bendit scrisse
in-sieme al fratello, L'estremismo, rimedio alla malattia senile del
comunismo. Testo molto noto, anche perché sembrava raccordare, almeno in
parte, le istanze emerse dall'ethos libertario degli anni Sessanta con un
linguaggio e con una serie di preooc-cupazioni più tipiche della cultura
antagonistica di matrice marxista. I due Cohn-Bendit contestavano con forza
la concezione della politica avanzata dalla sinistra sto-rica (cioè quella
socialista di matrice marxista), intesa come vittoria elettorale e
con-quista dello stato. Altrettanta avversione provavano per le burocrazie
di partito, in particolare per quella elefantiache degli stessi partiti
comunisti. Con il proposito di valorizzare l'iniziativa dal basso e di
restituire ai gruppi antagonisti l'iniziativa diretta nella lotta politica,
i due riproponevano l'idea consiliare mediante una riflessione sulla
rivoluzione russa che condannava l'organizzazione burocratica dei
bolscevichi e recuperava i suoi avversari spontaneisti (gli anarchici russi,
Rosa Luxembourg, Anton Pannekoek). Tuttavia, la riflessione dei due
Cohn-Bendit si muoveva ancora nell'ambito marxista della lotta di classe e
della centralità operaia. Mi sembra che questo sia il punto chiave per
comprendere la meccanica del '68 in Europa. In Fran-cia, Italia e Germania,
paesi a prevalente tradizione marxista (soprattutto i primi due), in cui
sono presenti forti movimenti operai, esiste già una tradizione politica
antago-nista, collocata in partiti dotati di quadri articolati e di
intellettuali più o meno «orga-nici». I suggerimenti provenienti da quella
riemersione di temi associati a una cultura politica libertaria che pare
caratterizzate gli anni Sessanta e conferire senso alle espe-rienze
controculturali si incontra/scontra con modelli e paradigmi segnati dal
marxi-smo, dalla lotta di classe, da un'idea tutt'altro che inedita della
politica. In sostanza, tali suggerimenti vengono rapidamente inglobati, dopo
la fiammata iniziale, in una concettualizzazione complessiva che rimanda,
ammodernati e resi up to date, ai valo-ri e alle strategie della tradizione
marxista-bolscevica.
Si pensi a uno dei libri italiani più famosi dei primi anni Settanta:
Underground: a pugno chiuso di Andrea Valcarenghi, uno dei cervelli di Re
Nudo. Scritto da uno de-gli esponenti dell'ala freak del Movimento (in Re
Nudo convivevano militanti di Lotta Continua e più convinti sostenitori
delle virtù taumaturgico-politiche dello spi-nello), sia il titolo sia la
copertina - Mao Tse Tung ritoccato ai capelli in modo da farne un hippy -
esponevano un programma La cosa curiosa è che il testo di Valca-renghi,
riletto oggi, prova in modo quasi definitivo l'impossibilità di conciliare
la prospettiva di quella sinistra europea che si rifaceva, sia pure tra
mille dubbi e mille rivisitazioni, alla tradizione marxista e la lezione
proveniente dall'America, che, co-me abbiamo visto, rimandava invece a una
visione individualista e libertaria. In Un-derground sembrano convivere -
sul piano dell'espressione, del linguaggio, persino della progettualità - il
riferimento a entrambe le prospettive. Valcarenghi racconta una duplice
storia: la scoperta del mondo freak e dei suoi valori, e, in contemporanea,
la marxistizzazione del Movimento dei giovani, insistendo sulla possibilità,
anzi sulla necessità, di conciliarli. Certo, l'autore non ignora i problemi
e le problematiche di fondo, sia da una parte sia dall'altra. «Il Movimento
era diventato forte, ma anche stalinista. Questo era forse il vero
significato di quel "riscopriamo Lenin" detto da Capanna nel settembre del
'69», afferma: «Le istanze sessantottesche che venivano fuori da una pratica
di movimento reale», conclude a giustificazione della decisione di fondare
Re nudo, «sono soffocate da un clima operaistico e militaresco. I problemi
sono grossi perché la situazione politica italiana sta precipitando verso la
reazione. Ma il problema esistenziale è sentitissimo». Nella rivista, a suo
parere, le due tenden-ze potrebbero fondersi: «Re Nudo realizza nella
pratica l'inizio della svolta politica, dove si affermano esplicitamente i
richiami alla teoria marxista, a Mao Tze Tung, e alla cultura giovanile
americana come riferimento storico». Tuttavia, lo sfondo delle iniziative di
Valcarenghi è sempre più caratterizzato dal linguaggio e dalla prospetti-va
comunista, anche se con vari condimenti che suggeriscono la condivisione di
fon-do della prospettiva dei teorici del cosiddetto «comunismo [marxista]
libertario», co-me per esempio Daniel Guerin o lo stesso Daniel Cohn-Bendit:
«La rivoluzione è un atto di forza con cui una classe rovescia l'altra»,
afferma in polemica con il riformi-smo comunista, affrontando uno dei
concetti chiave del periodo, «la rivoluzione la si fa senza chiedere il
permesso».
Proponendo tale concettualizzazione della Rivoluzione (con la R maiuscola),
appa-rentemente - ma solo apparentemente - in contrasto con l'atteggiamento
socialdemo-cratico sposato dal PCI, Valcarenghi accetta, probabilmente senza
comprendere sino in fondo la natura di tale opzione, una visione della
politica e quindi dell'antagonismo ancora tradizionale. Non a caso, il suo
libro si chiude con la confu-tazione delle premesse libertarie
«secessioniste» della contemporanea esperienza americana, ovvero del
particolare insegnamento proposto dalla controcultura a propo-sito «della
costruzione delle strutture alternative»: «Questo significa innanzitutto che
è necessario analizzare criticamente, da un punto di vista di classe, lo
sviluppo del Movement negli Stati Uniti e vedere così quei limiti che lo
hanno costretto a rinchiu-dersi sempre più in se stesso vittima di una
logica di ghetto che lo ha caratterizzato fin dalla nascita. Strutture
alternative slegate dalla lotta di classe: comuni rurali che non tentavano
neppure di collegarsi con i movimenti di lotta e quindi destinate a
di-ventare, nel migliore dei casi, dei ghetti d'oro nella società di merda.
In questo qua-dro anche i servizi di assistenza e la pratica della
decolonizzazione della vita quoti-diana diventavano momenti di separazione
della lotta per la rivoluzione sociale». Nella rivendicazione della
centralità dell'analisi di «classe» e delle esigenze della «rivoluzione
sociale» possiamo oggi leggere, con chiarezza, l'impossibilità di capire - e
quindi di recepire - sino in fondo la lezione di «antipolitica» proveniente
dall'America.
6. Una lezione di libertà?
Nei dieci anni successivi al '68, che si chiuderanno sul nuovo incendio del
'77, ne-gli ambienti dell'ultrasinistra crescerà a dismisura il senso di
disagio per le «promes-se mancate» dell'esplosione dei Sixties. Nel
«Movimento» si moltiplicheranno le tesi e le analisi, improntate in genere
dal contrasto tra un politica «movimentista» e una di piena accettazione
della logica partitica e parlamentare. Difficilmente i protagonisti del
dibattito torneranno a discutere delle radici della questione, cioè dell'
irrimediabile contrasto tra impostazione libertaria e impostazione
autoritaria del tema liberazio-ne/rivoluzione.
Tuttavia, è utile in proposito confrontare tra loro due testi significativi,
scritti da due dei «capetti» di Trento nel momento d'oro della
contestazione. Il '68 è morto: via il '68 di Marco Boato viene pubblicato
nel 1979, mentre I giovani non sono piante di Aldo Ricci viene pubblicato da
SugarCo l'anno prima (e poi ristampato da Gammali-bri nel 1982 con qualche
modifica e il più chiaro titolo Contro il '68). Boato è piena-mente
consapevole della natura del problema storico-politico: «Come trasformare la
ribellione in rivoluzione, per dirla con una frase semplicissima: [.] è qui,
soprattut-to, che il movimento del '68 ha negato se stesso e la sua
originalità e creatività stori-ca, per ripercorrere vecchie strade e
riesumare vecchie formule (di strat4egia, di or-ganizzazione, di tattica)».
Il criterio di valutazione resta però quello «politico-organizzativo» e le
cause del «'68» sono indicate con termini e linguaggio la cui ma-trice è
facilmente identificabile: crisi del «meccanismo di accumulazione
capitalisti-co», tramonto del centro.sinistra, «ripresa delle lotte
operaie», «disgregazione» della morale contadina-cattolica-tradizionale,
guerra del Vietnam e decolonizzazione. E via di seguito, senza sorpresa
alcuna, visto che Boato era all'epoca uno dei dirigenti della «nuova»
Democrazia Proletaria.
Se l'interpretazione di Boato è ancorata a una visione sostanzialmente
economici-stica, quella di Ricci è invece piuttosto originale (e concorda,
per quanto riguarda il rapporto tra marxismo/controcultura in Europa, con
quella qui proposta). Nel para-grafo maggiormente rivelatore, Ricci descrive
le «due matrici», le «due anime», dei ribelli di Trento attraverso una
critica dell'approccio al problema della cultura giova-nile antagonistica
proposto dal maitre à penser Francesco Alberoni. Il principale di-fetto dell
'interpretazione di quest'ultimo è la «sistematica sopravvalutazione del
ruolo della rivoluzione politica e [la] sistematica sottovalutazione della
rivoluzione antropologica che [.] è l'unica ad essersi in qualche modo
affermata nel mondo oc-cidentale». Ricci coglie la divaricazione necessaria
tra le due anime, tra «due istanze opposte e inconciliabili», che riescono a
trovare una sintesi solo grazie alle persona-lità carismatiche - e da qui si
dipana un altro filone di ricerca del libro, che riscopre, nel magma
sessantottino, le tendenze autoritarie e dirigistiche nel Movimento stesso.
In quanto alla meccanica di recupero/affermazione della tradizione marxista,
Ricci si sofferma sul comportamento dei giovani, che, «dopo un lampo
ribellico troppo ico-noclasta per per/durare a lungo contro i loro babbi»,
«si dedicarono presto al recupero di universi ideologici che sarebbero
potuto appartenere ai loro nonni»: così «la con-trocultura [.] è rapidamente
rimpiazzata dallo spettacolo esaltante di questi "travestiti in divisa"
[maoista], in estatica e perenne contemplazione del "celeste pre-sidente" e
del suo catechismo rosso in edizione economica, di cui detengono l'esclusiva
anche commerciale. Ovviamente non tutti sono "venditori autorizzati" di
orpelli e immaginette sacre, le parrocchie sono tante, oltre a quelle
filomaoiste che passano il tempo a scomunicarsi vicendevolmente, ce ne sono
tante altre, molto meno appariscenti, diverse fra loro, a volte persino in
lotta ma tutte accomunate dalla fede leninista: ideologia sottosviluppata e
disadatta ai contesti occidentali più o meno avanzati. Comunque così iniziò
in Europa il revival leninista». L'analisi di Ricci mette correttamente in
luce il retroterra ideologico che sottostà al rifiuto sostanziale dei
modelli controculturali - «che qui non è stato possibile non solo produrre
ma nemmeno fruire a livello di semplice circolazione di modelli di
comportamento» - che ha caratterizzato la storia stessa del Movimento,
nonché la «pagliaccesca di/ver/sificazione» tra PCI e DC: «Un'unica matrice
culturale, ideologica, religiosa perfettamente comune a entrambe: la matrice
cattolica».
L'analisi di Ricci mi sembra in sostanza abbastanza isolata. Le successive
rifles-sioni di protagonisti e di studiosi del '68, soprattutto quelle
comparse negli anni No-vanta, mi sembrano continuare a svolgersi tra due
poli: da un lato una sostanziale fe-deltà alla tradizione consolidata, in
cui prevalgono tesi e argomentazioni incentrati sul rapporto tra Movimento e
sfera del politico, che in sostanza riproducono (con il tentativo, appunto
«pagliaccesco», di diversificare gruppi e tendenze) la visione mar-xista
della storia e dell'interazione sociale; dall'altro abbiamo invece una
sostanziale sfiducia in questa tradizione, con il tentativo di identificare
e recuperare le istanze li-bertarie, antipolitiche, «antropologiche» (nella
terminologia di Ricci) degli anni Ses-santa, pur senza riuscire, in genere,
a superare l'impostazione che vede nell'immaginario generato dal marxismo un
punto di riferimento imprescindibile. Il problema di fondo mi pare stia
nella difficoltà di staccarsi da una visione del '68 ormai standardizzata,
che considera l'annus mirabile il culmine, o la realizzazione ultima, delle
istanze libertarie emerse negli anni Sessanta; al contrario, un'analisi
sto-rica disincantata non può oggi che prendere atto dell'insanabile
contrasto tra l'esperienza americana, che nasce e si sviluppa appunto sul
terreno di una tradizione radicale e libertaria, e l'apparato ideologico e
filosofico marxista. Proprio in questo senso mi sembra si possa dire che il
mancato incontro «sessantottino» tra Europa e America abbia costituito, per
la sinistra del Vecchio Mondo, una grande occasione perduta per rinnovare,
su basi differenti, la propria concezione della libertà.
Riferimenti bibliografici
Per la seguente bibliografia ho privilegiato gli studi che vantano un
qualche appa-rato storico-critico, trascurando volutamente gli innumerevoli
volumi autobiografici e di memorie, i commento «a caldo», eccetera (tranne,
ovviamente, quelli citati nel te-sto). Una buona bibliografia sul '68,
soprattutto in Italia, si trova, opera del curatore, in Le radici del '68, a
cura di M. Scavino, Baldini&Castoldi, Milano 1998. Qui il lettore potrà
trovare anche utili indicazioni per i molti volumi che presentano i testi
essenziali del periodo (italiani e non). L'antologia curata da F. Pivano è
stata ripub-blicata di recente: L'altra America, 2 voll., Arcana, Milano
1993.
1. Tra gli studi più utili, a proposito della natura del '68 rispetto al
complesso degl anni Sessanta, mi sembrano ora: M. Teodori, Storia delle
nuove sinistre in Europa, Il Mulino, Bologna 1976; Il Sessantotto: l'evento
e la storia, «Annali della fondazione Luigi Micheletti», IV, 1988-1989; P.
Ortoleva, I movimenti dell'68 in Europa e in America, Editori Riuniti, Roma
1998 (I ed. 1988); A. Mangano, Il senso della possi-bilità. La sinistra e l'
immaginario, Antonio Pellicani, Roma 1988; B. Bongiovanni, «Società di
massa, mondo giovanile e crisi di valori. La contestazione del '68», in La
Storia, dir. da M. Firpo e N. Tranfaglia, Utet, Torino 1988; P. Collier, D.
Horowitz, Destructive Generations: Second Thoughts about the '60s, Summit
Books, New York 1989; W. Breines, Community and Organization in the New
Left, 1962-1968: The Great Refusal, Rutgers University Press, New Brunswick
1989; R. Lumley, Dal '68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi
italiana, tr. it. Giunti, Firenze 1998 (ed. or. 1990); La cultura e i luoghi
del '68, a cura di A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia, Franco Angeli,
Milano 1991; D. Chalmers, And the Crooked Places Made Straight: The Struggle
for Social Change in the 1960s, Johns Hopkins University Press, Baltimore
1991; T. Anderson, The Movement and the Sixties, Oxford Univer-sity Press,
New York 1996 (I ed. 1995); D. Burner, Making Peace with the 60s, Pricneton
University Press, princeton 1996; P. Berman, A Tale of Two Utopias: the
Political Journey of the Generation of '68, Norton, New York 1997; A.
Mangano, 1969. L'anno della rivolta, M&B, Milano 1999. La locuzione «spirito
nuovo» è tratta da un saggio anticipatore di Paul Goodman, «Crisis and the
New Spirit», ora in Uto-pian Essays and Practical Proposals, Random House,
New York 1962.
2. Sulla controcultura in generale si vedano ora, oltre al cap. 4 del
sopracitato D. Chalmers, And the Crooked Places Made Straight, al cap. 5 del
sopracitato T. Ander-son, The Movement, e al cap. 4 del sopracitato D.
Burner, Making Peace with the '60s: M. Dickstein, Gates of Eden: American
Cultures in the Sixties, Penguin, New York 1989 (I ed. 1977); M. Yinger,
Countercultures, Free Press, New York 1982; P.S. George, J.M. Starr, «Beat
Politics: New Left and Hippie Beginnings in the Postwar Counterculture», in
Cultural Politics, a cura di J.M. Starr, Praeger, new York 1985; P. O
Witmer, Acquarius Revisited, Macmillan New York 1987; T. Miller, The Hippies
and American Values, University of Tennessee Press, Knoxville 1991; C.
Saint-Jean-Paulin, La contre-culture, Autrement, Paris 1997. Due classici
sull'argomento ancora oggi vivaci e pregnanti sono T. Roszak, The Making of
a Counterculture, Doubleday, New York 1969 e C. Reich, The Greening of
America, Penguin, Harmondsworth 1982 (I ed. 1970) (tradotti in italiano
rispettivamente come La nascita di una controcultura, Feltrinelli, Milano
1971, e La nuova America, Riz-zoli, Milano 1972).
Sulla rivoluzione sessuale e si suoi alfieri si vedano R. King, The Party of
Eros, Dell, New York 1973 (I ed. 1972); B. Vincent, Paul Goodman et la
reconquête du présent, Seuil, Paris 1976; P. Adamo, «L'anarchismo
'riformista' di Paul Goodman», introduzione a P. Goodman, Individuo e
comunità, Elèuthera, Milano 1995; L. Casini, Eros e utopia, Carocci, Roma
1999; D. Allyn, Make Love not War. The Sexual Re-volution, Little, Brown &
Company, 2000. Sui critici della rivoluzione sessuale si ve-dano, oltre ai
tre volumi della Storia della sessualità di Michel Foucault, tr. it.
Feltri-nelli, Milano 1984, il recente E.M. Jones, Libido Dominandi: Sexual
Liberation and Political Control, Saint Augustine's Press, New York 1999.
Le citazioni sono tratte da H. Marcuse, Eros e civiltà, tr. it. Einaudi,
Torino 1968, e N. Brown, Love's Body, University of Califronia Press,
Berkely-Los Angeles-Oxford 1984 (I ed. 1966), mentre per David Cooper il
riferimento è al saggio «Manifesto dell'orgasmo», tr. it. in Grammatica del
vivere, Feltrinelli, Milano 1977.
3. Sulla «vera storia» dell'LSD e, più in generale, sullo sviluppo di temi
psichede-lici negli anni Sesssnta, si vedano B. Shlain, M. Lee, Acid Dreams.
The Complete So-cial History of LSD: The CIA, the Sixties and Beyond, Grove
Weidenfeld, New York 1992 (I ed. 1985), e J. Stevens, Storming Heaven. LSD
and the American Dream, Harper and Row, New York 1988 (I ed. 1987). Inoltre:
C. Perry, The Haight-Ashbury. A History, Vintage Books, New York 1985 (I.
ed. 1984). Un testo che uni-sce la prospettiva degli alfieri della
liberazione sessuale e degli apologeti della rivo-luzione psichedelica è
R.A. Wilson, Sex & Drugs. A Journey beyond Limits, Falcon, Phoenix 1993 (I
ed. 1973). Le citazioni sono tratte da T. Roszak, op. cit.; T. Leary, The
Politics of Ecstasy, Ronin, Berkeley 1993; B. Miles, Ginsberg. A Biography,
Penguin, Harmonmdsworth 1990 (I. ed 1989).
4. Sulla tradizione libertaria americana e sulla sua concezione della
politica si ve-dano R. Rocker, Pionieri della libertà, tr. it. Eleuthera,
Milano 1982 (ed. or. 1949); J.J. Martin, Men against the State. The
Expositors of Individualist Anarchism in Ame-rica, 1827-1908, Libertarian
Book Club, New York 1957 (I ed. 1953); L. Perry, Ra-dical Abolitionism.
Anarchy and the Government of God in Antislavery Thought, Cornell University
Press, Ithaca-London 1973; E.W. Reichert, Partisans of Freedom. A Study in
American Anarchism, Popular Press, Bowling Green 1976; R. Creagh, L'
anarchisme aux Etats-Unis, 2 voll., Didier Erudition, Paris 1976;W.G. Kline,
The Individualist Anarchists, University Press of America, Lanham-New
York-London 1987. Sulla continuità di tale tradizione e sul suo recupero da
parte della controcultu-ra si vedano L. Veysey, The Communal Experience.
Anarchist and Mystical Commu-nities in Twentieth-Century America, The
University of Chicago Press, Chicago-London 1978 (I. ed. 1973); D. DeLeon,
The American as Anarchist, The Johns Hopkins University Press,
Baltimore-London 1978. Sia concesso il rimando anche a P. Adamo,
«Anarco-individualismo», Bollettino di filosofia politica, VI, n. 12-13,
gennaio-dicembre 1995; P. Adamo, «Gli esistenzialisti dell'anarchia», in
Volontà, n. 3-4, 1996; P. Adamo, «Anarchisme et contre-culture. Le «San
Francisco Oracle» 1966-1968», in Les Incendaiires de l'imaginaire, a cura di
A. Pessin e M. Pucciarelli, Atelier de crèation libertaire, Lyon 2000.
Le citazioni sono tratte da C. Reich, op. cit.; U.K. Le Guin, The
Dispossessed, Avon, New York 1975; N, Brown, «A Reply to Marcuse»,
Commentary, March 1967; P. Krassner, Confession of a Raving, Unconfined Nut.
Misadventures in the Counter-Culture, Simon & Schuster, New York 1993.
5. Le citazioni sono tratte da M. Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli,
Mila-no 1995 (I ed. 1988, II ed. 1994); G. e D. Cohn-Bendit, L'estremismo,
rimedio alla malattia senile del comunismo, tr. it. Einaudi, Torino 1969 (I
ed 1968); A. Valcaren-ghi, Underground: a pugno chiuso, Arcana, Roma 1973.
Il «classico» Do It! di Jerry Rubin (Simon & Schuster, New York 1970) è
tradotto in Italia l'anno successivo (Do It! Fallo!, Milano Libri, Milano
1971).
6. Sulla storia dell'«ultrasinistra» si vedano, oltre a molti titoli citati
sopra, M. Mo-nicelli, L'ultrasinistra in Italia 1968-1978, Laterza,
Roma-Bari 1978; D. Protti, Cro-nache di "nuova sinistra", Gammalibri, Milano
1979; L. Bobbio, Storia di Lotta Continua, Feltrinelli, Milan 1988 (I ed.
1979); N. Balestrini, P. Moroni, L'orda d'oro 1968-1977, SugarCo, Milano
1988. Le citazioni sono tratte da A. Ricci, I giovani non sono piante,
SugarCo, Milano 1978, e M. Boato, Il '68 è morto: viva il '68, Bertani,
Verona 1979.