[Cerchio] Chomsky intervistato da Michael Albert

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Chomsky intervistato da Michael Albert
      Le lezioni dall'Iraq



      Ci sono delle persone in festa per le strade delle città irachene. In
retrospettiva, ciò indebolisce la logica dell'opposizione alla guerra?
      Sono rimasto sorpreso da quanto fossero pochi e da quanto abbiano
tardato. Ogni persona ragionevole, e gli Iracheni più di tutti, dovrebbe
vedere con favore la caduta di un tiranno, e la fine delle devastanti
sanzioni economiche. Ma il movimento di opposizione alla guerra, o almeno
quella parte di cui sono a conoscenza, era sempre stato a favore della loro
fine, perché si era opposto alle sanzioni che stavano distruggendo il paese
e minando alla radici la possibilità di una rivolta interna che inviasse
Saddam sulla via di altri brutali assassini sostenuti dagli attuali
governanti a Washington. Il movimento contro la guerra ha sostenuto che gli
Iracheni, non il governo degli Stati Uniti, debbano governare il paese. Ed
ancora lo sostiene, o almeno dovrebbe; e può avere un sostanziale impatto a
questo riguardo. Gli oppositori al conflitto sono stati anche giustamente
sconvolti dalla totale mancanza di preoccupazione per le possibili
conseguenze umanitarie dell'attacco, e dalla inquietante strategia secondo
cui questo avrebbe dovuto "costituire un precedente". Le questioni
fondamentali rimangono: Chi governerà l'Iraq: gli Iracheni o una élite
texana? Il popolo americano permetterà a dei ristretti settori reazionari
che sostengono apertamente il potere politico di mettere in pratica i propri
obiettivi in materia di politica interna ed estera?



      Non sono state trovate armi di distruzione di massa. In retrospettiva,
ciò indebolisce le ragioni dell'amministrazione Bush in favore della guerra?


      Solo se le si fosse prese sul serio fin dall'inizio. La leadership
finge di crederci ancora, come evidenziano gli attuali commenti di
Fleischer. Se riescono a trovare qualcosa, il che non è improbabile, sarà
strombazzato ai quattro venti come giustificazione della guerra. Se non ci
riescono, l'intera questione sarà "insabbiata" come d'abitudine.



      Se adesso le armi di distruzione di massa verranno trovate, e la loro
scoperta sarà comprovata, in retrospettiva verrà indebolita l'opposizione
alla guerra?


      Questo è impossibile dal punto di vista logico. Le politiche e le
opinioni su questo argomento sono determinate da ciò che si sa o si suppone
essere vero, non da ciò che viene scoperto successivamente. Dovrebbe essere
ovvio.



      Ci sarà una democrazia in Iraq, come conseguenza di questa invasione?


      Dipende dal significato che attribuiamo alla parola "democrazia".
Immagino che lo staff delle pubbliche relazioni di Bush vorrà introdurre
qualche tipo di democrazia formale, purché non abbia consistenza. Ma è
difficile immaginare che verrà data realmente voce alla maggioranza sciita,
che probabilmente si unirà al resto della regione nel tentativo di stabilire
relazioni più strette con l'Iran, l'ultima cosa che la congrega di Bush
desidera. O anche che venga data effettivamente voce all'altra componente
più numerosa della popolazione, i Curdi, che probabilmente richiederanno una
certa autonomia all'interno di una struttura federale, e questo suonerebbe
come un anatema per la Turchia, il più importante avamposto del potere
statunitense nella regione. Non bisognerebbe farsi fuorviare dalla recente
reazione isterica al "crimine" del governo turco, reo di aver adottato una
linea politica condivisa dal 95% della sua popolazione, un altro indicatore
dell'odio appassionato che qui i circoli delle élite nutrono dei confronti
della democrazia, ed un'altra ragione per cui una persona ragionevole non
può prendere sul serio questa retorica. Lo stesso vale per tutta la regione.
Una democrazia funzionante darebbe vita a conseguenze inconciliabili con gli
obiettivi dell'egemonia americana, come sempre avviene nei "cortili dello
zio Sam" da più di un secolo.



      Quale messaggio è giunto ai governi di tutto il mondo, e quali le sue
conseguenze più probabili?


      Il messaggio è che l'amministrazione Bush desidera che la sua
Strategia per la Sicurezza Nazionale venga presa sul serio, come dimostra il
"precedente" attualmente stabilito. Con tale strategia, gli Stati Uniti si
propongono di dominare il mondo con la forza militare, l'unico campo in cui
primeggiano incontrastati, e vogliono farlo in modo permanente. Un messaggio
più specifico, illustrato drammaticamente dal caso Iraq-Corea del Nord, è
che se desideri metterti al riparo da un attacco statunitense fai meglio a
procurarti un deterrente credibile. È assolutamente evidente nei circoli
delle élite che la conseguenza probabile sarà la proliferazione di armi di
distruzione di massa e del terrorismo, sotto varie forme, basato sulla paura
e sul ribrezzo per l'amministrazione statunitense, considerata come la più
grande minaccia alla pace mondiale già prima dell'invasione. Non si tratta
di questioni da poco, in questi giorni. Le problematiche della pace sfumano
rapidamente all'interno di questioni concernenti la sopravvivenza della
specie umana, a causa della portata distruttiva di questi armamenti.



      Qual è stato il ruolo dell'establishment dei media americani nello
spianare la strada alla guerra, nel motivarla, nel restringere i termini
della discussione, ecc?


      I media hanno riportato in modo acritico la propaganda governativa
sulla minaccia alla sicurezza statunitense portata dall'Iraq, sul suo
coinvolgimento nei fatti dell'11 settembre e nel terrorismo, ecc. Alcuni
hanno amplificato il messaggio per quanto fosse loro possibile, altri lo
hanno semplicemente riportato. I risultati dei sondaggi sono stati
sensazionali, come è già capitato spesso in precedenza. La discussione è
stata, come al solito, ristretta alle "argomentazioni pragmatiche": il
desiderio del governo americano di mettere in pratica i suoi piani ad un
prezzo accettabile per il paese. Una volta che la guerra è iniziata, tutto
si è trasformato in un vergognoso tifo per la squadra di casa, disgustando
parecchio il resto del mondo.



      Qual è il prossimo obiettivo in programma, in linea di massima, per
Bush e i suoi amici, qualora siano in grado di perseguire i loro intenti?


      Hanno annunciato pubblicamente che i prossimi bersagli potrebbero
essere Siria ed Iran, il che richiederebbe una forte presenza militare in
Iraq, presumibilmente; ecco un'altra ragione per cui è improbabile la
realizzazione di qualsiasi significativa democrazia. Fonti degne di fiducia
hanno riferito che da qualche tempo gli Stati Uniti ed i loro alleati
(Turchia, Israele e altri) si starebbero preparando allo smembramento
dell'Iran. Ma ci sono tanti altri obiettivi possibili. La regione delle Ande
presenta molti requisiti: dispone di molte risorse preziose, petrolio
compreso. Si trova in una situazione tumultuosa, con molti movimenti
popolari indipendenti che non sono sotto controllo. Ed è circondata da basi
statunitensi, con forze militari americane già sul terreno. E ci sono anche
altri obiettivi pensabili.



      Quali ostacoli si trovano attualmente sulla strada di Bush e dei suoi
amici per fare ciò che vogliono, e quali altri ostacoli possono sorgere?


      Il primo ostacolo se lo ritrovano in casa. Ma quello tocca a noi.



      Quale è stata la tua impressione sul movimento di opposizione alla
guerra e come dovrebbe agire adesso?


      Il movimento di opposizione alla guerra qui è stato assolutamente
senza precedenti per dimensioni ed impegno, ne abbiamo già parlato prima, e
questo è sicuramente evidente per chi abbia avuto una qualche esperienza in
materia negli ultimi quaranta anni. I suoi obiettivi attuali, penso,
dovrebbero consistere nell'assicurarsi che l'Iraq venga governato dagli
Iracheni, che gli Stati Uniti provvedano ad un ingente risarcimento dei
danni causati all'Iraq negli ultimi venti anni (con il sostegno a Saddam
Hussein, con le guerre, con delle sanzioni brutali che probabilmente hanno
causato un maggior numero di morti e di danni delle guerre); o quantomeno,
se chiedere un risarcimento vero e proprio fosse aspettarsi troppa onestà,
almeno dei massicci aiuti umanitari, che gli Iracheni possano utilizzare a
proprio piacimento: sarebbe già qualcosa di più rispetto ai sussidi pagati
dai contribuenti a favore della Halliburton e della Bechtel. Dovrebbe essere
un obiettivo primario anche porre un freno alle politiche estremamente
pericolose annunciate nella Strategia per la Sicurezza Nazionale e messe in
pratica come in un esperimento chimico di coltura. E, in relazione a tutto
questo, bisognerebbe sforzarsi seriamente di bloccare la cuccagna della
vendita delle armi, felicemente anticipata come conseguenza della guerra,
che contribuisce a rendere il mondo un luogo più spaventoso e pericoloso. Ma
questo è solo l'inizio. Il movimento contro la guerra è legato
indissolubilmente ai movimenti per la giustizia globale, che mirano
legittimamente ad obiettivi molto più ambiziosi.



      Quale pensi che sia la relazione tra l'invasione dell'Iraq e la
globalizzazione capitalistica, e quale dovrebbe essere la relazione tra il
movimento no global e quello pacifista?


      L'invasione dell'Iraq è stata fortemente contestata dai principali
centri della globalizzazione capitalistica. Al Forum Economico Mondiale di
Davos, in gennaio, l'opposizione è stata talmente forte che Powell è stato
praticamente zittito quando ha cercato di esporre la tesi della guerra - una
dimostrazione lampante che gli Stati Uniti avrebbero "comandato" anche se
nessuno li avesse seguiti, ad eccezione del patetico Blair. Il movimento per
la giustizia globale e quello pacifista presentano una tale convergenza nei
propri obiettivi che non c'è molto da dire. Dovremmo, tuttavia, ricordare
che i politici tessono questi collegamenti, e dovremmo farlo anche noi,
sebbene in maniera differente. Hanno prefigurato che la loro versione della
"globalizzazione" procederà in modo naturale, portando ad una "cronica
volatilità finanziaria" (che significa rallentare ulteriormente la crescita
specialmente ai danni dei poveri) e "un ampliamento della disparità
economica" (che significa meno globalizzazione nel senso tecnico di
convergenza). Prevedono inoltre che "l'approfondirsi della stagnazione
economica, l'instabilità politica e l'alienazione culturale promuoveranno
estremismi etnici, ideologici e religiosi, e violenza", in gran parte
diretta contro gli Stati Uniti: detto in breve, più terrorismo. Gli
strateghi militari condividono le stesse argomentazioni. Ecco uno dei motivi
per cui crescono rapidamente le spese militari, compresi i piani per la
militarizzazione dello spazio che il mondo intero sta cercando di
ostacolare, senza molte speranze fino a quando questo tema non verrà messo
in discussione dal popolo americano, che detiene la responsabilità primaria
di fermarlo. Presumo sia per questo che alcuni dei più importanti eventi
dello scorso ottobre non sono stati riferiti, tra i quali il voto espresso
all'Onu dagli Stati Uniti, unica nazione (insieme ad Israele) ad aver votato
contro una risoluzione per la riaffermazione della convenzione di Ginevra
del 1925 che mette al bando le armi biologiche, e contro un'altra
risoluzione che corroborava il trattato internazionale sullo spazio cosmico
del 1967, che proibisce di utilizzare lo spazio per scopi militari, compreso
l'uso di armamenti che possono facilmente farci fuori tutti quanti.


      La programmazione degli obiettivi, come sempre, inizia cercando di
scoprire cosa sta succedendo nel mondo, per poi agire al meglio delle nostre
possibilità. Pochi condividono i nostri privilegi, il nostro potere, la
nostra libertà, e perciò stesso le nostre responsabilità. Questa dovrebbe
essere un'altra verità incontestabile.