[Cerchio] Fw: [RK] Guerra contro la crisi

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著者: clochard
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題目: [Cerchio] Fw: [RK] Guerra contro la crisi
Lo invio xké mi risulta ke gli iscritti a rekombinant siano pokissime
decine.


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From: "Claudio Tullii" <clatull@???>
To: "rekombinant" <rekombinant@???>
Sent: Saturday, April 05, 2003 10:05 PM
Subject: [RK] Guerra contro la crisi


> Cr*,
> ecco un articolo di Robert Kurz pochi giorni prima dell'attacco all'Iraq.
> Un'analisi della guerra come risposta alla crisi globale del capitale
> finanziario...
> Robert Kurz
>
> Guerra contro la crisi
> L'attacco contro l'Irak non ha nulla a che vedere con il regime di Saddam
> Hussein ma piuttosto con le contraddizioni della globalizzazione
>
>
> L'attacco militare americano contro l'Irak appare ormai scontato. Il

governo
> del presidente Bush jr. si è talmente sbilanciato in questo senso da non
> poter più fare marcia indietro senza perdere la faccia. In effetti il
> dispiegamento di forze è iniziato da tempo. Gli USA inviano in

continuazione
> nuovi contingenti di truppe nelle loro basi mediorientali. Un'unità navale
> supplementare con la portaerei Constellation si è diretta verso la regione
> del Golfo dove già si trova la Abraham Lincoln. Tutto questo dà la
> sensazione di come questo attacco venga concretamente predisposto a

dispetto
> di tutti gli sforzi politici. Il governo americano ha spiegato chiaramente
> che non intende certo lasciarsi legare le mani dalla tanto invocata
> "comunità internazionale". Il tentativo di strappare una risoluzione dalle
> Nazioni Unite, funzionale ai propri obbiettivi, serve solo come
> fiancheggiamento diplomatico. E' evidente che la volontà di iniziare l'
> attacco è più forte di ogni altra considerazione.
>
> Varrebbe la pena di ripensare al passato della storia moderna. A partire

dal
> 16° secolo fino alla Seconda Guerra mondiale i problemi relativi alla

guerra
> e alla pace non venivano decisi attraverso una procedura di legalità

formale
> secondo i canoni del diritto internazionale ma attraverso "singole
> risoluzioni" dei governi la cui legittimità si fondava esclusivamente

sulla
> forza di fatto. Dopo le esperienze catastrofiche dell'epoca delle Guerre
> Mondiali le norme vincolanti del diritto internazionale nel mondo degli
> Stati dovettero subentrare alle "riserve di caccia". L'ONU e il suo
> Consiglio di Sicurezza furono riconosciuti universalmente come il quadro

di
> riferimento di questa normatività. Tuttavia l'ONU non fu mai una potenza

di
> fatto, ma soltanto la rappresentanza formale di una sommatoria di Stati
> sovrani. Sul piano delle potenze reali il mondo era suddiviso tra una pax
> americana e una pax sovietica. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica è
> rimasta solo la pax americana. Si può rimarcare come l'ultima potenza
> mondiale reale, sorretta da una macchina militare assolutamente superiore

e
> inarrivabile entri in conflitto sempre più acceso con il diritto
> internazionale e le istanze dell'ONU. Certo anche nel passato gli Stati
> Uniti non lasciarono alcun dubbio riguardo al fatto che i loro obblighi
> rispetto all'Onu dipendevano specificamente dalla subordinazione e dalla
> funzionalità di questa rappresentanza generale degli Stati mondiali alla

pax
> americana. Ma in questo ambiguo rapporto tra ONU, Consiglio di Sicurezza e
> diritto internazionale da una parte e pax americana dall'altra non si

arrivò
> mai per circa mezzo secolo ad una rottura aperta. Anche la prima guerra

dell
> 'ordine mondiale contro l'Irak (1991) fu condotta sotto l'egida formale

dell
> 'ONU e in nome del diritto internazionale per fermare l'annessione del
> Kuwait. Ma già la seconda guerra dell'ordine mondiale contro ciò che

restava
> della Iugoslavia (la Serbia) violò in modo eclatante proprio quei principi
> che pochi anni prima furono ritenuti validi contro l'Irak. La NATO mise in
> campo il proprio apparato militare, che consisteva per il 90% di forze
> americane, senza il mandato dell'ONU. De facto o de iure si trattava di

una
> guerra della NATO contro uno stato sovrano nonché membro delle Nazioni
> Unite. Durante la campagna militare afghana conseguente all'11 settembre

la
> questione della legittimità formale non venne neppure più presa in
> considerazione né tantomeno nei recenti preparativi di guerra contro

l'Irak.
> Il diritto internazionale evidentemente non ha più alcun valore. ONU e
> Consiglio di Sicurezza hanno perso qualsiasi significato e possono solo
> fungere da comparse della pax americana. L'ultima potenza mondiale reale
> rompe con la legittimità rappresentata dall'ONU e perciò non prende più
> seriamente neppure la sua legalità formale. Tuttavia sarebbe assolutamente
> erroneo vedere in questo processo soltanto un atto di usurpazione di uno
> Stato o di una nazione nei confronti del resto del mondo. Ogni volta che

il
> governo americano adopera il concetto di "interesse nazionale" per dare

una
> parvenza di legittimità alle sue azioni perlomeno all'interno (verso i
> propri cittadini) si tratta di un'autoillusione. Nell'epoca della
> globalizzazione non vi è più alcun interesse nazionale chiaramente
> definibile, né sul piano economico né su quello politico. Di fatto gli

Stati
> Uniti sono assurti al ruolo di forza difensiva del capitalismo planetario.
>
> Ma precisamente così diventano manifeste le contraddizioni della
> globalizzazione. Il capitale aziendale assume una forma transnazionale, ma
> il potere politico-militare, per sua essenza, può esistere solo in una

forma
> nazionale. Il cittadino del mondo propagandato dall'Illuminismo non è

altro
> che una chimera perché il cittadino del moderno sistema produttore di

merce
> è possibile solo in una forma duplice come Jekyll e Hyde: come "bourgeois"
> da una parte e come "citoyen" dall'altra. Tuttavia l'universalismo del
> capitale è solo economico e non politico. E' questa la ragione per cui
> esiste un mercato mondiale ma non uno Stato mondiale. Il cittadino del

mondo
> può apparire solo come bourgeois mondiale non come citoyen mondiale. La

pax
> americana ormai planetaria è perciò possibile solo nei termini di una
> relazione paradossale: al livello del potere politico e militare l'
> universalismo del capitale deve assumere la forma del suo contrario,

ovvero
> la forma dello Stato nazionale e dell'apparato militare nazionale dell'
> ultima potenza mondiale. In realtà ciò che viene designato come "interesse
> nazionale" degli USA rappresenta la contraddizione insanabile tra

globalismo
> e nazionalismo. Gli USA devono assumere le prerogative di uno Stato

mondiale
> senza potere essere uno Stato mondiale.
>
> Questa contraddizione si inasprisce nella misura in cui si palesa il
> carattere della globalizzazione come crisi fondamentale del moderno

sistema
> produttore di merce. Quanti più uomini vengono stigmatizzati come
> "superflui" a causa della Terza rivoluzione industriale, quante più

economie
> e Stati nazionali collassano e quindi quanto più la valorizzazione del
> capitale giunge ai suoi limiti storici assoluti, tanto più strenuamente

gli
> USA vengono spinti in qualità di potenza mondiale a reagire all'emergenza
> globale e ad imporre una sorta di stato di calamità sull'intero pianeta.
> Tuttavia poiché la regolazione politica dell'economia transnazionale

risulta
> impossibile il comportamento dell'ultima potenza mondiale diventa sempre

più
> irrazionale e violento.
>
> La giustificazione ufficiale per l'ultima spedizione punitiva contro

l'Irak
> è inequivocabilmente una menzogna. La complicità del regime laico di

Saddam
> con la rete del terrore islamica Al Qaeda non è solo indimostrata ma anche
> inverosimile. Che l'Irak possieda ancora ingenti quantità di armi di
> distruzione di massa, chimiche o biologiche, viene contestata dai primi
> ispettori delle Nazioni Unite. Completamente assurda è l'affermazione del
> presidente Bush secondo cui tale regime, ormai alle corde, possa

costituire
> una "minaccia per il mondo". L'esercito iracheno seppur sostenuto e armato
> dall'Occidente non fu in grado di avere la meglio sulle truppe mal
> equipaggiate dei mullah iraniani; di certo non può essere in grado oggi,
> dopo anni di embargo, di bombardamenti e dopo la distruzione di gran parte
> del suo arsenale, di lanciare un attacco contro altri paesi arabi o contro
> Israele. Saddam rappresenta una comune, disgustosa dittatura del Terzo

Mondo
> come ne collassano a dozzine oggi sul mercato mondiale attraversando un
> processo di dissoluzione delle strutture statali. Molti regimi analoghi

sono
> sostenuti anche dagli USA (e questo originariamente valeva anche per l'
> Irak).
>
> L'attacco all'Irak annunciato e definito come "imprescindibile" ha ragioni
> totalmente differenti da quelle avanzate dagli USA a scopo

propagandistico.
> Si tratta in realtà di una "fuga in avanti " quasi disperata con cui l'
> ultima potenza mondiale cerca di arrestare la perdita foriera di minacce

del
> controllo globale. La guerra contro il terrorismo annunciata ai quattro
> venti dal presidente Bush si è rivelata un fiasco. L'organizzazione
> post-statale di Al Qaeda non è stata colpita in modo decisivo. Il governo
> americano non ha potuto offrire all'opinione pubblica imperiale un corteo
> trionfale con Osama bin Laden in catene come un capo barbaro. E la

cacciata
> dei talebani è stata ottenuta tramite un accordo vergognoso con banditi e
> signori della guerra della cosiddetta Alleanza del Nord. Neppure si può
> parlare di un controllo effettivo sull'Afghanistan.
>
> Gli Stati Uniti non vinceranno una guerra che non possono neppure
> intraprendere; esattamente come un rinoceronte non può sconfiggere i suoi
> virus intestinali. Il terrorismo non solo si rigenera nel contesto della
> crisi mondiale del capitalismo come le teste dell'idra ma si muove in una
> dimensione completamente differente rispetto a quella dell'ultima potenza
> mondiale. Al Qaeda non opera al livello della sovranità territoriale ma

come
> un complesso transnazionale negli interstizi e nelle nicchie della
> globalizzazione. Per una battaglia su questo piano la macchina militare
> high-tech degli USA è inservibile ed inutile. Gli eterni attacchi aerei

con
> bombardieri Stealth, missili Cruise ecc. colpiscono su grande scala
> popolazioni, città ed infrastrutture; ma sono troppo grossolani per
> raggiungere reti transcontinentali come Al Qaeda.
>
> Gli USA necessitano di un successo spettacolare nella guerra per l'ordine
> mondiale. Devono dimostrare che essi sono ancora "padroni in casa

propria".
> Il potere degli USA, per sua essenza, si riferisce al mondo degli Stati
> nazionali. Una dimostrazione di forza e di volontà di dominio globale è
> possibile perciò solo nella forma ormai divenuta anacronistica della

guerra
> territoriale alla Von Clausewitz. Per poter compensare la frustrazione
> legata alla "guerra contro il terrorismo" e "stabilire un esempio", gli

USA
> abbisognano di un nemico del loro stesso livello nel ruolo di vittima a

buon
> mercato. L'Irak si presta bene perché già da tempo è stato rappresentato
> ideologicamente come "Stato canaglia". Inoltre il sempre più declinante
> regime di Saddam, come potere territoriale tradizionale e sovrano fondato

su
> un esercito classico, non ha la benché minima chance.
>
> D'altronde ci sono altre due ragioni importanti per cui proprio l'Irak è
> stato preso di mira. L'economia mondiale è entrata in una nuova fase di
> crisi. Il disastro della New Economy e il crollo dei mercati finanziari
> occidentali dopo la primavera del 2000 si ripercuote sull'economia reale
> globale. Il centro di questa crisi si trova negli USA, la cui economia da
> bolla finanziaria degli anni '90 aveva trascinato l'intera congiuntura
> mondiale come una locomotiva grazie a fantastiche eccedenze nelle
> importazioni. La fine inevitabile di quest'era del capitale fittizio
> minaccia non solo di far precipitare l'economia americana, completamente
> sommersa dai debiti, e di estendere la bruciante crisi economica sino alle
> dimensioni di un olocausto globale ma in un orizzonte più ampio anche di
> compromettere la possibilità di finanziare la macchina militare americana
> determinando così la fine dell'egemonia globale. Serve un miracolo

economico
> a qualsiasi costo. Il capitalismo da bolla finanziaria deve essere
> risospinto nel costante movimento ascendente degli anni '90. Per questo
> occorre tuttavia un fattore fondamentale che giustifichi il boom della

borsa
> come mera anticipazione di un'era susseguente di crescita dell'economia
> reale. Da questo punto di vista le opzioni relative ai nuovi ritrovati
> tecnologici hanno fatto il loro tempo. Le speranze riposte su di

un'avanzata
> secolare degli investimenti e dei consumi attraverso la

commercializzazione
> di Internet o attraverso l'industria delle telecomunicazioni per mezzo

dell'
> UMTS si sono dimostrate un flop. Dopo che i potenziali intrinseci di una
> crescita reale hanno fallito, un'era del "petrolio a buon mercato" indotta
> militarmente dall'esterno attraverso l'attacco all'Irak deve fungere da
> prospettiva trainante per recuperare il boom della borsa e trasformare

così
> anche la prima decade del 21° secolo in un'era del "jobless growth".
>
> Negli USA si parle apertamente di "sbaragliare" con violenza il cartello
> dell'OPEC. L'economia americana deve essere "salvata" mediante un prezzo

del
> greggio ai livelli pre-OPEC. Per questo scopo tuttavia il controllo e lo
> sfruttamento della regione del Caspio non è più sufficiente, perché vi si
> trovano solo giacimenti dell'ordine di grandezza di quelli del Mare del

Nord
> scoperti nel frattempo. Al contrario in Irak non solo si trova il 15%

delle
> riserve mondiali ma queste ultime possono essere estratte a prezzo modico

e
> senza concorrenza. Attraverso un'occupazione militare dei campi

petroliferi
> iracheni e la loro modernizzazione con l'appoggio di un governo-fantoccio
> installato dagli USA si potrebbe mettere in moto una nuova avanzata della
> crescita economica globale sotto la conduzione americana.
>
> Ma questo calcolo è irrazionale e può solo accelerare il crollo. Dopo una
> vittoria militare relativamente agevole l'Irak si lascerà pacificare

ancora
> meno facilmente dell'Afghanistan. Nel Nord c'è la minaccia di un conflitto
> con la Turchia e nel Sud con l'Iran. La disfatta dell'OPEC rappresenterà

la
> completa rovina per l'intero Medio Oriente e probabilmente anche per la
> Russia. Al posto dei regimi attuali non subentreranno democrazie

beneducate
> ma condizioni di anomia progressiva e una furiosa guerriglia pan-araba
> contro le installazioni estrattive e le vie di trasporto del supposto
> "petrolio a buon mercato", il cui prezzo proprio per questo motivo

dovrebbe
> in realtà esplodere. Gli USA creano con la loro brutale "fuga in avanti"

uno
> stato di emergenza qualitativamente nuovo: essi si muovono verso una
> dittatura militare diretta ed un sanguinoso regime di occupazione nell'
> intera regione del petrolio. Neanche la più grande potenza militare della
> storia lo potrà sopportare per lungo tempo.
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