[NuovoLaboratorio] I: forum sociale africano

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Author: EnricoTestino
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Subject: [NuovoLaboratorio] I: forum sociale africano
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From: Andrea Agostini <lonanoda@???>
Sent: Friday, April 04, 2003 6:58 AM

> da le monde diplomatique gennaio 2003
>

LE MONDE diplomatique - Febbraio 2003
>
> IL CONTINENTE NERO ORGANIZZA LA SUA «ALTERGLOBALIZZAZIONE»
> Voci dal Forum sociale africano
>


> Pur tra mille difficoltà, il continente nero tenta di organizzarsi contro
> l'ordine liberista: il Forum sociale africano, che si è tenuto ad Addis
> Abeba all'inizio del gennaio scorso, ha visto la presenza di quarantatré
> paesi. Tuttavia, mentre a Porto Alegre c'è la ressa, qui hanno partecipato
> solo due associazioni occidentali. Come dire che l'Africa, oppressa per
> secoli ma ricca di una grande tradizione in fatto di solidarietà, deve
> procedere a tappe forzate per farsi ascoltare.
>
> Anne-Cécile Robert
> È l'inizio di gennaio, nei corridoi del Forum sociale africano (Fsa) ad
> Addis Abeba, un contadino della Repubblica democratica del Congo (Rdc) si
> chiede: «Quando riusciremo a parlare e a farci ascoltare?» La sua presenza
> qui è un buon esempio di tutte le fatiche e le incognite che si sono

dovute
> affrontare per realizzare questo secondo forum (1) - emanazione del Forum
> sociale mondiale di Porto Alegre - , il cui compito è quello di fare
> finalmente emergere la voce africana dall'oceano della globalizzazione. Lo
> ha avvisato dell'incontro la posta elettronica, e precisamente una e-mail
> della Confederazione contadina proveniente da Parigi, come se l'asse
> Nord-Sud fosse ancora oggi l'unico valido. La realizzazione di un

movimento
> sociale africano è ancora in fase embrionale e l'informazione circola

male.
> È già una fortuna che la posta elettronica abbia funzionato, fra
> un'interruzione di corrente e l'altra! Alcuni delegati ci hanno messo tre
> giorni per arrivare nella capitale etiopica, tanto disastroso è lo stato
> delle strade e aleatori i collegamenti aerei interafricani.
> Alla ricerca di un'«altra Africa», svincolata dall'insidia della
> globalizzazione liberista, sono comunque arrivati 250 rappresentanti del
> mondo associativo, contadini, operai o artisti, in rappresentanza di 43
> paesi africani, alcuni dei quali in guerra. La martellante pubblicità
> dell'associazione Enda (Environment and Development Action), che ha sede a
> Dakar, e della scrittrice del Mali Aminata D. Traoré ha permesso di

ottenere
> sovvenzioni e di organizzare l'arrivo di tanta gente (2). Ma in quanti non
> hanno saputo che il forum sociale si riuniva o non hanno potuto recarsi
> nella capitale etiopica per mancanza di mezzi? La rappresentatività del

Fsa
> e il senso stesso della sua attività ne sono inevitabilmente sminuiti e

gli
> organizzatori, così come i delegati, hanno sottolineato la necessità di
> informare dell'incontro, riflettere sui mezzi necessari a fare crescere la
> partecipazione ai prossimi forum e pubblicizzare le rivendicazioni (3).
> Scopo prioritario del movimento sociale africano è la contestazione delle
> politiche economiche applicate da decenni al continente, che lo

sprofondano
> inesorabilmente nella miseria e nella guerra, destabilizzando gli stati.
> Come spiega Taouffik Ben Abdallah di Enda, «compito del Fsa è permettere
> alla società civile di organizzarsi come contropotere, per poter contare

nei
> luoghi dove si elaborano le regole imposte all'Africa». Il Forum mira

anche
> a federare movimenti sparsi a livello continentale e costruire un discorso
> comune. Al di là di tutto questo, vuole riconquistare il diritto di parola
> di fronte ad una «comunità internazionale» ridotta di fatto ai soli

potenti:
> lottare contro un'alienazione storica che ha spodestato gli africani del
> loro destino, sottomettendoli sempre - in parte vittime e in parte
> complici - alla sfruttamento economico e culturale da parte delle potenze
> straniere.
> La difficoltà sta nel fatto che l'oppressione, un tempo opera dei
> colonizzatori, è ormai esercitata dalle stesse élite africane. Un

«diabolico
> consenso sul neoliberismo» lega le nostre classi dirigenti, afferma
> preoccupa Aminata D. Traoré. Molti dirigenti africani partecipano allo
> sfruttamento economico del continente, assecondando docilmente le ricette
> dei finanziatori internazionali. Spesso formati nelle università
> occidentali, passano più tempo nei paesi del Nord o nei simposi
> internazionali che a casa loro. Lontani dalla realtà sociale, questi
> governanti hanno abbandonato ogni resistenza. Alcuni si sono addirittura
> trasformati in zelanti promotori dello sfruttamento commerciale dei loro
> paesi. Ad esempio, i presidenti Abdoulaye Wade del Senegal, Thabo Mbeki

del
> Sudafrica, Abdelaziz Buteflika dell'Algeria, Olusegun Obasanjo della

Nigeria
> sono diventati i rappresentanti del Nuovo partenariato economico per
> l'Africa (Nepad), un piano che mira ad «aumentare gli investimenti privati
> esteri», eufemismo per dire che continuerà il saccheggio delle immense
> ricchezze africane, mentre le popolazioni affonderanno nella miseria. «I
> nostri dirigenti non si oppongono quanto dovrebbero. La cravatta ce

l'hanno
> anche nella testa», aggiunge la carismatica maliana.
> Educare i dirigenti La risoluzione finale del Fsa di Addis Abeba

sottolinea
> il fallimento delle ricette liberiste e dei dirigenti che se ne fanno
> promotori.
> Propone di «educarli» ad un contro-discorso politico ed economico

attraverso
> campagne di mobilitazione. Vengono avanzate richieste di riparazioni
> economiche, non per la schiavitù - come vorrebbero alcune associazioni
> afro-americane - ma per l'aggiustamento strutturale e un debito accumulato
> in condizioni inique.
> Ma chi prende sul serio l'Africa? Mentre c'è ressa a Porto Alegre, qui al
> Fsa soltanto Italia e Stati uniti sono rappresentati, tramite associazioni
> umanitarie o di sviluppo.
> La crudele autocensura, legata a una dominazione subdola, ha indotto

alcune
> associazioni africane a non partecipare al forum, nel timore di difficoltà
> con le organizzazioni caritatevoli del Nord che le sostengono o con le
> istituzioni finanziarie internazionali da cui dipendono. Anche se ben
> intenzionato e utile, il sostegno può diventare una trappola quando

finisce
> col togliere la parola ai popoli, costringendoli entro precise griglie di
> lettura e assoggettandoli a strumenti pensati altrove. Per questo alcuni
> delegati esitano ad impegnarsi in una critica più radicale dei rapporti
> internazionali. «Siamo noi che dobbiamo definire con chiarezza i nostri
> problemi - sottolinea l'algerina Rabiaa - smettendo di discutere su basi
> proposte da altri.» Le associazioni africane sono sempre più corteggiate

da
> governi e istituzioni finanziarie internazionali, a caccia di consenso
> popolare.
> Ma la prospettiva è sempre la stessa: sottomettersi ai canoni

dell'economia
> mondiale. «Attenti al "consenso delle Ong", che fa da pendant al consenso

di
> Washington», mette in guardia un sudafricano.
> Le associazioni delle donne, spesso molto dinamiche, si preoccupano che le
> istituzioni finanziarie internazionali mettano le mani sulle loro

iniziative
> microeconomiche. Le vecchie impagliatrici, ad esempio, sono oggetto di
> «piani in favore del microcredito» che distruggono solidarietà e mutuo
> soccorso tradizionali, mentre creano circuiti di prestiti ufficiali,

spesso
> di tipo usuraio. Un eccesso di indebitamento minaccia queste donne su cui,
> peraltro, pesano sempre più responsabilità familiari ed economiche. «Dopo,
> verranno a sistemarci!», prevede sarcastica Fatou Sarr, una delegata

venuta
> dal Senegal.
> Di fronte a questo ocntinuo snaturamento, come definire proprie priorità

in
> funzione di bisogni specifici (infrastrutture, alimentazione, salute,
> cultura...)? In effetti, la benché minima partecipazione al sistema
> internazionale - anche quando si tratti di un aiuto - comporta la
> sottoscrizione di prescrizioni decise all'estero e uniformemente orientate
> all'inserimento nel sistema commerciale mondiale. Non solo questa logica
> distrugge le culture tradizionali e nega le peculiarità del continente, ma
> ostacola anche l'attività economica scollegandola dai bisogni e dagli
> aspetti caratteristici delle società locali.
> Un artista del Mali reagisce così: «Come prima cosa ci insegnano a tradire

i
> nostri avi. Il che vuol dire smettere di parlare le nostre lingue,

diventare
> egoisti mentre le nostre tradizioni insegnano condivisione e solidarietà,
> vestirci all'occidentale mentre abbiamo tessuti magnifici, mangiare

prodotti
> provenienti da fuori quando i nostri contadini non domandano altro che
> lavorare, e la natura e la terra sono generose in Africa».
> «Abbiamo subìto una vera e propria escissione del pensiero», constata
> Rabiaa. «Dobbiamo ricollegarci con i valori antichi, per trovare soluzioni
> vere ai nostri mali», insiste una delegata keniana, Gisèle, che però lega

il
> ritorno al passato ad una profonda analisi critica, in particolare per
> quanto riguarda la condizione femminile. Ma ritrovare le proprie radici,
> sbarazzarsi del mimetismo prodotto dal contatto con gli occidentali, è un
> processo molto lento: anche ad Addis Abeba, si vedevano ben pochi boubou
> (lunga tunica africana) nella sala di riunione.
> È comunque una presa di coscienza che poggia su solide basi. L'Africa è
> ricca di materie prime, di minerali preziosi, della sua natura.
> «Siamo come un mendicante seduto su una miniera d'oro», osserva un

delegato.
> Le risorse vengono sottratte a profitto degli interessi di industrie
> straniere e potentati locali. I disastrosi indicatori sociali disturbano

il
> bel quadretto della buona coscienza dei capitalisti i quali, in nome delle
> virtù dell'investimento privato, depredano il continente nero per il suo
> bene. Come dice con un sospiro lo scrittore senegalese Boubacar Boris

Diop,
> «alcuni sognano un'Africa senza africani».
> «Come ritrovare la fiducia in noi stessi?», si chiede Taouffik Ben

Abdallah.
> L'esplosione del debito, le guerre e il degrado della situazione economica
> hanno minato la bella sicurezza degli anni '60, nonché l'appena ritrovata
> fierezza dell'uomo nero, sulla scia della filosofia della negritudine.
> «Siamo caduti più in basso di prima dell'indipendenza!».
> Che queste siano state fuorviate tramite il mantenimento del predominio
> economico, non sfugge ad alcun delegato. I leader africani più

recalcitranti
> sono stati eliminati fisicamente (Patrice Lumumba, Thomas Sankara...), con
> la complicità attiva o passiva delle potenze straniere e di politici
> corrotti, come il maresciallo Joseph Mobutu (4). «La fiducia passa
> attraverso la trasmissione della nostra storia usurpata e il recupero dei
> valori del panafricanismo», si infervora un giovane delegato del Kenya,
> richiamando bruscamente gli adulti presenti, che tenderebbero a lasciar
> «scorrere il tempo». Ora le giovani generazioni, forze vive del

continente,
> «non sognano altro che l'Occidente; subiscono un martellamento costante

sul
> fatto che per loro non esiste alcuna speranza se restano nel paese».

Ridurre
> l'Africa a una serie di problemi (carestia, aids, guerra...) impedisce di
> ritrovarne storia e cultura.
> Ed è una visione che fa parte della «strategia di dominio del Nord».
> «Ci hanno messo sotto perché glielo abbiamo permesso», accusa Aminata D.
> Traoré, che vede il necessario e radicale riorientamento delle strategie
> economiche strettamente connesso ad un severo esame di coscienza (5).
> Dominata e culturalmente colonizzata, l'Africa è anche divisa e
> politicamente inesistente. «In quanto società civile e movimento sociale,
> dobbiamo inventare un nostro modello democratico e ridare ai cittadini la
> parola persa al momento dell'indipendenza - riassume Taouffik Ben Abdallah
> di Enda. La scommessa è unirci, per parlare in quanto africani».
> Eppure, il continente nero è ricco anche di una storia da cui il resto del
> mondo potrebbe trarre preziosi insegnamenti. Il delegato sudafricano
> Thanduxoto ha così sottolineato, con caustica ironia, «l'expertise»

africana
> in materia di globalizzazione: «La nostra esperienza di commercio e
> globalizzazione è antica: colonizzazione, schiavitù, tratta
> transatlantica»... La situazione creatasi nel continente nero -
> sfruttamento, miseria, lavaggio del cervello - «mostra la vera natura
> dell'ordine globale, e questo è il nostro apporto» afferma perentoria Dot
> Keets dello Zimbawe. Ma, come contributo positivo, Rabiaa ricorda che
> «l'Africa possiede un know-how impareggiabile quanto a relazioni di
> solidarietà». Con le sue antiche tradizioni di mutuo soccorso e
> l'equilibrato rapporto con la natura, potrebbe offrire un contributo
> fondamentale a un «mondo globalizzato» che ha messo il denaro in cima alla
> sua scala di valori.
>
>
>
> note:
>
>
> (1) Il primo forum si è svolto a Bamako nel 2001.
>
> (2) La Cooperazione francese e associazioni come Oxfam sono i principali
> contribuenti.
>
> (3) www.enda.sn
> (4) Si legga Colette Braeckman, Lumumba, un crime d'Etat, Aden, coll.
> «Sur des charbons ardents», Bruxelles, 2002.
>
> (5) Le Viol de l'imaginaire, Fayard, Parigi, 2002.
>
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