[ssf] Fw: [fori-sociali] Open Economy - Creare sviluppo abol…

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Author: Patrizio Beraldo
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Subject: [ssf] Fw: [fori-sociali] Open Economy - Creare sviluppo abolendo il profitto
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From: ma_gius
To: fori-sociali@???
Sent: Tuesday, March 11, 2003 10:04 PM
Subject: [fori-sociali] Open Economy - Creare sviluppo abolendo il profitto


Il progetto Open-Economy nasce come spazio aperto per la discussione
e la sperimentazione di forme di economia alternative al sistema
capitalistico.

Pensiamo che sia finita l epoca della rivendicazione e che si sia
aperta l epoca della costruzione. I portatori del nuovo siamo noi
stessi ed al nuovo dobbiamo uniformare i nostri comportamenti, da
subito e senza delegare. La rivendicazione comporta comunque una
visione verticistica della società, dove chi sta sotto chiede a chi
sta sopra di fare qualcosa per lui, con le buone o con le cattive.
Questo non significa rinunciare alla rivendicazione quando è
possibile e necessario, ma è nostra opinione che la preminenza deve
essere data alla costruzione di una società nuova già da ora, subito.
Pensiamo che questo sia possibile oltre che necessario e
indifferibile.

Continuare a ripetere che il mondo in cui viviamo è troppo complicato
rischia di essere una scusa per non fare niente. Il male diventa
ineffabile e sfuggente, si diluisce in modo poco chiaro nel mosaico
della globalizzazione, genera rassegnazione e disincanto o sterili
gesti di rivolta, prese di posizioni eclatanti ma consolatorie. Tutti
gli elementi che contribuiscono a definire lo scenario bloccato del
presente (la politica, la società, il capitalismo, lo stesso rapporto
con l'ambiente) derivano da una stortura originaria: da rapporti
umani troppo segnati dal codice del potere, inquinati dal segno del
dominio, cristallizzati nel gergo dell'ineguaglianza, dell'obbedienza
e della gerarchia. Il culto mistico e acritico della tecnica,
l'ideologia suicida dello sviluppo dipendono davvero da un sistema
economico che si è esteso sino a coprire tutte le dimensioni della
nostra esistenza privata e collettiva. Se anni fa ci si sentiva un pò
ridicoli soltanto a nominarlo, oggi possiamo accusare apertamente,
con una nuova legittimità, questo sistema totale e deprimente: il
capitalismo.

Anche se forse è davvero troppo tardi bisogna provare a rompere, in
qualche modo e da qualche parte, il pigro imperialismo di un
principio di realtà irreale, soffocante. Cercare di costruire spazi
diversi, inventare zone alternative, restituire un senso alla vita
sociale come cura e gestione degli affari umani, provare a riprendere
il mano il nostro destino. In una situazione disperata, qualsiasi
tentativo serio e fantasioso in questa direzione rappresenta già un
piccolo punto di vantaggio, anche perché l'ultima chance per provare
a cambiare le cose. Una sfida terribilmente seria, niente ci
garantisce che possa funzionare. Ma va da sè che è almeno il caso di
giudicare le cose in modo limpido e di sbarazzarsi di modelli vecchi
e di riflessi condizionati impresentabili, troppo
schematicamente "politici", inutilmente eccessivi, compiaciuti.
L'estremismo auto-gratificante di chi ha visto nella battaglia di
Seattle la garanzia di una svolta, l'aurora di una nuova rivolta
planetaria o il nuovo inizio di una "politica globale" è senzaltro
una spia che il pensiero politico e sociale della sinistra su questo
sono ancora inadeguati, spaventosamente in ritardo, subalterni per
pigrizia, fretta o ideologia a formule vuote e a slogan
inutilizzabili. Una nuova politica radicale può nascere soltanto da
sforzi isolati, rifiuti senza concessioni, consapevoli tentativi di
secessione da un clima culturale, dalla grammatica dei consumi, dalla
presenza invadente o dal simulacro dello Stato.

Pensiamo che l'elemento che conta di più non è la "meta" finale,
l'immagine di un futuro alternativo. Il punto essenziale sono le cose
da fare adesso, il "qui e ora" di una forma di azione e di presenza
capace di scardinare almeno in termini relativi il codice del potere
e i ricatti della gerarchia. Costruire contro-istituzioni, ritagliare
sfere di libertà e indipendenza in un contesto chiuso, soffocante. Se
il tratto francamente più allarmante della situazione attuale sta
nella trasformazione del capitalismo e delle relazioni di mercato da
una forma economica a un modello latente di società, la questione
davvero all'ordine del giorno riguarda, da subito, la creazione
di "nuove forme di resistenza", l istituzione di aree di vita
alternative capaci di contrastare ed indebolire un sistema come
quello capitalista che si è rivelato distruttivo per la vita sul
pianeta e per gli stessi esseri umani, la genesi di una "sfera
pubblica radicale", in grado di innescare un'inversione di tendenza,
un cambiamento di mentalità e una trasformazione politica e sociale
di più ampio respiro. Il dilemma non riguarda il piano dei fini
ultimi, ma la zona più ambigua del come e del quando, il terreno
costantemente aperto e incerto dei mezzi. Proprio l'urgenza del
cambiamento impone discrezione, misura, pragmatismo, capacità
critica, intelligenza.

Che fare, quindi, da dove cominciare?

Oggi provare a vivere in "modo indipendente e autonomo" (Herzen)
significa paradossalmente tornare presso la stessa origine
dimenticata del pensiero politico occidentale, nel cuore nascosto
della democrazia. Mentre le grandi risposte "collettive" della
modernità segnano il passo, l'unica forma di innovazione possibile e
convincente ha qualcosa a che fare con il modello classico della
polis inteso non come un "modello" da imitare ma come un seme o
un "germe" vitale dell'esperienza possibile di un'altro modo di
intendere le relazioni tra le persone. Il termine politica, secondo
la sua etimologia greca, si riferiva una volta ad un'arena pubblica
di cittadini consapevoli, che si sentivano competenti a gestire
direttamente le proprie comunità, le loro poleis. Un immaginario
politico rinnovato coincide oggi con l'esigenza, tutta da
sperimentare in termini concreti, di esperienze nuove di democrazia
diretta, di partecipazione libertaria, di autogestione e di
organizzazione spontanea e dal basso. Parole d'ordine queste che
sembrano inattuali, disperatamente fuorigioco nell'epoca della
globalizzazione planetaria. Ma proprio quando si fanno i conti con la
globalizzazione si dovrebbe riconoscere piuttosto il carattere
illusorio delle risposte troppo ambiziose - la politica globale, la
democrazia cosmopolita (act globally) - o il tratto ipocrita e
rassegnato della strada opposta, think globally, act locally. Senza
essere costretti a scegliere per forza tra due alternative obbligate
e speculari conviene piuttosto lavorare direttamente su modelli di
socialità, schemi di vita, ipotesi di liberazione legati direttamente
al piano inclinato dell'esistenza quotidiana.

La nostra riflessione parte dal concetto di autonomia. Siamo
interessati a sviluppare strumenti che agevolino l autonomia degli
individui - e vera autonomia non può esserci se non è autonomia
economica - e crediamo che un sistema di economia alternativo non può
che partire dai bisogni reali delle persone ed essere legato alla
vita quotidiana. E' difficile pensare ad un mondo nuovo senza pensare
ad un'economia nuova. Perciò questo spazio è offerto a tutti coloro
che hanno idee che possano contribuire alla costruzione di una nuova
economia in un mondo nuovo.

Questo progetto si chiama "Open Economy" perché si ispira al modello
dell Open Source, nato nell ambito del movimento del FreeSoftware
GNU/Linux ma che - nell accezione che ci interessa rimarcare -
significa semplicemente "codice aperto": a questo progetto chiunque
può aggiungere il proprio pensiero e il proprio contributo. L
obiettivo di questo progetto, di cui il sito e la mailing-list sono
strumenti operativi, è di costruire in modo partecipativo un modello
economico, che con un acronimo - ispirato, non a caso, a quello più
famoso coniato da Hakim Bey - definiamo F.A.Z., Zone Finanziarie
Autonome.


Zone autonome che nascano senza lasciarsi ricattare dal realismo
scientifico dei rivoluzionari di professione, dall'ossessione
della "presa del potere", dall'ala protettiva e prevaricante dei
partiti. Il nodo centrale sono la pluralità di forme di socialità a
valenza politica, la spontaneità di un agire pubblico basato, come
avrebbe detto Arthur Rimbaud, sull'esigenza di "cambiare vita".
Una "sfera pubblica radicale" che nasce e si esprime "by streets,
square and cafes", un esercizio di democrazia sempre legato ad una
sorprendente pluralità di situazioni, esperienze, occasioni diverse
di socialità. Senza cercare di riesumare il mito arcaico della polis,
il 'modello' aureo e ambivalente dell Atene di Pericle, il modello
alternativo che ci proponiamo di costruire collettivamente
rappresenta forse l'unico cuneo per scardinare questo sistema
distruttivo, erodere i vincoli soffocanti della "società di massa",
rivitalizzare in modo radicale una democrazia bloccata nella pigrizia
infinita di una ripetizione e di un imbroglio. Il progetto di una
democrazia rigenerata passa attraverso la costruzione di un intreccio
complesso di esempi diversi, postulando come meta finale non tanto
una discutibile, spaventosa unanimità, ma il modello aperto e
libertario di una nuova sfera pubblica che possa dar vita ad una
nuova idea di cittadinanza e di auto-organizzazione economica da
contrapporre al crescente potere dello stato-nazione e delle grandi
imprese economiche multinazionali e centralizzate. La scommessa
fondamentale è immaginare adesso rapporti e relazioni capaci di
ridefinire simultaneamente uno stile dell individualità e i modelli
concreti di socialità, la sfera pubblica.

Pensiamo questo progetto come un laboratorio, in cui indagare le
modalità di costruzione e di funzionamento di un possibile sistema di
economia alternativo. Un modello alternativo che mentre dichiara la
sua intransigente secessione dalla società insiste sulla definizione
di nuclei quasi-politici basati sull'azione di minoranze concrete,
consapevoli. Un modo - l'unico realistico - per tornare alle radici
stesse della democrazia, per provare a sperimentare le sue promesse
mancate, diluite e sciupate in un'idea di politica già declinata in
modo reazionario secondo il codice del potere e l'ossessione della
gerarchia. Se riusciremo a costruire un modello che funziona, potremo
provare a costruire nel mondo tante FAZ in contatto tra loro e che
vivono fuori dalla logica del capitalismo finanziario.

Open-Economy
magius, domenicods

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