[Lecce-sf] Fw: emergenza PeaceLink: oltre 1700 gesti di sol…

Delete this message

Reply to this message
Autor: Carlo Mileti
Data:  
Temat: [Lecce-sf] Fw: emergenza PeaceLink: oltre 1700 gesti di solidarietà in un mese
----- Original Message -----
From: "Alessandro Marescotti" <a.marescotti@???>
To: <news@???>; <pace@???>; <taranto@???>;
<coordinamento@???>
Sent: Wednesday, January 22, 2003 7:56 AM
Subject: emergenza PeaceLink: oltre 1700 gesti di solidarietà in un mese


> Ciao a tutti!
> allego l'editoriale CRISI DI CIVILTA', uscito prima pagina come editoriale
> sul quotidiano PAESE NUOVO di domenica 19 gennaio 2003 (allegato pugliese
> dell'Unita).
> In esso è riportato - nel ragionamento - il problema della citazione in
> giudizio di PEACELINK.
>
> Segnalo che in un mese di raccolta firme (21/12/02 - 21/1/03) su
> http://www.peacelink.it/emergenza
> i risultati sono:
> 1598 adesioni individuali
> 114 adesioni di enti e associazioni
> Inoltre vi sono varie telefonate ricevute e invio di firme per posta che
> devono essere ancora quantificate.
>
> Come molti sapranno un consulente Nato ci ha chiesto 50 mila euro per via
> di una pagina web pubblicata tre anni fa. Tutte le informazioni sono su
> http://www.peacelink.it
> Ricordiamo che il c/c postale per sostenerci è il numero 13403746 ed è
> intestato ad Associazione PeaceLink, via Galuppi 15, Statte (TA), le cui
> coordinate bancarie sono
> abi 07601
> cab 15800
> n.conto 13403746
> cin L
>
> Per causale scrivere "emergenza spese legali". Se vinceremo la causa quei
> soldi daranno devoluti ad un progetto per il Terzo Mondo.
>
> Alessandro Marescotti
> presidente di PeaceLink
>
> ---
>
> CRISI DI CIVILTA'
> di Giuseppe Goffredo
> editoriale di Paese Nuovo (allegato dell'Unità per la Puglia)
> domenica 19 gennaio 2003
>
> Chi ha lanciato negli anni Novanta, del secolo scorso, il falso mito dello
> scontro di civiltà non si è reso conto che esso semplicemente costituiva

la
> patina superficiale di una sofferenza abissale del mondo, che non aveva la
> sua ragione in uno scontro di civiltà, bensì in una crisi di civiltà:

forse
> come non mai conosciuta prima dalla storia. Tale crisi, segnala che, il
> modello di civiltà nato tre secoli fa: dall'inizio dell'era industriale
> fino all'11 settembre del 2001, non è più in grado di reggere e governare
> le sorti del mondo. Non più. Quello che, invece, occorre subito è una
> poderosa riflessione sui mezzi e sui fini che l'umanità si deve dare, per
> continuare la sua avventura sul pianeta.
> Purtroppo, a due anni dell'attentato di New York, da parte della piccola
> oligarchia trasversale che governa il mondo sono venute solo reazioni
> rozze, inadeguati, infelici, una sopra a tutte che denuncia tale
> primitività: - la guerra. Così, anziché interrogarsi sulle ragioni

profonde
> della crisi, si preferisce trattare il terrorismo come causa e non sintomo
> del grande male: da una parte si rafforzano i poteri discrezionali
> dell'uomo più potente del mondo, - il presidente degli Stati Uniti George
> Bush, - dall'altro si limitano le libertà e i diritti dei cittadini; da

una
> parte si sospendono le norme internazionali che regolano i rapporti fra

gli
> Stati, dall'altra si rifiuta l'adesione a qualsiasi organismo di giustizia
> che possa porre un freno ai comportamenti criminali in caso di conflitti
> (ovviamente mi riferisco al rifiuto opposto dagli Stati Uniti di aderire

al
> tribunale per i crimini di guerra dell'Aia, lo stesso che sta processando
> Slobodan Miloseviæ); da una parte si teorizza il permesso di "colpire per
> primi" e dall'altra si accentua il potere dei servizi segreti, dando agli
> 007 la licenza di uccidere. Ma non solo, il presidente degli Stati Uniti,
> George W. Bush, se grida alla scoperta di alcune testate missilistiche
> vuote a Baghdad, dichiara in maniera unilaterale che sono sospesi gli
> accordi per la non proliferazione di armi nucleari; mentre rifiuta di
> firmare la convenzione di Kyoto sull'ambiente, dà il via alla ricerca di
> nuovi giacimenti petroliferi in Alaska; e ancora, mentre parla di "human
> rights" (diritti umani), non permette a paesi come il Sud Africa di
> fabbricare medicinali a basso costo capaci di fronteggiare l'epidemia di
> AIDS, schierandosi a tutela dei brevetti delle multinazionali
> farmaceutiche. Nel frattempo in nome della libertà e della democrazia

emana
> la sua teoria di predominio totale che diffida qualsiasi paese della terra
> ad avvicinarsi, sia pure alla lontana, agli standard di vita degli Stati
> Uniti; richiedendo al tempo stesso per l'economia americana "libertà di
> mercato" e di "libero scambio" in ogni territorio del mondo.
> Così il vero scontro di civiltà in questo momento è fra chi vuole

ragionare
> sulle questioni planetarie e trovare delle soluzioni alternative e chi
> invece vuole usare la guerra come maschera di ferro per oscurare i propri
> interessi, errori e fallimenti. Ovviamente, ai più avvertiti e

consapevoli,
> non sfugge lo scarto, fra quello che è la realtà effettiva e le decisioni
> messi in piedi sul ponte di comando: rispondere al terrorismo con il
> terrorismo, alle armi con le armi, alla follia con la follia.
> Cosi il grido di chi dice No! alla guerra, si sta estendendo in ogni parte
> del mondo, dagli scienziati dell'ambiente agli economisti (anche loro!);
> dal Papa ai movimenti pacifisti. Nuove voci, tante manifestazioni si
> producono ogni giorno: ieri sera, per esempio, a Taranto si è svolta un
> affollato sit in per la pace cui hanno partecipato tutte le associazioni
> impegnate del territorio: Pax Christi, Movimento difesa del cittadino,
> Attac, Rifondazione Comunista, Cooperativa Owen, comitati di Quartiere
> Paolo VI, Salinella e Città Vecchia, Associazione Libera, Emergency,
> Peacelink e molti altre. Ma questo non basta, non può bastare, poiché
> occorre passare dalle manifestazioni a organismi di pensiero permanenti.
> Per questo saluto come una speranza il Centro per la pace che il sindaco
> Paolo Rubino sta insediando a Palagianello, e che ha come obiettivo quello
> di agire in maniera sistematica per aggregare le associazioni per la pace
> del Mezzogiorno, di più per diffondere la pedagogia della pace sul

territorio.
> E a proposito di Peacelink, il sito di Taranto che da più di un decennio,
> costituisce in Italia un punto di riferimento importante per le
> informazioni sulla pace, spero finisca al più presto la vergognosa e
> strumentale aggressione nei suoi confronti. Tutti, credo, sanno, che
> qualcuno, facendo leva su una banale svista che riguarda l'inserimento di
> un nome in calce a un appello per la pace, chiede al sito un risarcimento
> di oltre cinquantamila Euro, cosa che farebbe chiudere il sito. Tale
> vicenda segnala in maniera evidente, la lotta furibonda che in questo
> momento è in atto fra le centinaia di migliaia di persone che a mani nude
> dicono no alla guerra e chi dall'altra parte muove poteri finanziari,
> militari ed economici, enormi.
> Ma la sproporzione non è solo nei mezzi ma anche nei fini: chi persegue in
> maniera criminale i propri interessi, non credo si ponga molti
> interrogativi su quello che sta facendo e come. Semplicemente investe,
> calcola, manipola. Esso impiega, appunto, mezzi, ma non fini. Pensa che a
> lui tocca il guadagno agli altri tocca il costo - umano, economico,
> ambientale. Pensa che i suoi figli devono vivere bene, difesi e al sicuro
> mentre i figli degli altri devono soggiacere nel malessere, nella
> precarietà, nelle malattie. La globalizzazione la intendono come
> distribuzione di dolore ai molti e capitalizzazione dei privilegi in

favore
> dei pochi. Non capiscono che, come diceva un vecchio adagio - che
> riattualizzo: un battito di ali a Baghdad muove le cose a Reykjavik.
> Ma questo, lungi dall'essere casuale, fa parte di una percezione e di un
> modo di pensare che sta avanzando, oggi, nella parte occidentale del

mondo.
> La percezione è quella che il pianeta in questo momento è tagliato in due
> parti: l'una, a Nord Nord-Ovest, è quella che in un certo modo deve
> sopravvivere nel suo benessere e nei suoi privilegi, l'altra, quella a

Sud,
> deve servire, con il suo sangue e le sue risorse, a nutrire la parte Nord.
> Mi rendo conto che è brutale quello che dico. Ma credo non ci sia persona,
> oggi, che dentro di sé non abbia del mondo questa inconfessabile
> percezione. D'altronde non lo dicono anche le cifre? Le statistiche? Non

lo
> conferma anche la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale? Tale
> percezione deriva, soprattutto, dal modello con il quale il mondo
> capitalistico e conquistadores ha impostato le cose negli ultimi cinque
> secoli: da una parte i selvaggi, dall'altra la civiltà, da una parte chi
> muore bombardato e dall'altra chi mangia le merendine; da una parte chi
> crepa per un appendicite e dall'altra chi riesce a curare il cancro con

gli
> ultimi ritrovati della ricerca medica.
> Già! A questo proposito: qualcuno pensa che bisogna avere pudore,
> trattenersi, procedere per lunghi e intrigati ragionamenti. Girarci
> intorno. Dire e non dire come stanno le cose. Arrivare alla sacra
> conclusione che se stanno meglio l'Europa, gli Stati Uniti, il Giappone,
> questo se lo sono guadagnato a botta di fatica e di sudore. Ovviamente ciò
> costituisce una parte di verità. O sarebbe totalmente vero, se non ci
> fossero stati conquiste, predomini, occupazioni, razzie, eccidi,
> sfruttamento, schiavitù in questi cinquecento anni di storia alle nostre
> spalle.
> E qui interviene il nuovo modo di pensare che si sta diffondendo a Nord
> Nord-Ovest sotto la potente spinta di attivi centri di propaganda
> "ideologica". Ecco: basta con i sensi di colpa post-coloniali: ai paesi
> dell'Asia e dell'Africa a metà del secolo scorso è stata restituita la
> libertà. La libertà! E allora perché non si sono dati da fare. Lavorato.
> Progredito. Commerciato. Prodotto. Gli è stata data un'occasione di
> sviluppo, gli sono stati elargiti decine di miliardi di prestiti e che
> hanno fatto? Hanno comprato armi. Si sono ammazzati fra loro. Anziché
> andare verso la democrazia hanno lasciato il potere a dei dittatori.
> Ovviamente, tali ragionamenti non rivelano i pesi economici, le spinte e
> controspinte messe in atto, affinché il guinzaglio, al quale quei paesi
> erano tenuti e sono tenuti, rimanesse sempre corto e comunque in relazione
> agli interessi degli ex colonizzatori. Non dicono quei rapporti che, anche
> negli ultimi quarant'anni del XX secolo, in quei paesi, l'Occidente ha
> continuato a produrre colpi di stato, allevare regimi compiacenti, drenare
> oro, diamanti, petrolio, e negli ultimi anni anche pezzi di fegato,
> polmoni, reni, per aggiustare i nostri corpi sazi e malfunzionanti.
> Così, la vecchia retorica colonialista si ricollega alla nuova; gli
> ideologi post-post-colonialisti passano al contrattacco, accusano i
> pidocchi del Terzo-Quarto mondo di essere non solo incapaci di risolvere i
> problemi delle loro società, ma di esportare violenza, fondamentalismo,
> terrorismo. "Gli eventi dell'11 settembre 2001 ci hanno insegnato dicono
> - che gli stati deboli come l'Afghanistan possono causare un grave

pericolo
> ai nostri interessi nazionali non meno degli stati potenti. La povertà

non
> può trasformare i poveri in terroristi e assassini. Tuttavia la povertà,

le
> istituzioni deboli e la corruzione possono rendere gli stati deboli
> vulnerabili rispetto alle reti terroristiche". Per questo, allora, i

poveri
> oltre che miserabili sono anche colpevoli. Colpevoli di essere affamati e
> terroristi, "deboli" e fondamentalisti.
> Per questo, si dice: è finito il tempo dei sensi di colpa, delle
> responsabilità storiche e di altre sciocchezze: occorre "colpire per

primi"
> i nostri nemici. Passare di nuovo dal controllo economico a quello
> militare. Occupare, ri-occupare con le armi i loro paesi, impadronirsi
> direttamente delle loro risorse, allo scopo dichiarato, di nutrire le
> "nostre" industrie, alimentare le "nostre" automobili, permettere per i
> prossimi anni i "nostri" week-end: "La strategia nazionale degli Stati
> Uniti sarà improntata dichiarano a un internazionalismo marcatamente
> americano che rispecchia l'unità dei nostri valori e dei nostri interessi
> nazionali".
> Sembra uno scherzo questo discorso. Sembrano le elucubrazioni di un
> massimalista radicale, invece basta leggersi le 30 pagine del "La

Strategia
> della Sicurezza Nazionale" sottotitolo "I nuovi indirizzi di politica
> internazionale dell'amministrazione Bush", da cui abbiamo tratto le due
> citazione precedenti, per capire che è tutto vero. E' tutto scritto.
> Codificato. Preventivato. La nuova politica per il mondo, quella che
> dovrebbe rispondere nelle intenzione di Bush al disastro del settembre
> 2001, si può riassumere nel banale detto latino: mors tua vita mea. Il che
> significa che per i prossimi cento anni il resto del mondo si deve
> sacrificare per salvaguardare lo stile di vita degli Stati Uniti. Detto in
> maniera più brutale: nel mondo non c'è trippa per tutti. E quella rimasta
> ancora in giro è appannaggio degli "interessi" americani, come nel caso

del
> petrolio iracheno. E se a qualcuno venisse in mente di chiedere con quale
> diritto si affermi tutto questo; la risposta sarebbe: "una forza militare
> senza precedenti" (Bush), che tradotto significa: il diritto di chi è
> meglio armato; il diritto di chi comanda; mentre gli altri devono

ubbidire,
> piegare la testa, sacrificarsi. Dopo di ché, a chi fa il buono, a chi è

più
> simpatico, sarà accordata qualche briciola.
> Questa è la morale "post-ethical" dei prossimi anni per gente come George
> W. Bush, Condoleeza Rice, Dick Cheney, e i loro amici Tony Blair, Silvio
> Berlusconi, etc. E' questa "l'ideologia della guerra" che deve filtrare
> attraverso i giornali, la televisione, insegnata nell'università, imposta
> negli ambienti che contano.
> E se qualcuno si ribella a questo stato di cose, saranno guai. Guai ai
> poveri del Terzo e Quarto mondo. Guai ai poveri del "primo" mondo. E non

si
> facessero illusioni gli emigrati che riusciranno a varcare il cancello del
> paradiso post-orwlliano, poiché non ce l'avranno fatta. Anche qui, come

nei
> loro paesi non saranno detentori di diritti e di libertà, vivranno una

vita
> marginale, da disperati, alla mercè del buon cuore degli indigeni:

bianchi,
> ricchi, potenti; saranno loro che a seconda della giornata, gli molleranno
> un osso o li prenderanno a calci.
>
>
>