[Cerchio] Legi et disce!

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Autor: Tuula Haapiainen
Datum:  
Betreff: [Cerchio] Legi et disce!
Ueeh, vedi che mi fai fare!! Senza di te mi sarei risparmiata l'Oriana La
Fallace..:-))
tuula
----- Original Message -----
From: "Jonny Stecchino" <alfaomega60@???>
To: <cerchio@???>
Sent: Saturday, November 23, 2002 3:06 PM
Subject: [Cerchio] Legi et disce!


> Se qualcuno ancora non l'ha letto provvedo ad inviare
> l'Articolo della Oriana Fallaci:-
>
> Dopo le cinque giornate di Firenze, la scrittrice
> replica punto per punto a tutti coloro che l'hanno
> attaccata
>
> Signora Fallaci, devo fare una premessa: io sono
> quello che giovedì 7 novembre, cioè il giorno in cui è
> incominciato il Social Forum a Firenze, ha pubblicato
> sul «Giornale della Toscana» un articolo di fondo
> intitolato: «Il coraggio della Fallaci».
> E sono quello che nell'edizione di domenica 10
> novembre ha pubblicato, sempre in prima pagina e con
> la mia firma, un articolo intitolato «La gratitudine
> che dobbiamo alla Fallaci».
> Ritengo infatti che con quell'estate trascorsa a
> battersi come un leone per spiegare alla destra e alla
> sinistra ma soprattutto alla sinistra l'errore del
> Social Forum a Firenze, poi con quell'articolo
> «Fiorentini, reagite con sdegno-Comunque vada, la
> violenza morale rimane», lei abbia contribuito in
> maniera determinante a salvare Firenze. A far sì che
> non succedesse nulla.
> E pazienza se per salvare Firenze lei ha salvato anche
> chi non meritava davvero di essere salvato. Tutto ha
> un prezzo, in questa vita...
>
> Non è successo nulla perché è successo tutto. O
> meglio, perché succedesse tutto. Ho scosso la testa
> quando l'indomani ho visto l'esultanza dei giornali
> che dicevano: «Firenze, festa della Pace».
> (Un'esultanza che ricordava il trionfalismo dei
> comunisti italiani al tempo di Molotov-Malenkov-Beria,
> poi di Krusciov e di Breznev cioè al tempo in cui non
> facevano che blaterare di pace ma più ne blateravano
> meno ce n'era). Anziché una Festa della Pace, infatti,
> sabato 9 novembre a Firenze s'è svolta una brillante
> manovra politica. Un magistrale sgambetto, un geniale
> «colpo-di-stato» che un settore della sinistra
> massimalista ha compiuto contro i vertici della
> sinistra istituzionale. Per l'esattezza, il settore
> che è riuscito a controllare dominare narcotizzare i
> gruppi facinorosi del caotico movimento detto
> no-global. Al posto dei militari che nei normali colpi
> di stato escono dalle caserme per occupare i palazzi
> del Potere, i quarantaduemila partecipanti della Cgil.
> E in particolare i millecinquecento incaricati del
> servizio d'ordine, i cinquecento operai della Fiom, i
> cinquecento militanti Ds, i ferrigni portuali di
> Livorno. Non ha disubbidito nessuno, a Firenze.
> Nemmeno il supposto capo dei disubbidienti, il Rambo
> che aveva annunciato: «Non sarà una manifestazione
> non-violenta». Nemmeno gli anarchici greci di cui
> tutti avevano tanta paura. Nemmeno i duri con le tute
> nere. Nemmeno i morbidi con le tute bianche che però a
> Genova non erano stati tanto morbidi e s'eran messi
> con le tute nere, avevano partecipato agli scontri con
> la polizia. A proposito: ma chi glieli dà i soldi per
> comprarsi quelle costosissime tute e la guerresca
> attrezzatura che le accompagna? Chi glieli dà i soldi
> per viaggiare sugli aerei intercontinentali e sui
> treni di lusso e sulle automobili accessoriate? La San
> Vincenzo de' Paoli? Non hanno disubbidito nemmeno i
> Casseurs francesi, gli Attak olandesi. Anziché
> rivoluzionari, sembravano goliardi in vacanza.
> Suonavano l'orchestrina, facevano il girotondo,
> cantavano «Bella ciao, Bella ciao». Manco fossero
> diventati tutti boy scout. O frati francescani,
> monache carmelitane. Ma insieme alle bandiere del
> pacifismo, pacifismo-uguale-antiamericanismo, alzavano
> giganteschi ritratti di Stalin. «CON STALIN PER
> SEMPRE. Per un'Italia Unita, Rossa, Socialista».
> Alzavano ritratti di Bin Laden, un Bin Laden che
> sembrava un Che Guevara. Ritratti di Che Guevara, un
> Che Guevara che sembrava Bin Laden. E tra le bandiere
> del pacifismo-uguale-antiamericanismo, i cartelli che
> insultavano me. «Le bombe intelligenti leggono Oriana
> Fallaci». «Meglio un Pacciani in casa che una Fallaci
> all'uscio». «Questa è la vera Firenze, non quella
> della Fallaci». «Fuck you, Fallaci». «Vaffanculo
> Fallaci».
>
> Li ho visti anch'io. E ve n'eran di peggio.
> Pazienza. Neanche uno però che in nome della parola
> più sputtanata del mondo, la parola Pace, ricordasse i
> tremilaottocento morti dell'11 settembre. Neanche uno
> che in nome dei Diritti Umani maledicesse il
> mussoliniano dittatore che si chiama Saddam Hussein, i
> gas con cui ha sterminato a migliaia i contadini dei
> villaggi iraniani. E con cui oggi stermina i contadini
> dei propri villaggi. Neanche uno che rendesse omaggio
> agli studenti cinesi ammazzati in piazza Tienanmen.
> Neanche uno che celebrasse il piccolo eroe che con la
> borsa della spesa in mano si piazza dinanzi ai carri
> armati di Pechino. Neanche uno che piangesse sul
> milione di cambogiani assassinati da Pol Pot. Neanche
> uno che condannasse le stragi che i kamikaze
> palestinesi hanno fatto e fanno nei supermarket e
> nelle pizzerie di Tel Aviv o di Gerusalemme. Neanche
> uno che s'indignasse per il testamento lasciato dal
> kamikaze che diresse la strage di New York: «Ai miei
> funerali non voglio esseri impuri cioè cani e donne.
> In particolare quelli più impuri cioè le donne
> incinte». Non ci pensavano neppure i dimostranti in
> buona fede. Intendo quelli convinti che la guerra si
> possa abolire, che la Ricetta per la Pace esista. E va
> da sé che molti di questi eran lì solo per noia o
> curiosità. (Perché siete qui? - ha chiesto un
> telecronista a tre giovanotti vestiti da coniglietto.
> «Per divertirci» - hanno risposto). Va da sé che il
> trentasei per cento dei dimostranti ufficiali non
> sapevan nemmeno che cosa significasse la parola
> no-global. (La cifra del trentasei per cento è fornita
> dal sondaggio compiuto alla Fortezza da Basso dagli
> stessi organizzatori del Forum). Ma torniamo al
> colpo-di-stato.
>
> Un «colpo-di-stato», uno sgambetto, una manovra
> politica, lei stava dicendo, che si è materializzato
> non impiegando un esercito in uniforme ma quei
> quarantaduemila che neutralizzavano i gruppi
> facinorosi.
> Guardi, quando rifletto su quel colpo-di-stato,
> dinanzi ai miei occhi appare l'immagine d'un politico
> freddo e intelligente che vagheggia un progetto molto
> ambizioso: sbaragliare i rivali, prendere in pugno un
> partito che era un partito con una fisionomia ben
> precisa ma che di fisionomie ora ne ha centomila e non
> sa più dove va. Come un Bonaparte deciso a passare il
> Moncenisio, conquistare la Liguria e il Piemonte poi
> il Lombardo-Veneto e le Romagne poi il resto, va
> dunque in cerca di truppe. Di alleati, di sostenitori.
> E per trovarne si rivolge all'unico elettorato di cui
> si possa servire: quello di chi, avendo le idee
> confuse o non avendone affatto, si nutre solo di
> parole e di slogan. Al massimo, di utopie. È
> l'elettorato offerto da una generazione che tutto
> sommato non vale un granché. Ha avuto pessimi
> genitori. Gente che ha saputo dargli solo il motorino
> e il telefonino o il computer e l'automobile, le
> vacanze alle Seychelles. Ha avuto pessimi maestri.
> Gente che essendo uscita dalla cialtroneria
> sessantottina non ha saputo insegnargli neanche a fare
> una divisione e una moltiplicazione, a usare il
> condizionale e il congiuntivo. Ha avuto pessimi
> esempi. Gli esempi d'una società che parla sempre di
> diritti e mai di doveri. E di conseguenza è una
> generazione scoglionata, per lo più composta da figli
> di papà cioè da borghesucci ben nutriti e molto
> annoiati. Da falsi ribelli in cerca d'un nemico da
> combattere e nel medesimo tempo di ciò senza cui gli
> esseri umani non possono vivere: un sogno, uno scopo.
> Così a un certo punto il sogno, lo scopo se lo sono
> inventato, e lo hanno chiamato Pacifismo. Il nemico se
> lo sono costruito, e lo hanno chiamato globalismo. Di
> questi due concetti che non sono nemmeno concetti
> hanno fatto un gran pasticcio battezzato movimento
> no-global e con quello, guidati o maneggiati da adulti
> privi di qualità sono andati all'attacco. Ogni volta
> combinando un mucchio di guai. Seattle, Praga,
> Göteborg, Genova. A Genova hanno anche lasciato un
> morto di cui quegli adulti si cibano come avvoltoi, ed
> ora vengono a Firenze, dove c'è una gran paura del
> corteo che sfilerà sabato 9 novembre. Il politico
> freddo e intelligente, si dice, non li può soffrire. I
> figli di papà esulano dal suo ambiente: lui è abituato
> a stare con gli operai. Però capisce che questa è
> un'occasione d'oro. Capisce che per passare il
> Moncenisio deve cavalcare la tigre di quel corteo,
> impedire che a Firenze avvengano le solite tragedie.
> Per impedirlo deve tenere a bada i facinorosi che
> hanno combinato i guai di Seattle, di Praga, di
> Göteborg, di Genova. E per tenerli a bada manda i suoi
> quarantaduemila più duemilacinquecento fedeli. Tipi
> che conoscono la ribellione e la disciplina, che non
> sopportano mosche sul naso, e che non possono essere
> trattati dai facinorosi come un piccolo carabiniere
> terrorizzato o un povero poliziotto al quale il
> questore ha tolto perfino la rivoltella.
> Contemporaneamente parla coi possibili membri del
> possibile elettorato. Li convince a non commettere una
> volta tanto sciocchezze. Gli porge la mano, gli
> promette nonsocché e forse gli dice: «Ragazzi,
> pensateci bene. Urge una metamorfosi». Poi viene a
> Firenze, si mette nel corteo che nel frattempo s'è
> misteriosamente raddoppiato, anzi triplicato di folla
> estranea ai no-global. Una folla soltanto curiosa.
> Quindi innocente, innocua. Ci si mette e con gambe
> salde, idee chiare, sfila tra le bandiere nere e
> rosse, tra i Che Guevara che sembrano Bin Laden, i Bin
> Laden che sembrano Che Guevara. E la manovra che
> chiamo sgambetto anzi colpo-di-stato riesce. Gli
> riesce. Parlo, naturalmente, di Cofferati.
>
> Ipotesi affascinante, anche considerando il processo a
> cui ora sono sottoposti i suoi rivali.
> Ipotesi? Io dico realtà. Il guaio è che le metamorfosi
> non avvengono nel giro di ventiquattr'ore. E una
> rondine, cioè un corteo che per la prima volta non
> brucia neanche un'automobile, per la prima volta non
> sfascia neanche una vetrina, non fa primavera. Chi ha
> un po' di cervello non può credere che all'improvviso
> i no-global siano diventati tutti boy scout, frati
> francescani, suore carmelitane. Aspetti il prossimo
> raduno, ad esempio il G8 che terranno a Parigi, e
> vedrà. Del resto ce l'hanno promesso. Rambo se n'è
> andato a culo torto e dicendo: «Torneremo». Torneranno
> a far che? A visitare gli Uffizi? A chiudersi in
> ritiro spirituale nell'abbazia della Certosa? La
> domanda mi rimbomba dentro gli orecchi, e mentre
> rimbomba mi chiedo: se il colpo-di-stato si consolida,
> dura, quanti ne gestirà l'aspirante Bonaparte? Alcuni
> affermano che questi no-global sono davvero un
> movimento di emancipazione. Ma l'emancipazione non ha
> niente a che fare coi Casseurs, coi prepotenti che
> rompono e spaccano come gli squadristi di ottant'anni
> fa. Non ha niente a che fare con chi difende i regimi
> teocratici, con chi ammette il burka o il chador.
> Altri sostengono che i facinorosi sono una minoranza e
> che prima o poi diventeranno come i loro padri o i
> loro nonni sessantottini, cioè direttori delle banche
> che ora vogliono assaltare. Altri ancora giurano che
> son davvero bravi ragazzi, che spesso vogliono bene al
> Papa, e che molti preti stanno con loro. Ma dagli ex
> sessantottini e dai preti mi guardi Iddio, dal Papa mi
> guardo io, e concludo: voglio proprio vedere come se
> la caverà, con loro, il vincitore di sabato 9
> novembre.
>
> Ma nei contatti che ebbe durante l'estate per
> scongiurare il Social Forum a Firenze non sospettò mai
> che il Social Forum di Firenze potesse partorire un
> simile intrigo?
> Noddavvero. Io pensavo soltanto a salvare Firenze. Il
> timore che i bravi-ragazzi combinassero a Firenze quel
> che avevan combinato ovunque, che Firenze me la
> sciupassero, me la oltraggiassero, era l'unica idea
> che occupasse la mia mente. Non a caso, proprio nel
> corso di quei contatti, incominciai a parlare di
> violenza morale. «Comunque vada, sarebbe una violenza
> morale» dicevo ricordando a tutti che Firenze è il
> simbolo stesso della nostra cultura, della nostra
> identità, della nostra civiltà. E a causa di questo,
> solo di questo, quando seppi che la sgomentevole
> coppia cioè il presidente della Regione e il sindaco
> di Firenze aveva commesso l'insensatezza, uscii dal
> mio esilio. A causa di questo in luglio lasciai New
> York e venni in Italia. Per il mio lavoro non avrei
> dovuto. Stavo traducendo La Rabbia e l'Orgoglio in
> inglese, e non aveva alcun senso fare un simile lavoro
> a Firenze anziché a New York. In più, quando lavoro ho
> bisogno d'una assoluta concentrazione: non riesco a
> far due cose nel medesimo tempo. Ma Firenze mi
> permetteva d'affrontare «de visu» le persone alle
> quali era necessario rivolgersi. Il primo che vidi fu
> il prefetto Serra. E trovai un uomo molto preoccupato.
> Talmente preoccupato che parlava di dimettersi e, ben
> sapendo che si trattava d'un bravo prefetto, più volte
> esclamai: «Per carità! Non lo dica nemmeno». Poi gli
> chiesi perché al sindaco e al presidente della Regione
> non avesse obiettato che quel Social Forum non doveva
> svolgersi a Firenze in quanto egli non poteva
> garantire la sicurezza d'una città così preziosa e
> così vulnerabile. Ma lui rispose che una cosa simile
> avrebbe screditato lo Stato: il suo dovere era
> garantire ad ogni costo quella sicurezza. Allora il
> discorso si spostò sul centro storico, sulla necessità
> che il centro storico non ne venisse coinvolto. Gli
> mostrai la mappa della città. Gli spiegai che da ogni
> piazza, ogni strada, ogni stradina, ogni vicolo, a
> Firenze si accedeva al centro storico. Gli raccontai
> l'episodio dei contestatori livornesi che
> nell'Ottocento, al tempo del triumvirato
> Mazzoni-Guerrazzi-Montanelli, s'erano installati
> proprio alla Fortezza da Basso. E di lì, attraverso le
> stradine e i vicoli, nel centro storico. Devastandolo.
> Mi ascoltò zitto zitto. Poi mi suggerì di parlare
> anche con De Gennaro, il capo della polizia, e mi
> pungolò a vedere chiunque potesse convincere la
> sgomentevole coppia a cambiare idea: ritirare
> l'invito. Ad esempio, il neoministro degli Interni
> Pisanu. Il secondo che incontrai fu Pisanu. Per
> parlarci andai addirittura a Roma. Ed anche Pisanu mi
> apparve molto preoccupato. Scriveva tutto ciò che gli
> dicevo su un minuscolo block-notes, ricordo, e
> ripeteva: «Lo faccio perché sono qui da poco. Su certe
> cose so poco, e questa faccenda è seria». Il terzo
> incontro fu con Fassino e...
>
> Perché Fassino e non coloro che chiama la
> «sgomentevole coppia»?
> Perché io non sono un politico, e quando una persona
> m'è antipatica non riesco ad avvicinarla. Stringerle
> la mano mi mette a disagio, mi sembra un'ipocrisia.
> Del resto non sarebbe servito a nulla. Il sindaco non
> faceva che sostenere l'idea, dire che straordinaria
> occasione era avere i no-global a Firenze. E quando lo
> avevo conosciuto due anni prima, cioè al tempo della
> tenda eretta dai somali in piazza del Duomo, non mi
> era parso un tipo molto energico. Un tipo audace.
> Quanto al presidente della Regione, si comportava come
> se avere i no-global a Firenze fosse una benedizione
> di Dio. E non dimentichi che l'idea di invitarli non
> gli era venuta a Porto Alegre, cioè lo scorso aprile.
> A parlarne aveva incominciato verso lo scorso
> settembre, cioè dopo il crollo delle Torri Gemelle, e
> perbacco: non mi sembra mica tanto civile reagire al
> massacro di quattromila americani (la cifra include
> quelli di Washington) invitando i simboli stessi
> dell'antiamericanismo, i bravi-ragazzi per cui Bin
> Laden è un Libertador. Qualcuno, è vero, mi suggeriva
> di parlare con quello dell'erre moscia. Il rifondarolo
> che in questi giorni non fa che insultarmi, accusarmi
> di «odiare l'umanità». Coi no-global, infatti, egli ha
> rapporti assai affettuosi. Dei no-global è un grande
> estimatore. Qualche altro mi suggeriva di parlare con
> Cofferati che al Social Forum di Firenze era
> assolutamente contrario. Ma neanche per il primo ho
> mai avuto una gran simpatia, il secondo m'è sempre
> parso un tipo che non dice ad alta voce quello che
> pensa. E non potendo immaginare ciò che gli frullava
> in testa, preferii vedere Fassino che del resto
> giudicavo il più affidabile. Il più serio. Né mi pare
> d'aver scelto male. Perché è stato lui a lanciare il
> «chi-va-là» alla sinistra. E al corteo non ha
> partecipato, al Social Forum non s'è nemmeno
> presentato. (Bravo Fassino).
>
> E a Fassino che disse?
> Gli dissi le stesse cose che avevo detto a Pisanu, più
> qualcosa che riguardava soltanto lui e il suo
> schieramento politico. Gli dissi: «Ma si rende conto,
> Fassino, che se i facinorosi devastano Firenze come
> hanno devastato le altre città, se imbrattano il David
> o rompono il braccio al Perseo, se bruciano il Ponte
> Vecchio o spaccano il naso a una Naiade del
> Giambologna, i primi ad esser coperti di merda siete
> proprio voi della sinistra?». E a udire il brutale
> vocabolo «merda», lui così educato, così soigné, si
> raggricciò tutto. Poi, con voce mesta rispose: «Me ne
> rendo conto, me ne rendo conto...». Sia con lui che
> con gli altri, i contatti continuarono fino
> all'autunno. E con tale impegno, da parte mia, che per
> finire la traduzione ci misi più tempo di quanto avrei
> dovuto. A New York potei rientrare soltanto ai primi
> di ottobre, e vuol saperla tutta? Nemmeno a New York
> smisi di dedicarmi al problema di Firenze. Infatti
> riuscii a convincere i miei interlocutori sul punto
> ormai fondamentale: fare in modo che il corteo non
> passasse dal centro storico, evitare che i monumenti
> pagassero il fio di eventuali scontri e bombolette
> spray. Poi, all'improvviso, tutto tacque. E mentre ero
> a Washington cioè all'American Institute per fare il
> discorso che ho pubblicato sul Corriere, lessi che
> Pisanu era andato in Parlamento per esporre i pericoli
> del raduno e chiedere il parere dell'opposizione.
> Anche il sindaco e il presidente della Regione che ora
> vanno in giro a raccontar balle, a vantarsi di non
> aver mai avuto dubbi
> sull'esito-pacifico-dell'iniziativa, ora si mostravano
> preoccupati anzi spaventati. «Eh, sì: certe
> preoccupazioni sono legittime!». «Eh, sì: Roma deve
> garantire la sicurezza». E il prefetto, lo stesso. Il
> governo, lo stesso. L'opposizione, lo stesso. Ormai
> tutti s'aspettavano il peggio. Tutti. Nessuno dunque
> mi dica che invitando i fiorentini ad esprimere il
> loro sdegno io esageravo. Se no gli cresce un naso
> lungo come quello di Pinocchio.
>
> Ma lo sa che la sgomentevole coppia ora vorrebbe le
> scuse di coloro che chiamano allarmisti?
> Scuseeee?!? Sono io, siamo noi fiorentini che esigiamo
> le loro scuse! Le esigiamo per il calvario d'angoscia
> e di pena che da aprile a novembre hanno imposto alla
> città. Le esigiamo per il denaro pubblico che con
> questa avventura hanno fatto spendere alla città. Le
> esigiamo per il rischio che con questa avventura hanno
> fatto correre alla città. Le esigiamo per aver offeso
> Firenze coi ritratti di Bin Laden, con il loro
> antiamericanismo travestito da pacifismo. Gli è andata
> bene, a quei due. Perché se Cofferati non avesse
> effettuato il geniale colpo-di-stato, se non avesse
> narcotizzato i bravi-ragazzi con i suoi servizi
> d'ordine e i suoi operai della Fiom e i suoi portuali
> di Livorno, ora entrambi dovrebbero presentare le
> dimissioni. O verrebbero cacciati a furor di popolo.
> Quanto alla parola allarmismo, non diciamo
> sciocchezze. Se un allarme è giustificato, né
> moralmente né giuridicamente si può avanzare una
> simile accusa. Dopo l'assicurazione che il corteo non
> sarebbe entrato nel centro storico della città, del
> resto, io non ho affatto escluso che a Firenze si
> potessero evitare le solite devastazioni. È possibile
> «che per non perder la faccia e i loro privilegi, gli
> squallidi mecenati del Social Forum convincano i
> bravi-ragazzi a rimangiarsi la promessa
> non-sarà-una-manifestazione-non-violenta» ho scritto
> più volte nell'articolo. E, come dicevano gli antichi
> romani, verba volant sed scripta manent. Le parole
> volano ma gli scritti rimangono.
>
> Quindi la gratitudine di cui ho parlato nel pezzo e
> nel titolo del mio articolo dovrebbe essere espressa
> anzitutto da chi ora pretende le scuse.
> Ma che me ne importa della gratitudine! Certe cose non
> si fanno mica per ricevere gratitudine! Si fanno per
> dovere, si fanno per amore! E se insieme a Firenze si
> sono salvati quei due, pazienza. Andrò all'inferno,
> pagherò per la colpa. L'importante era che Firenze si
> salvasse. E in quel senso nessuno è più felice di me.
>
> Cos'altro le ha dato felicità o almeno consolazione,
> sollievo, durante la giornata di sabato?
> Sollievo? Lo spettacolo di Firenze con le saracinesche
> abbassate, le strade e le piazze vuote, le persiane
> chiuse. Tante persiane chiuse. Io a quello non avevo
> pensato. Quello non l'avevo chiesto ai fiorentini. E
> al mattino, quando sono uscita... Perché di primo
> mattino sono uscita per vedere se i fiorentini mi
> avevano ascoltato. E perbacco se mi avevano ascoltato!
> Tutti i negozi erano chiusi, tutti. Era chiuso perfino
> Rivoire: il famoso bar di piazza Signoria ai cui
> proprietari durante l'estate avevo già suggerito di
> chiudere per protesta. E nelle strade, nelle piazze
> dall'alba prive di taxi, non vedevi che poliziotti con
> le camionette. Ogni tanto, qualche gruppo di no-global
> col tamburo e la bandiera rossa. Non era uno
> spettacolo allegro, no: a me sembrava di riveder la
> Firenze del 1944. Quella occupata dai tedeschi e
> martoriata dai bombardamenti. E a guardarla mi si
> stringeva il cuore. Però era anche la Firenze che
> nell'articolo avevo chiesto ai fiorentini di offrire
> al mondo per protestare contro la violenza morale che
> stava subendo. Una Firenze offesa ferita tradita
> eppure orgogliosa. E consolata pensavo: «Mi hanno
> ascoltato, perbacco, mi hanno ascoltato... ». Verso
> mezzogiorno ci sono tornata con Serra. Col suo autista
> e il suo vice (niente nutrita-scorta-di-carabinieri).
> Serra mi ha portato dove a piedi non potevo andare. Mi
> ha mostrato i lungarni dal ponte alla Vittoria fino al
> ponte San Niccolò, mi ha mostrato i viali che il
> corteo avrebbe percorso partendo dalla Fortezza da
> Basso. E, non di rado, lì i negozi erano aperti. Però
> c'era lo stesso silenzio, la stessa immobilità. E nel
> primo pomeriggio, quando a piedi sono tornata nel
> centro storico per vedere se qualcuno avesse cambiato
> idea, idem. (Lo so che alcuni cronisti in cerca di
> scoop s'erano appostati nei pressi della porta da cui
> aspettavano che uscissi. Ma quel palazzo ha due
> entrate, ed io andavo e venivo dall'altra porta). La
> felicità, invece, l'ho provata a tarda sera, quando ho
> saputo che l'adunata oceanica stava defluendo verso i
> treni ed i pullman. Cioè quando è apparso chiaro che i
> disubbidienti erano stati ubbidienti, che i prepotenti
> s'erano arresi alle truppe del Bonaparte. E, nel buio,
> sono tornata ancora una volta in piazza Signoria.
> C'ero andata anche la sera prima, in piazza Signoria.
> E sempre col cuore stretto m'ero messa dinanzi al
> Perseo di Benvenuto Cellini, gli avevo detto:
> «Speriamo che non ti succeda qualcosa!». Ora, invece,
> il mio cuore cantava, e col cuore che cantava gli
> dicevo: «Ce l'abbiamo fatta, ce l'abbiamo fatta! E
> lascia pure che quei due se ne godano i vantaggi».
>
> Però ha pagato un altissimo prezzo, per questo. Ha
> pagato con l'odio, le ingiurie, le offese, le
> calunnie, gli sberleffi, le perfidie che le hanno
> scaraventato addosso. Ha pagato col crucifige, anzi
> col linciaggio più indecente, più scandaloso, più
> ignobile, al quale abbia mai assistito...
> Caro mio, io ho sempre pagato per dire quello che dico
> ed essere quella che sono. Una persona che dice «pane
> al pane e vino al vino», che butta in faccia la
> verità, che non si piega dinanzi ai ricatti o alle
> imposizioni. Una persona libera. Tutta la mia vita
> professionale è stata un crucifige. Ogni mio libro e
> quasi ogni mio articolo è stato vittima d'un
> linciaggio. Pensi a ciò che accadde con Lettera a un
> bambino mai nato, pensi a ciò che accadde per Un Uomo.
> Pensi a ciò che ancora accade per La Rabbia e
> l'Orgoglio in Italia, in Francia, in Germania, in
> Spagna, eccetera. Oppure pensi a ciò che accadde nel
> 1969 col mio reportage da Hanoi. Per due anni la
> guerra in Vietnam l'avevo seguita dal Vietnam del Sud.
> E da qui l'avevo criticata, condannata, maledetta.
> Così nel 1969 il regime di Ho Chi Min mi invitò ad
> Hanoi e andai nel Vietnam del Nord. Ma qui vidi gli
> stessi orrori che avevo visto nel Vietnam del Sud più
> la tirannia che quel regime esercitava sui suoi
> cittadini. Con la stessa indipendenza di giudizio che
> m'aveva guidato a Saigon scrissi il reportage da
> Hanoi, ed apriti cielo! Coloro che fino a quel momento
> m'avevano complimentato elogiato osannato mi
> scagliarono addosso insulti così infami, calunnie così
> vergognose, che solo a ripensarci m'infurio. Neanche
> per un attimo tennero conto del fatto che l'autore
> anzi l'autrice di quel reportage fosse la stessa
> persona che da Saigon aveva condannato e condannava la
> guerra in Vietnam e con la guerra il regime di Thieu.
> Che ad Hanoi tale persona avesse lo stesso cervello,
> lo stesso cuore, la stessa morale, la stessa visione
> della vita che aveva a Saigon. Dopo l'articolo sui
> no-global a Firenze è successa la medesima cosa. È
> aumentata soltanto la virulenza. E in molti casi la
> cretineria, la volgarità dei linciatori. Alcuni non
> hanno tenuto neanche conto del rispetto che si deve a
> una persona non più giovane.
>
> Incominciando dai politici, anzi dai miei colleghi
> giornalisti.
> Un bieco individuo che s'era già scagliato contro la
> mia difesa della cultura occidentale, uno che pur
> essendo ebreo detesta Israele, si è abbassato fino a
> impreziosire il suo talk-show televisivo disegnando un
> paio di baffi sulla mia fotografia. Ed ogni sera se ne
> vanta come se avesse compiuto un'impresa egregia, un
> atto di eroismo. Si rivolge ai suoi spettatori e dice:
> «Vi avevo promesso di mettere i baffi alla Fallaci e
> l'ho fatto. Io mantengo sempre gli impegni». Un furbo
> parassita che da un anno vive all'ombra de La Rabbia e
> l'Orgoglio ha invece dichiarato che io non sono un
> caso politico o culturale, ma un «caso clinico». (E va
> da sé che sul Corriere della Sera Piero Ostellino gli
> ha risposto che il caso clinico è lui, poveretto. Lui
> che cambia ogni poco gabbana, ed ora lecca i piedi a
> Mao, ora li lecca a Pol Pot, ora a Khomeini. Sicché
> «se capitasse in un convento di monache rischierebbe
> di uscirne vestito da suora»). Il segretario del
> Partito dei Comunisti italiani, nonché ex ministro
> della Giustizia nel governo dell'Ulivo, ha dichiarato
> di non leggermi perché «gli faccio schifo». (Signor
> Diliberto o come si chiama, contraccambio l'omaggio di
> tutto cuore. Se io faccio schifo a Lei, Lei fa schifo
> a me). Una giornalista che credevo intelligente, un
> po' spocchiosa ma intelligente, ha associato il mio
> nome a quello di Berlusconi: personaggio che nel mio
> libro tratto con molta durezza. Mi ha accusato di
> propagare stereotipi, di telefonare confidenzialmente
> ai potenti, e di andar di pari passo col gregge (il
> Popolo lei lo chiama «gregge»). E il giovane
> segretario d'un partito che ormai non conta più nulla
> perché ha sprecato tutte le occasioni che la storia
> gli aveva offerto, s'è permesso di dire che io indosso
> una tuta come il Rambo che guida i Disubbidienti. «Lui
> ce l'ha bianca e lei di un altro colore». (Quale
> colore, giovanotto? Abbia il coraggio di dirmelo in
> faccia, che poi ci vediamo a quattr'occhi). Le
> femministe che un tempo mi definivano
> male-chauvinist-pig, quasi tutte senatrici di non
> tenera età, hanno strillato che sono «una vecchia
> rimbecillita». E per insinuare che la Fallaci è
> frivola, che i negozi erano aperti, un cretino
> televisivo ha detto: «Sabato mattina la Fallaci è
> stata vista a passeggio nel centro storico dove faceva
> lo shopping».
>
> E in tanta indecenza cos'è che l'ha impressionata di
> più?
> L'episodio di cui non le ho parlato. Quello dei
> no-global che al Social Forum volevano bruciare i miei
> libri. Mi ha colpito in modo particolare, sì. Perché
> non so immaginare niente di più fascista, di più
> nazista, dei mascalzoni che bruciano i libri scritti
> da chi non la pensa come loro. Se non sbaglio negli
> anni Trenta, a Berlino, le Camicie Brune di Hitler
> incominciarono proprio col rogo di libri. Anzi, delle
> librerie. Oh sì, c'è qualcosa di marcio e insieme di
> ambiguo in questi no-global che cercano la Ricetta
> della Pace e poi fanno solo atti di guerra. C'è un
> cattivo odore, un odore di fascismo, di nazismo.
>
> Ma come si sentiva durante il linciaggio?
> Spesso, non ci crederà, quasi divertita. Perché in
> quei giorni accadevano cose molto importanti. La
> vittoria che Bush ha riportato nelle elezioni a medio
> termine, ad esempio. Il suo tira e molla con la
> Francia e la Russia e l'Onu per imporre l'ultimatum a
> Saddam Hussein. Il voto unanime dato dal Consiglio di
> Sicurezza per imporre gli ispettori. La vittoria del
> partito islamico in Turchia, la domanda se la Turchia
> debba anzi possa entrare nell'Unione Europea.
> (Mioddio). E loro stavan lì a spettegolare sul diavolo
> e sull'acqua santa. Io, il diavolo: naturalmente. Il
> Social Forum, l'acqua santa. Aprivi un giornale,
> qualsiasi giornale, e vedevi il nome Fallaci. L'infame
> Oriana Fallaci. Aprivi la televisione, qualsiasi
> televisione, e udivi il nome Fallaci. L'iniqua Oriana
> Fallaci. Per crocifiggerla, linciarla, nel modo che si
> è detto. Sembrava che il destino del mondo dipendesse
> dal crimine che la Fallaci aveva commesso invitando i
> fiorentini ad abbassare le saracinesche. Ma il mio
> quasi-divertimento, ahimè, era sempre accompagnato dal
> disgusto e dall'indignazione. E il disgusto ha
> raggiunto il suo apice quando dalle ingiurie s'è
> passati alle menzogne. L'autore del magistrale
> sgambetto che chiamo geniale colpo-di-stato, m'ha
> accusato ad esempio d'aver scritto un articolo che
> «predica la violenza» e che sputa «odio, anzi
> disprezzo» per la mia città. (Mi rilegga, signor mio,
> e mi chieda scusa. Il mio articolo era anzi è un grido
> disperato contro la violenza e un urlo d'amore
> appassionato per la mia città. Verba volant sed
> scripta manent). Un ometto il cui nome non ricordo mai
> e di cui so soltanto che guida le Tute Bianche mi ha
> accusato «d'aver chiesto ai fiorentini di rizzare le
> barricate». (Mi rilegga, signor mio, e si vergogni.
> Quando mai e dove ho chiesto ai fiorentini di «rizzare
> le barricate»?!? Ai fiorentini ho chiesto di
> protestare «in maniera civile. Educata, civile». Verba
> volant sed scripta manent). Un'attricetta che fa le
> caricature dei personaggi ha irriso sulla mia malattia
> e s'è messa in testa l'elmetto per darmi di
> guerrafondaia. (Giovanotta, essendo una persona civile
> io le auguro che il cancro non le venga mai. Così non
> ha bisogno di quell'esperienza per capire che sul
> cancro non si può scherzare. Quanto alla guerra che
> lei ha visto soltanto al cinematografo, per odiarla
> non ho certo bisogno del suo presunto pacifismo.
> Infatti la conosco fin da ragazzina quando insieme ai
> miei genitori combattevo per dare a lei e ai suoi
> compari la libertà di cui vi approfittate). Il fatto è
> che loro fanno sempre così. È quasi un secolo che
> fanno così. Che seguono il modello o, se preferisce,
> il metodo bolscevico anzi stalinista. Perché sa su che
> cosa si basa il metodo bolscevico anzi stalinista? Nel
> perseguitare l'avversario attraverso la calunnia e
> l'oltraggio e la menzogna. Nel diffamarlo, offenderlo,
> ridicolizzarlo, demonizzarlo. Nell'attribuirgli cose
> che non ha fatto, cose che non ha detto. Cose che non
> ha scritto. Infine, nel mandarlo in un gulag o
> buttarlo dinanzi a un plotone d'esecuzione...
>
> Franca Rame non è stata da meno. Le ha dato di
> terrorista.
> Già. Dinanzi alla Basilica di Santa Croce, dal
> palcoscenico del comizio che ha aperto l'oceanico
> raduno. Sicché, quando la sua discepola cioè quella
> delle caricature è andata alla Fortezza da Basso con
> l'elmetto in testa, molti bravi-ragazzi l'hanno
> scambiata per me. Si son messi a ulularle «Lercia
> terrorista, lercia terrorista». Del resto il marito
> della summenzionata ha detto che a Firenze io volevo i
> carri armati.
>
> Mi chiedo che cosa provasse a guardarli.
> A parte il disprezzo, intende dire? Una specie di
> pena. Perché v'era un che di penoso in quei due vecchi
> che per piacere ai giovani radunati in piazza si
> sgolavano e si sbracciavano sul palcoscenico montato
> dinanzi a Santa Croce, quindi dinanzi al porticato che
> un tempo immetteva al Sacrario dei Caduti Fascisti. In
> loro non vedevo dignità, ecco. A un certo punto
> l'amico che con me li guardava alla tv ha sussurrato:
> «Ma lo sai che lui militava nella Repubblica di
> Salò?». Non lo sapevo, no. Come essere umano non mi ha
> mai interessato. Come giullare, non m'è mai piaciuto.
> Come autore l'ho sempre bocciato, e la sua biografia
> non mi ha mai incuriosito. Così sono rimasta sorpresa,
> io che parlo sempre di fascisti rossi e di fascisti
> neri. Io che non mi sorprendo mai di nulla e non batto
> ciglio se vengo a sapere che prima d'essere un
> fascista rosso uno è stato un fascista nero, prima
> d'essere un fascista nero uno è stato un fascista
> rosso. E mentre lo fissavo sorpresa ho rivisto mio
> padre che nel 1944 venne torturato proprio da quelli
> della Repubblica di Salò. M'è calata una nebbia sugli
> occhi e mi sono chiesta come avrebbe reagito mio padre
> a vedere sua figlia oltraggiata e calunniata in
> pubblico da uno che era appartenuto alla Repubblica di
> Salò. Da un camerata di quelli che lo avevano
> fracassato di botte, bruciacchiato con le scariche
> elettriche e le sigarette, reso quasi completamente
> sdentato. Irriconoscibile. Talmente irriconoscibile
> che, quando ci fu permesso di vederlo e andammo a
> visitarlo nel carcere di via Ghibellina, credetti che
> si trattasse d'uno sconosciuto. Confusa rimasi lì a
> pensare - chi è quest'uomo, chi è quest'uomo - e lui
> mormorò tutto avvilito: «Oriana, non mi saluti
> nemmeno?». L'ho rivisto in quelle condizioni, sì e mi
> son detta: «Povero babbo. Meno male che non li
> ascolti, non soffri. Meno male che sei morto».
>
> Possiamo...andare avanti?
> No. Basta. Non voglio dire altro.
>
> ....e adesso a voi, schifosissimi merdosi, il
> cicaleccio di rito!
> JS
>
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