[Cerchio] Fw: [RK] alcune note sparse

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Author: Khorakhané-Trezzi
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Subject: [Cerchio] Fw: [RK] alcune note sparse
una lettera interessante, sebbene un po lunga.
saluti
paoloKh
----- Original Message -----
From: "Enrico Tomaselli" <metainfo@???>
To: <rekombinant@???>
Sent: Thursday, October 03, 2002 7:17 PM
Subject: [RK] alcune note sparse


> http://www.rekombinant.org
>
> Torno ad intervenire in lista dopo molto tempo, e quindi chiedo scusa in
> anticipo per l'essere decisamente non-breve.
> Per convincere almeno qualcuno ad arrivare fino in fondo, provo a

riassumere
> i temi che seguono.
> EUROPA vs USA
> IL FEEDBACK DELLA GUERRA
> IL TARGET SONO I CIVILI
> LA GUERRA VINCE LA PACE
> UN THINK-TANK?
>
> Vorrei fare alcune considerazioni 'sparse' - quindi, forse, anche
> disordinate - a partire, anche ma non solo, da un intervento postato tempo
> addietro da Matteo (ma prodotto da qualcun'altro, di cui adesso mi sfugge

il
> nome); si trattava di una ricerca|ipotesi intorno ai fatti di piazza
> Alimonda.
> Dico subito che mi è sembrata interessante più per il metodo che per il
> merito; non mi pare emergesse alcuna reale e convincente ipotesi 'altra',
> tuttalpiù si delineava uno scenario aggiuntivo, si svelava un 'milieu'

poco
> noto, ma probabilmente non 'nascosto', e che comunque non fornisce nuovi
> elementi di fatto, rispetto agli accadimenti di Genova.
> Comunque, dicevo, mi è sembrato degno di interesse il metodo - cioè il

fare
> ricerca, 'inchiesta' si sarebbe detto una volta, per cercare il senso

delle
> cose. Ma su questo vorrei tornare dopo.
> In questi giorni, stiamo vivendo , ancora una volta, in un clima di
> 'pre-guerra' - cioè quella fase di 'accumulo delle forze' (in senso
> politico, più che militare) che precede il dispiegarsi vero e proprio
> dell'atto bellico. Non starò in questa sede a ripetere ciò che, appunto,

in
> questo contesto è scontato. Faccio, come dicevo all'inizio, solo qualche
> considerazione 'sparsa'.
>
> 1) Dietro il volto 'stupido' e becero dell'amministrazione Bush,
> l'unilateralismo arrogante degli USA appare insopportabile agli occhi
> occidentali - nel resto del mondo, probabilmente, appare tale da

moltissimo
> tempo. Non credo sia stato percepito diversamente il lancio di missili
> Cruise sull'Afghanistan o la distruzione della fabbrica di medicinali in
> Sudan, da parte dell'amministrazione Clinton, per dirne una. Questa
> percezione occidentale, comunque, poichè è il contesto in cui operiamo,

deve
> essere analizzata.
> L'opposizione alla guerra preventiva di Bush è molto forte, nelle opinioni
> pubbliche europee, in particolare in Italia, Germania e Francia. Ed è
> interessante notare, per inciso, che l'Italia è l'unico paese in cui
> opinione pubblica e governo sono in rotta di collisione su questo tema (e
> non a caso, il governo italiano, sondaggista sfegatato, ignora

platealmente
> il dato). Tralasciando le miserie uliviste di casa nostra - che sono

davvero
> misera cosa - mi sembra si possa dire che, in buona parte della sinistra,
> emerga una sorta di frustrazione per l'incapacità europea di opporsi agli
> USA, e con rammarico ed irritazione si rimproveri alle leadership europee

di
> essere dei 'nani politici'. Parte di questo ragionamento, si fonda anche
> sulla convinzione che l'Europa esprima una cultura politica più

articolata,
> maggiormente capace di 'relativizzarsi' e di mediare, meno 'semplicistica'
> di quella statunitense. Ora, a mio avviso, questo è solo in piccola parte
> vero. O meglio, è vero più in termini di metodo che di merito.
> L'Europa odierna è largamente governata da maggioranze di centro destra,

con
> significative presenze di destre estreme, ed è del tutto coerente con se
> stessa quando si schiera con l'america di Bush. Ma l'Europa di
> centrosinistra (do you remember l'Ulivo mondiale?...) non ha forse fatto
> altrettanto con l'america di Clinton? Di più. Non è stata forse l'Europa

ad
> aver soffiato su ogni separatismo nella Yugoslavia del dopo Tito, fino a
> farla esplodere (ed a che prezzo di sangue...)? Non è stata forse la
> Germania ad aver formentato ed armato la secessione albanese del Kosovo,

il
> cui esito è stata l'aggressione della Nato alla federazione yugoslava? Le
> resistenze e le opposizioni che l'Europa oggi offre alla politica
> statunitense nascono soltanto dal calcolo - interessi non convergenti -

non
> certo da questioni di principio, tipo il rifiuto della guerra o

quant'altro.
> E queste resistenze sono sempre relative, fluttuanti, mai veramente decise

e
> frontali, proprio in virtù di questa consapevolezza: in circostanze

diverse,
> l'Europa (per non parlare della Russia, della Cina o dell'India) hanno

fatto
> o farebbero come gli Stati Uniti. Non c'è, quindi, né da aspettarsi

granchè
> dai governi europei, né, per converso, da rimanerne granchè delusi.
>
> 2) Per circa 50 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, l'Europa è
> riuscita a tenersi fuori dalla guerra. Intendo dire che ha tenuto la

guerra
> fuori da se (dal suo territorio), chè poi eserciti europei di guerre e
> guerricciole, specie in Africa, non hanno mai smesso di farne. La guerra
> serbo-croata ha riportato la guerra sul terreno d'Europa. L'11 settembre
> l'ha riportata sul suolo americano, che ne era rimasto immune molto più a
> lungo. In questo senso, il processo di globalizzazione ci rimanda indietro
> anche il veleno che abbiamo seminato in giro per il mondo, senza soste
> significative. La guerra, oggi, non conosce più 'santuari' inavvicinabili,
> ogni barriera e tabù è caduto.
>
> 3) L'iinizio della guerra 'moderna' viene convenzionalmente fatto

coincidere
> con la guerra civile americana. É interessante notare, al riguardo, alcune
> cose.
> La questione scatenante della guerra fu, allora, l'opposizione degli stati
> del sud all'abolizione dello schiavismo; ma, come conferma il perdurante
> razzismo dell'intera società americana, era invece una questione
> eminentemente economica, di conflitto tra modelli socio-produttivi
> (industria da un lato, latifondo dall'altro), che nulla avevano a che fare
> con questioni, diciamo così, 'ideologiche', di principi. Pure, fu una

guerra
> di una ferocia mai vista; ed è precisamente in questo che risieda la sua
> rottura con gli schemi precedenti, la sua 'modernità'. In questo senso, fu
> davvero una guerra 'civile'.
> Storicamente, le popolazioni civili - termine valido solo a partire dalla
> costituzione di eserciti stabili - hanno sempre subito l'impatto dei
> conflitti, a partire dal fatto che gli eserciti, nel corso delle campagne,
> si alimentavano a spese delle popolazioni. Nella guerra di secessione
> americana, la popolazione civile diviene un obiettivo militare, e viene
> colpita per spezzare la resistenza del nemico.
> Da allora, questo paradigma non ha mai smesso di radicarsi ed

amplificarsi.
> I bombardamenti di Guernica e di Dresda, le atomiche su Hiroshima e
> Nagasaki, tanto per citare i casi più famosi, sono lì a testimoniarlo.
> Ciononostante, persino durante le selvagge guerre 'etniche'
> nell'ex-Yugoslavia, la distinzione 'formale' tra civili e militari è

rimasta
> in piedi. É che, in qualche modo, a fronteggiarsi erano sempre eserciti -

o
> milizie - 'regolari' (insomma, reciprocamente riconoscibili e riconosciuti
> come tali). C'è, naturalmente, l'eccezione del Vietnam, dove accanto
> all'esercito del nord operava il vietcong - ed infatti la politica del
> 'search and destroy' non faceva alcuna distinzione tra civili e non. Ma
> quell'esperienza ha tardato ad essere 'socializzata' per una ragione molto
> semplice: l'america quella guerra l'ha perduta, ed ha passato i vent'anni
> successivi a chiedersi come cazzo fosse successo.
> Comunque, a partire dagli anni '90, il confronto nord/sud diventa sempre

più
> segnato dall'intervento militare, e questo intervento (anche grazie alla
> 'copertura ideologica' fornita dalla sinistra) si è sempre più
> caratterizzato per due fattori: l'essere multinazionale (più eserciti che
> fanno la medesima esperienza), e l'essere concepito come operazioni 'di
> polizia'.
> Questo è un breakpoint fondamentale. Da un lato, abbiamo eserciti che non
> avevano esperienza di conflitti da almeno una generazione, che invece
> tornano ad operare in contesti bellici. Dall'altro, anche per la natura
> sempre più povera dei paesi investiti dagli interventi 'umanitari', la
> distinzione tra combattenti e non diviene sempre più evanescente, sino a
> scomparire di fatto. La guerra del golfo, è ancora uno scontro classico

tra
> eserciti - ed anche per questo, l'Iraq la perde così clamorosamente; ma,
> tanto per tornare all'inchiesta di cui dicevo all'inizio, tutt'altra
> faccenda è la Somalia. O l'Afghanistan. Dunque abbiamo uno strumento di
> grande potenza distruttiva - e che per tale scopo è costituito e mantenuto
> in essere, addestrato ed armato - l'esercito, che viene utilizzato in
> condizioni di potere pressochè illimitato (altro che Corte

Internazionale!),
> per esercitare un controllo 'poliziesco' su popolazioni civili.
> Il feedback è Genova. Ma non è tutto qui. Il punto più serio, a mio
> giudizio, è che allo stato attuale delle cose, con la 'missione' della
> guerra al terrorismo (condivisa da tutti gli stati, non dimentichiamolo),

la
> guerra ha le popolazioni civili come proprio target principale. Questo è
> ormai il trend generalizzato. Il nemico è ovunque, il nemico è chiunque.
> In questo senso, l'inchiesta su piazza Alimonda, ritengo, ci dice un'altra
> cosa. In misura diversa, le oligarchie mondiali tendono ad

'asserragliarsi'
> sempre più, a percepire come un pericolo per sè qualsiasi forma di
> contestazione alla propria legittimità. Da questa 'minaccia' si

difenderanno
> utilizzando sempre più uno strumento - e la sua logica - che considera il
> checkpoint Pasta un'operazione di polizia.
> Tanto per intenderci: qualcuno si pone il problema di come questo governo

e
> questa maggioranza reagirebbero alla prospettiva di perdere il potere?
>
> 4) La guerra vince sempre la pace. Indiscutibilmente, quando un conflitto
> esplode, assume una sua dinamica prevalente sulle cose, e gli spazi per la
> pace (per i pacifici, per la mediazione) si riducono sino a scomparire.
> Dunque, l'unica chance per la pace e bloccare la guerra prima che scoppi.
> Sempre. Pure, l'esperienza delle lotte per la pace, a partire dalla
> questione degli euromissili, ci dice che anche grandi, profonde e durature
> mobilitazioni, non sono mai riuscite ad impedire la guerra.
> Semplicemente, i governi se ne fregano di quel che pensano le opinioni
> pubbliche al riguardo. "Not in my name" è uno slogan affascinante, ma
> sconfitto - vuol dire che tutto ciò che posso fare, è proclamare il mio
> disaccordo, negare il mio consenso.
> Una dichiarazione, ne siamo consapevoli, spero, più di principio che
> d'effetto pratico. Ma se non riusciamo a trovare strategie capaci di far

si
> che questo consenso negato significhi rendere la guerra impossibile,
> continueremo ad essere sconfitti dalla guerra. Ed a fare la figura di chi
> combatte contro i mulini a vento, agli occhi di chi, e sono tanti, sarebbe
> d'accordo in linea di principio, ma non ha abbastanza coraggio per
> schierarsi a favore di una causa persa.
>
> In conclusione di queste note 'sparse', mi vorrei riagganciare al

'pretesto'
> iniziale.
> Una cosa che, ritengo, manca molto a sinistra, ed in particolare al
> movimento, è la mancanza di luoghi collettivi di indagine. Ci sono, ed è

una
> fortuna, molti lucidi pensatori, ma sono, appunto, singolarità. Di
> conseguenza, anche il modo in cui queste intelligenze forniscono il

proprio
> apporto è segnato dall'essere 'individuale'.
> Pure, ci sono orizzonti (penso, ad esempio, agli intrecci tra geopolitica

e
> macroeconomia, alle questioni della guerra - e delle guerre, ma anche agli
> orizzonti 'interni' dell'Europa) che meriterebbero di essere studiati ed
> analizzati in contesti di ricerca e di confronto, in 'laboratori' di
> pensiero - il modello, insomma, del 'think-tank'.
> Perchè non pensare, se a qualcuno l'ipotesi sembra interessare, ad

abbozzare
> un tentativo in questa direzione, a partire (ma solo a partire) da
> Rekombinant - o dal suo ambito - magari anche sfruttando le potenzialità
> della rete (come strumento di ricerca, ma soprattutto come strumento di
> network)?
>
>    Enrico Tomaselli
>  >> web designer <<
> metainfo@???
> http://www.metatad.it
> +39/0818688279

>
> _______________________________________________
> Rekombinant mailing list
> http://www.rekombinant.org
>