I: [Forumlucca] (no subject)

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Author: Marcucci Gian Paolo
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Subject: I: [Forumlucca] (no subject)
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From: Luca <luca_ruocco@???>
To: <forumlucca@???>
Sent: Thursday, October 03, 2002 7:49 PM
Subject: [Forumlucca] (no subject)


> Baghdad 8 novembre 2002
> interverranno i cantanti e i musicisti
> Max Gazzé, Claudio Lolli, Nada,
> Antonio Onorato, Pippo Pollina
>
> A tale proposito si lancia un appello per la raccolta
> fondi necessari a sostenere le diverse iniziative
> umanitarie da attivare in occasione
> del concerto a Baghdad.
>
> L'iniziativa è curata da
> AIUTIAMOLI A VIVERE di Pescara
> STORIE DI NOTE di Roma
> LABORATORIO PROGETTO POIESIS di Alberobello-Bari
>
> Chiunque vorrà, potrà inviare un proprio contributo
> sul C/C 7749 ABI 1030 CAB 41320
> intestato al Laboratorio Progetto Poiesis, causale
> "Un Euro per la Pace: il Cielo Sopra Baghdad"
> Banca Monte dei Paschi di Siena filiale di
> Alberobello.
>
>
> I soggetti interessati potranno aderire all'iniziativa
> inviando una e-mail indirizzata a
> lab.poiesis@??? e/o yuro.doc@???
> accompagnata da un proprio curriculum.
>
> Le tre associazioni riporteranno un bilancio pubblico
> completo di entrate ed uscite per documentare in modo
> dettagliato l'uso della raccolta fondi denominata: "Un
> Euro per la Pace: il Cielo Sopra Baghdad".
>
>
>
> --- DESCRIZIONE DELL'INIZIATIVA ---
>
>
> AIUTIAMOLI A VIVERE di Pescara
> STORIE DI NOTE di Roma
> LABORATORIO PROGETTO POIESIS di Alberobello-Bari
> presentano
> IL CIELO SOPRA BAGHDAD
> CONCERTO PER LA PACE
>
> poeti, musicisti,cantanti
> iracheni e italiani, contro la guerra
>
>
> La manifestazione intende organizzare l'8 novembre
> 2002 a Baghdad un concerto musicale e una lettura di
> poesie con la presenza dei cantanti e musicisti
> italiani: Max Gazzé, Claudio Lolli, Nada, Antonio
> Onorato, Pippo Pollina, i poeti Giuseppe Goffredo e
> Tusio De Iulis, il fotografo Michele Stallo, insieme a
> poeti cantanti e musicisti iracheni.
>
> Patrocinio Comune di Alberobello.
>
> Con tale progetto le tre Associazioni, impegnate, da
> anni, in favore dell'intervento umanitario e del
> dialogo culturale con l'Iraq e i paesi mediterranei,
> vogliono dare voce al dissenso di tutti coloro,
> singoli cittadini o associazioni, che intendono
> opporsi alla guerra.
>
>
> Premessa
>
> Chi non lo ricorda ancora quel cielo di piombo
> notturno, oscuro, velenoso sopra Baghdad nei giorni
> della guerra del Golfo del gennaio 1991. Chi non
> ricorda l'angoscia di questi anni durante i giorni di
> guerra prima in Libano, poi in Iraq, nel Kosovo,
> nell'Afghanistan, in Palestina. Quanti in tutti questi
> anni non hanno smesso di pregare, scongiurare, agire
> affinché tutto questo non tornasse, che finalmente la
> guerra fosse bandita dalla faccia della terra, che, -
> basta! - non ci fossero altre vittime, nuove vittime
> innocenti, che donne, bambini, vecchi, giovani, non si
> aggirassero smarriti nei luoghi distrutti da una
> guerra.
> Ma così non è stato. Così non è. Ed ecco che ancora
> una volta, inopinatamente, irresponsabilmente, ci
> troviamo di fronte alla decisione degli Stati Uniti e
> della Gran Bretagna di muovere guerra all'Iraq. Ecco,
> che, ancora parole malate si aggirano per il mondo,
> che si parla di armi, omicidi, destini segnati, morti,
> bombardamenti, piani di guerra. Ecco che la memoria
> dei morti, quelli di New York, produrrà altri morti.
> Molti morti. Morti che chiameranno altri morti. Lutti
> che produrranno altri lutti. Sangue che farà scorrere
> altro sangue. Come in una gigantesca guerra civile
> umana, di cui sì è coniato l'eufemismo di "scontro di
> civiltà" e si dovrebbe parlare invece di crisi di
> civiltà. Crisi dell'Occidente davanti a se stesso;
> crisi morale di una parte del mondo che fa finta di
> non vedere l'olocausto che si consuma nei paesi del
> Terzo mondo; crisi ecologica ambientale di una natura
> sempre più stanca in un mondo che adesso vuole imporre
> la scelta fra mercato e democrazia, fra libertà civili
> e sicurezza, fra sopravvivenza e guerra.
>
> Perché
>
> Accettare che il concetto di civiltà si fondi sulle
> armi è un tragico errore per tutta l'umanità. Un anno
> fa l'auspicio era che l'11 settembre 2001 fosse per
> l'Occidente non un momento di vendetta, ma un momento
> di riflessione per capire quello che stava succedendo
> e interrogarsi sulle sorti del mondo, in quanto a
> finire nell'imbuto di una crisi di dimensione
> planetaria è l'intera specie umana. Non cogliere prima
> di tutto questo segnale è il grande pericolo che può
> spalancare davanti a noi l'abisso.
> Quello che è seguito all'attacco di New York sono
> soprattutto due cose: primo, la guerra in Afghanistan
> con l'uccisione di altre quattromila persone, in gran
> parte popolazione civile inerme; secondo, un'ulteriore
> riproposizione di teorie e visioni etnocentriche,
> pregiudizi e luoghi comuni che hanno allontanato le
> civiltà del Sud e del Nord, ingrossando il solco di
> diffidenza reciproca.
> Il terrorismo ha permesso al presidente George W Bush
> l'opportunità di chiedere una guerra fuori dai propri
> confini, con l'adesione massiccia dell'opinione
> pubblica. Una guerra duratura e totale con un grande
> impiego di uomini e di mezzi, in cui gli Stati Uniti
> hanno potuto costruire una coalizione di tutte le
> potenze occidentali, con l'aggiunta della Russia e
> l'appoggio della Cina. Così al bipolarismo del
> perdurante confronto fra Est ed Ovest della Guerra
> Fredda si è sostituito la contrapposizione fra il Nord
> e il Sud. Ovvero i ricchi e i potenti contro i poveri
> e i disperati.
>
> In Iraq, dal 1991 ad oggi, sono morti più di
> cinquecentomila bambini (cifre documentati dall'ONU),
> per infezioni e malattie varie, dovute
> all'impossibilità, per esempio, di riparare le
> condotte idriche e al divieto di importare cloro per
> disinfettare l'acqua. A questo crimine contro
> l'umanità occorre aggiungere un altro milione di morti
> causati dai bombardamenti ininterrotti effetto
> dell'applicazione della "No fly zone", nonché dei
> residui radiativi lasciati sul terreno dell'uranio
> impoverito. Ma al presidente Bush e al suo amico Blair
> evidentemente non basta l'orrore di tanta sofferenza e
> stanno per scatenare una guerra ancora più crudele e
> distruttrice allo scopo di impadronirsi delle risorse
> petrolifere dell'Iraq.
>
> La guerra che si prospetta servirà ad imporre al mondo
> ancora di più la logica del vinto e del vincitore, di
> chi comanda e di chi deve ubbidire, di chi deve vivere
> e di chi deve morire. Inaugurare un'epoca
> "post-ethical", dove tutte le norme internazionali sui
> diritti dell'uomo, sul trattamento dei prigionieri,
> sulle regole che anche in tempo di guerra la comunità
> internazionale si è data, sono annullate. Dove l'ONU
> affamato dalla mancanza di finanziamento dagli Stati
> Uniti, è prigioniero della volontà americana. Dove gli
> interessi dei potenti è l'unico metro di misura
> valido, assoggetta ogni giudizio e giustifica ogni
> comportamento.
>
> E' questo il nuovo ordine mondiale? Non è in questo
> castello di menzogne che si generano i mostri del
> terrorismo? Che cos'è davvero terrorismo? Chi sono
> davvero i terroristi? Perché si preferisce spostare
> tutto il male all'esterno lasciando che il cancro
> dentro l'Occidente (legame tra finanza, banche,
> industria degli armamenti, servizi segreti, mafia,
> poteri legali, mercato) continui ad estendersi e a
> radicarsi? Dovremmo abbandonare ogni speranza di
> vedere l'Occidente riflettere sulla propria civiltà,
> modelli culturali, etica, capacità di ragionare sulle
> cose? Dovremmo arrenderci all'idea che, ancora una
> volta, una mentalità rozza, sollecitata da interessi
> giganteschi, inneschi il grande ordigno della guerra
> anziché confessare i propri fallimenti? Manipolando la
> mente di un numero enormi di persone pur di non
> rivelare i propri interessi legati al controllo delle
> risorse energetiche?
>
> C'è di fronte alla guerra un apparato di informazione
> e di persuasione compatto, massiccio, univoco. Tutte
> le vie di uscita e di riflessione sono precluse. Il
> conto che si fa è quello di instillare nella testa di
> tutti l'ineluttabilità dell'evento: - Tutto è
> inevitabile. Occorre convincersi. Non si può fare
> altrimenti - . Il "patriottismo" che ci viene
> richiesto è quello di riconoscerci una grande potenza
> e di partecipare insieme al club dei grandi e dei
> ricchi ai bombardamenti su Baghdad. Accettare di far
> parte del ristretto club di chi intende imporre la
> propria volontà di potenza agli altri, asservirli con
> la forza, metterli a tacere e fargli ingoiare il
> nostro punto di vista.
> Come se essere italiani nel nuovo vocabolario
> significa accettare che la flotta italiana spari
> contro i "nemici" iracheni, afghani, arabi, musulmani,
> che i nostri aerei vadano a bombardare i loro
> territori, che i nostri soldati occupino suoli non
> propri. Che in cambio di questa volontà di potenza gli
> italiani rinuncino alla propria soggettività critica e
> morale. Che finalmente come tutti dicono gli italiani
> diventino adulti, realisti. Ovvero che l'identità
> degli italiani non sia più quella legata alla loro
> intelligenza, creatività, umanità; qualità per le
> quali si sono sempre distinti nel mondo, ma che
> diventino spietati sterminetor in terra straniera.
>
> La guerra è un potente strumento che può cambiare
> dall'interno la soggettività di un paese e i suoi
> sentimenti. Il ferro scintillante della guerra appare,
> davanti agli individui, per separare la loro umanità
> da quella degli Altri, allontanare la loro sofferenza
> dall'altrui. Si pone la distanza. Si definisce il
> distacco. Si segna la lesione di civiltà. Si disegna
> la geografia della frattura. Da una parte un Noi
> dall'altro un Loro. Noi la civiltà, la democrazia, la
> giustizia, Loro i barbari, i terroristi, la minaccia.
> Questa distinzione poi penetra nella mente sociale, si
> narcisizza trasformandosi in razzismo, violenza,
> leghismo. Gli altri sono cancellati nei corpi e nelle
> coscienze per ridurli a solo bersaglio. L'altro è un
> volto deserto e un luogo senza storia. Noi siamo il
> modello unico che merita di sopravvivere. L'Altro è
> l'antagonista che non ha gli stessi diritti di vivere,
> di fare figli, di sfamarsi, di muoversi nel mondo
> liberamente. L'altro è un pericolo per la mia
> sopravvivenza, il mio benessere, la mia sicurezza.
>
> La guerra crea l'ideologia della guerra. Ma
> soprattutto disegna il volto del nemico. Negli Stati
> Uniti dopo l'11 settembre l'immagine di Bin Laden è
> stata diffusa e indicata come quella del grande
> nemico. Le sue foto sono apparse persino nei war games
> o sono state stampate sulle sagome dei bersagli nei
> poligoni di tiro: barba ieratica, viso allungato,
> occhi tristi e inquieti, mitra in mano, jallabìa. Così
> la figura dell'arabo semita, fondamentalista, ricco,
> spietato, incarna in Occidente l'immagine di un nuovo
> antisemitismo che diviene un "pensare antisemita". Qui
> il tradizionale antisemitismo neonazista non solo non
> muore ma prolunga su un piano geo-etnico il proprio
> pregiudizio, facendone una visione generale degli
> altri. In qualche maniera il sentimento di odio si
> estende dagli ebrei agli arabi, popolo non solo semita
> ma soprattutto musulmano. In questo modo è
> sottolineata, con una veemenza ancora più radicale, la
> contrapposizione fra il Nord cristiano occidentale
> anglosassone con il Sud mediterraneo africano
> orientale musulmano semita. Sicché l'archetipo
> antisemita arianista si intreccia con un
> neo-orientalismo aggressivo che ha la funzione,
> appunto, di disegnare il volto del nuovo nemico,
> stigmatizzato all'interno del dualismo etnico Nord
> Sud.
> Sicché con la guerra contro l'Iraq, il "pensare
> antisemita" riceverà in Occidente, una spinta
> gigantesca, che già nella cronaca quotidiana, comincia
> a dare i suoi frutti: ad esempio le scritte antisemite
> sui muri d'Europa, la legge sull'emigrazione
> Bossi-Fini, i raid razzisti contro gli emigrati. Ma
> siamo solo agli inizi.
>
> La guerra significa innanzitutto il fallimento di una
> classe politica, che per nascondere i suoi errori, le
> proprie bugie, i propri istinti di follia, punta
> all'avventura della morte. E' questa la menzogna di
> cui si prova disgusto davanti alla guerra. Migliaia di
> persone innocenti condannate a morire perché un ceto
> di potere non ha fatto quello che doveva fare e
> falsifica le carte sotto gli occhi di tutti. Sapendo
> che altri e non chi comanda, pagheranno, soffriranno,
> vedranno la morte e la morte nel dolore. Altri, molti
> altri dovranno assumere su di sé l'angoscia di avere
> ucciso e di avere inflitto atrocità. Avere mutilato
> orrendamente, nell'atto della guerra, il senso della
> propria umanità.
>
> La pace non è un atteggiamento da vigliacchi ma un
> progetto di vita, di società, di economia. Un modo di
> stare al mondo, di intendere i rapporti fra gli
> uomini, le relazioni fra i popoli. L'essenza di una
> nuova politica che può sconfiggere la violenza e la
> guerra. Dare al mondo una prospettiva nuova. La pace è
> lo sforzo continuo di rendere possibile il mondo.
> Riaprire davanti ai noi il futuro. La pace è lo sforzo
> continuo di cercare l'altro. Lavorare
> ininterrottamente affinché la volontà di pace si
> trasformi in uno stato di pace. Capire che la specie
> umana ha un unico destino.
> Per questo diciamo no alla guerra! No! Oggi. No! per
> domani. No per chi verrà! Solidali con il popolo
> iracheno. Con la musica. Con la poesia. Chiamando
> tutti a raccolta per riaprire IL CIELO SOPRA A
> BAGHADAD.
>
> 24 settembre 2002 Alberobello-Pescara-Roma
>
> Giuseppe Goffredo
> Michele Stallo
> Tusio De Iuliis
> Rambaldo Degli Azzoni
>
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