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VERSO L'AUTUNNO A PUGNI CHIUSI
In Italia (come in gran parte dei Paesi soggiogati dalla capitalismocrazia
ovvero da quello che tranquillamente possiamo chiamare autoritarismo
liberista) la gestione della crisi strutturale del sistema sta assumendo, in
economia e non solo, aspetti grotteschi quanto pericolosi. Per comprenderlo
e per analizzare, al tempo stesso, i limiti dell'opposizione ai giullari
della neoglobalizzazione dobbiamo chiamare in soccorso una visione della
politica non ridotta all'economicismo né astratta e che abbia come filo
conduttore ancora una volta la lotta delle classi (riconoscendone la loro
non purezza) in condizioni storicamente mutate e continuamente in sviluppo
(positivamente o negativamente dipende da una serie di fattori in piena
crisi della stessa rappresentanza della "sinistra": partiti e sindacati in
particolare, essere dei movimenti in generale) e in piena assenza di un
progetto e di un programma di "riforma economica" e di rivolgimento dei
rapporti di produzione che sia un tutt'uno con una necessaria e critica e
consapevole riforma intellettuale e morale: ecco perché resistere ed
avanzare non possono vivere separati. Non si vuole ammettere, cioè, che
siamo in piena "eversione antidemocratica" e che il distacco tra popolo ed
istituzioni è sempre più grande quanto screditati sono partiti e "poli" e
sempre più dirompente il ruolo del capitalismo illegale (mafia, logge
massoniche ecc.) o delle corrotte strutture internazionali (Fondo Monetario
Internazionale ecc.) su nazioni e continenti. Allo smantellamento dello
stato sociale s'accompagna quello di istituzioni democratiche e libertà
soffocando ogni opposizione concreta (incredibile quanto sta accadendo in
Spagna ai danni di Batasuna o che si tenta di fare in Slovenia) o assorbendo
quella minimal-riformista (o esagerando autodefinitasi socialdemocratica),
distruggendo il pluralismo sociale e politico (ricerca di un bipolarismo
accentratore o dell'alternanza), emarginando ogni minoranza e ogni diversità
(neorazzismo e xenofobia dilagano), soffocando ogni movimento fuori dal coro
(foss'anche uno Stato: vedi Venezuela, Cuba ecc.). I grandi gruppi economici
e finanziari vogliono in sostanza società piegate alle loro scelte miopi ed
esclusive anche se le stesse comportano devastazioni ambientali, massacro
dei diritti, esplosione di grandi drammi, miseria, fame, carestie e guerre,
licenziamenti liberi, taglio di pensioni, sanità, salari, mortificazione
dell'istruzione, monopolio dell'informazione e opposizioni appunto piegate
ai voleri di sua maestà l'imperatore. Se il 1945 rappresentò, ad esempio in
Italia, una tappa della rivoluzione democratica ed antifascista e il 1948 la
realizzazione di una tra le Costituzioni più avanzate nel mondo il nuovo
millennio va a caratterizzarsi come quello di una controrivoluzione (per
quanto moderata) il cui sbocco è l'imporsi di un regime liberal-autoritario.
Gran parte degli Stati e del pianeta non sono, dunque, "malgovernati" da
ipocriti ma inoltre da organizzati e impietosi truffatori che sanno
utilizzare ad arte anche una buona dose di paternalismo e populismo essendo
campioni nella menzogna, ottimi lottizzatori, censori senza scrupoli,
spietati profittatori e burocrati corrotti che se potessero privatizzare la
stessa aria che respiriamo non esiterebbero un istante. Leggi elettorali
maggioritarie e proposte presidenzialistiche, ruolo incontrollato dei grandi
gruppi finanziari, Stati asserviti a poteri transnazionali e
neoimperialistici, conflitti infiniti, nuovi armamenti e informazione
deviata, esplosione di fondamentalismi (religiosi, di mercato ecc.),
emarginazione sociale ecc. sono sintomi di una strategia "padronale"
eversiva ed evidente. L'inferiorità delle sinistre (non solo in Italia e in
Europa) non sta nei numeri, nei risultati elettorali ma in realtà nella
mancanza di programmi e progetti che pongano con chiarezza le questioni
della trasformazione, di mutamenti radicali, di società alternative con una
progressiva fuoriuscita dal sistema capitalistico verso una nuova e moderna
"COMUNE" affinché i popoli non esercitino poteri formali o inesistenti ma
sostanziali. A destra e anche in tanta sinistra (non tutta fortunatamente) i
partiti hanno perso ( e alcuni non hanno mai avuto) il loro carattere di
organizzazione collettiva diventando sempre di più veri e propri comitati di
affari, comitati elettorali corrispondenti a lobbies e piccoli o grandi
gruppi economici (cartine al tornasole le guerre: Balcani e successive. E
ancora: privatizzazioni selvagge, riformismo blando e antipopolare,
burocrazie, leaderismi, sopraffazione di diritti e Lavoro, esclusione ed
emarginazione ecc.). Nessun cambiamento è possibile al di fuori di un nuovo
internazionalismo dalla parte dei popoli a partire da quelli del Sud del
mondo, superando vecchie e logore logiche etno-marxiste (liberando il
marxismo-leninismo e i più marxismi dalle maglie del settarismo e del
dogmatismo rendendo la filosofia della prassi una linea per l'azione),
valorizzando il proprio senso comune e una propria volontà collettiva,
direzionando le lotte nella struttura e nella sovrastruttura, perfezionando
la propria tattica e la propria strategia, aprendosi ad ogni, per quanto
contraddittorio, movimento antagonista e soprattutto mandando a casa un ceto
politico vecchio o falsamente giovane aggrappato al potere e ai privilegi
che ne conseguono, sollecitando la nascita di un nuovo collettivo politico
nonostante sistemi bloccati e un incredibile "oscurantismo" di tanta
sinistra "ufficiale". Il cervello criminale e nemico dello Stato, della
cooperazione tra i popoli e della stessa civiltà è, per sintetizzare, nello
Stato e nelle più significative strutture internazionali: prenderne atto è
un dovere! Una sinistra nuova deve fare i conti con questi problemi e deve
sapersi misurare proponendo soluzioni a importanti questioni (agricoltura,
industria, comunicazione, servizi, cultura e sport ecc. ecc.) che si
presentano in forma nuova, deve colmare ogni divario esistente tra Nord e
Sud, deve fare i conti con la distribuzione delle ricchezze e una nuova
qualità dello sviluppo, dell'ambiente, della vita, del rapporto tra i sessi,
deve fare i conti non solo con le enormi tragedie che viviamo ma anche con
essenziali riforme delle istituzioni (nazionali ed internazionali) che
garantiscano grandi cambiamenti sociali e la partecipazione ad ogni scelta
delle masse da sempre escluse dalle stesse e dalla loro gestione. Marx ed
Engels non fondarono il Partito Comunità ma scrissero il Manifesto dei
comunisti e noi, oggi, dobbiamo rinnovare quel Manifesto proponendo una
nuova unità a sinistra cementata su un progetto e l'unità dei mezzi con il
fine. Lenin ipotizzava la repubblica dei Soviet e non quella del partito e
noi, oggi, dobbiamo rilanciare l'idea dei consigli (luoghi di lavoro e di
studio, vere e proprie case dei popoli) e di una riforma delle istituzioni
che promuova il controllo dei cittadini e riscopra la funzione storica mai
sopita del mondo del Lavoro. Se credessimo maggiormente nelle nostre
possibilità senza "piangere" dinanzi al padrone, se non misurassimo il
nostro agire con il vincere o il perdere, con il contarci, con il capo di
turno, se non ci identificassimo con l'opposizione al "palazzo" sognando di
entrare nel "palazzo" semplificheremmo di gran lunga le nostre stesse
tormentate esistenze e il confronto e lo scontro delle idee. L'insegnamento
più significativo che ci viene dalla storia de "LA COMUNE" di Parigi di un
lontano 1871 (a molti ignota), fu che un movimento entrò nel vivo delle
contraddizioni di un'epoca e di un sistema e iniziò ad imparare a fare
politica incarnando la causa dell'integrale emancipazione dei lavoratori,
lanciando un messaggio universale e facendoci comprendere che lo Stato o un
"impero" non si abbattono dall'oggi al domani e meno che mai se un movimento
è pregno di opportunisti. "LA COMUNE" non è mai tramontata come non lo sono
le alternative che proponeva, l'organizzazione dal basso, una democrazia
inedita, piani immediati e di lungo respiro. Così come è folle dimenticare
la lezione che ci viene dalla Rivoluzione Russa o da quella cubana e cinese
(da analizzare e leggere con spirito fortemente critico nel loro
svilupparsi, esistere o morire) poiché l'esperienza de "LA COMUNE", dei
soviet o dei barbudos o del libro rosso rimangono esempi che rendono vivo
ogni sguardo proiettato verso il futuro e che vanno oltre il puro sentimento
o amore verso gli stessi eccezionali protagonisti del secolo appena andato
(Lenin, Gramsci, Luxemburg, Guevara e milioni di senza nome). E questo in un
tempo, a partire in maniera evidente dagli anni settanta, nel quale l'
assoluta libertà dei movimenti delle merci e di capitali unita alla
riduzione drastica delle politiche sociali, ad un crescente controllo dei
paesi indebitati e condannati al "terzomondismo", ad un ulteriore
mortificazione dei diritti e del Lavoro, rendono il pensiero e la pratica
liberista il tumore del pianeta, in giorni in cui, di fatto, non c'è
sviluppo ma arretratezza (nonostante le nuove tecnologie) e un'espansione
foriera di distruzioni irreversibili condita da un assistenzialismo
spregevole. O siamo capaci di riempire l'autunno caldo di valide proposte e
viverlo nel corso di un anno intero e aldilà dei governi di destra, senza
tentativi clownistici di cavalcare ogni protesta per scopi particolaristici,
oppure involontariamente siamo destinati ad essere spettatori della
decomposizione di questo mondo per quanto ci si agiti. Questa non è l'epoca
delle disuguaglianze ma dell'organizzazione delle stesse. Noi viviamo sotto
regimi oligarchici (dall'Italia all'Argentina facendo scalo in Francia o La
Paz o a Bogotà e raggiungendo la lontana Australia) dove ogni decisione (tra
un G8 o 9 o 10 e summit giganteschi), dagli apparati militari alla legalità,
dall'industria all'energia, dal clima alla sopravvivenza della specie., è in
mano alla "personalizzazione del potere" e lesiva di ogni sovranità
popolare. Obiettivo delle classi dominanti è anche quello di rendere il
liberalismo economico un modo di vivere in cui i bisogni siano pensati
soddisfatti essendo tutti consumatori individuali ed utenti che creano
profitto. La società neoliberale vuole essere nei programmi dei suoi gestori
un "assoluto intramontabile" disponibile ad un'alternanza e ai conflitti
purché non ne intacchino l'essere e la sua etica dell'avere. Non possiamo,
quindi, aderire alle grandi lotte che abbiamo dinanzi proposte dalla CGIL
(dopo la svendita di tutto il patrimonio di storia e di esperienza della
CISL e della UIL come sollecitato dagli stessi enunciati di Gelli o della
P2) o dai girontondini senza pretendere, partecipando come faremo, qualcosa
di più: a partire da un'iniziativa forte e consapevole per mandare a casa i
nuovi barbari. Bisogna difendere l'articolo 18 contro la libertà di
licenziare ma bisogna difendersi dai licenziamenti a macchia di leopardo,
dalle politiche finanziarie, dal caro-vita, dall'evasione fiscale e dai
paradisi salariali, dallo svilimento del potere d'acquisto, dalla giungla
retributiva, dalla disoccupazione, dalle privatizzazioni dei servizi, dall'
attacco a pensioni, sanità. istruzione ecc. C'è una gerarchia retributiva,
favorita anche da un ruolo sempre più corporativo dei sindacati,
irrispettosa di capacità ed intelligenze, nel nostro Paese, spaventosa.
Totale è, poi, la mancanza di una vertenza per il Lavoro e mai sepolta la
pratica clientelare che regola ulteriormente le disuguaglianze e
neo-parassitismo. Assente un briciolo di modello di sviluppo per grandi aree
e settori e una concreta politica fiscale (almeno rispettosa del mandato
costituzionale). Il denaro pubblico è estorto e poi orientato, in un
intreccio marcato con poteri occulti anche d'oltreoceano, per motivi
clientelari. Più che le tariffe pubbliche le alte retribuzioni (in mancanza
di un tetto) date in gran parte fuori da competenze e "meriti" intervengono
in parte sui meccanismi inflazionistici sia dal lato dei costi che dei
consumi e a vantaggio di beni di lusso prodotti oltre il nostro stesso
cortile di casa. Gli ultimi governi hanno, poi, accellerato, quella che
potremmo definire una vera e propria crisi fiscale e dei salari (diretti, in
diretti.) inventando vieppiù lavoro interinale e flessibile, sottopagato e
nuovo schiavismo. Le stesse classi medie, generalmente conservatrici e
culla dell'apatia politica, iniziano a sentire il peso di politiche
economiche, fiscali e finanziarie (anche dopo l'unica unione europea
realizzata: quella della moneta. Mentre altre nazioni vivono una violenta
dollarizzazione) scellerate. Nell'agricoltura e nei servizi, nel turismo e
nell'artigianato, nel piccolo commercio e in taluni lavori autonomi abbiamo,
invece, toccato il fondo. Non basta impegnarsi nella contrattazione
nazionale se questa non è finalizzata a ragionamenti sul Welfare, sull'
accumulazione e la distribuzione di ricchezze, sulla cooperazione
internazionale, importazione ed esportazione, sulla ricerca e il cosa
produrre attivandosi contro squilibri di classe e nei consumi sociali che
vanno raggiungendo livelli inquietanti. Un euro vale quasi mille lire in
realtà e la FIAT come la divisione sociale del mercato del lavoro e la
svalorizzazione del lavoro produttivo stanno lì a dimostrare che i privilegi
derivano da strutture politiche ed istituzionali che favoriscono unicamente
posizioni corporative, di parte, istituzionali e di potere. Ciò che è
fortemente in crisi è l'organizzazione del lavoro e il rapporto (con l'
aiuto, inoltre, della controriforma per la scuola) tra lavoro manuale e
intellettuale. Tuttavia nessuna lotta ha davvero senso se non è accompagnata
da una grande consultazione di massa che crei coscienza e consapevolezza.
Rimane, per noi, non rinviabile una lotta strenua per la riduzione dell'
orario di lavoro (36 ore) a parità di salario scomparsa dalla agenda
politica di qualsiasi forza politica di sinistra in Italia. Rimane
importante rivalutare in forme nuove la scala mobile (rapporto tra stipendi
e processi inflattivi aggiungendo rapporti tra valore del salario e spesa) e
la nascita di sedi istituzionali intese come sportelli per una mappatura
reale del non lavoro e sedi per l'ottenimento immediato di un reddito minimo
garantito nelle condizioni del disagio verso la piena occupazione equamente
e giustamente retribuita. Bisogna in sostanza far uscire il Paese da una
microeconomia alle dipendenze di una macroeconomia che ci vede servi
sciocchi e rilanciare lotte sindacali e politiche per l'alternativa a questo
stato di cose a maggior ragione dopo gli accordi tra CISL e UIL e governo
delle destre realizzati per normalizzare e ingabbiare tutta la politica
contrattuale e sindacale riducendola ad una pratica rivendicativa, limitata
e consociativa. Dobbiamo chiedere alle lotte d'autunno governi alternativi e
una sinistra per la democrazia popolare, la contrattazione come valore
riconosciuto al pari del diritto a vivere la piazza, la promozione della
condizione operaia e bracciantile, egualitarismo salariale, controllo
sociale dell'impresa e dell'economia per non continuare solo a difendere. Se
il sindacato è mosso dalle stesse preoccupazioni della Confindustria e dei
ceti dominanti dinanzi alla crisi non si va lontano e non si interviene su
crisi e recessione in maniera determinante. Se il sindacato (e la sinistra
che ne è addirittura scavalcata) ha le stesse preoccupazioni del padronato,
della stabilità del quadro economico, dell'equilibrio nei rapporti economici
internazionali, della regolazione dei rapporti tra le classi siamo in
presenza di un cedimento che anziché proporre sviluppo e occupazione,
diritti e nuovi lavori, ci ingabbia in una riduzione della capacità
produttiva e in un arretramento di tutto il vivere sociale. Salvaguardare a
tutti i costi il livello di produttività delle aziende intervenendo sul
costo del lavoro e convivendo con la sottoccupazione e disoccupazione,
favorendo gabbie salariali, privatizzando oltre misura, pensando alla
quantità delle merci e non alla qualità, manipolando bisogni e
condizionandoli è approfondire la crisi. In questo momento sembra che non
esistano piani che inseriscano nella società elementi di socialismo che
spingano verso un mondo nuovo. Libertà di licenziare, costruzione di un
esercito di riserva controllato, condoni e agevolazioni ai detentori del
profitto, apertura del proprio territorio e senza regole a poteri economici
forti, smantellamento dello stato sociale, evasione fiscale e sfruttamento
da legalizzare, messa all'asta di ogni bene collettivo, sottomissione alla
banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale e in genere alle scelte
delle strutture di Bretton Woods, valorizzazione dell'industria delle armi e
delle manipolazioni genetiche senza controllo, rapporto coercitivo con l
'ambiente ecc. sono espedienti microeconomici che danno il quadro di scelte
macroeconomiche che abbiamo chiamato autoritarismo liberale e che in Italia
trovano nel paladino del falso in bilancio e dell'attacco alla legalità e
alla Costituzione democratica uno dei servi più fedeli. Quanto più ci si
allontana dalla lotta di classe e dalla realtà di uno sviluppo mondiale
ineguale da contrastare in cui lo stesso fenomeno dell'immigrazione assume
aspetti distorti tanto più la politica economica si riduce al piccolo
compromesso, al solo problema corporativo. In realtà ci aspettiamo che dall'
autunno 2002 la lotta ritrovi la sua dimensione politica, la ritrovi nella
manifestazione del 14 settembre che intende evitare l'assassinio di giusti
processi e dello stesso ruolo democratico della Maguistratura in questo
Paese, la viva nella manifestazione, che ci vede protagonisti, degli
immigrati del 15 settembre che terminerà al Vaticano, si rinnovi in una
battaglia quotidiana in ogni luogo di studio e di lavoro e si rafforzi
gemellandosi con lotte analoghe in ogni parte d'Europa e del pianeta. Lo
scandalo per questo Paese (come in Colombia o negli USA, in Uruguay e in
Argentina, in Giappone e in tanta parte dell'Africa ecc.) è rappresentato da
forze antidemocratiche che sono annidate nelle istituzioni e che lavorano
quotidianamente per privarle di senso e ruolo insieme all'emarginazione non
di una parte della società e dell' opposizione ma del popolo stesso. Forse
chiediamo troppo ma ci appartiene anche l'utopia e il desiderio di
cristallizzarla.
Michele Capuano
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ad un ulteriore mortificazione dei diritti e del Lavoro, rendono il =
pensiero e=20
la pratica liberista il tumore del pianeta, in giorni in cui, di fatto, =
non c’=E8=20
sviluppo ma arretratezza (nonostante le nuove tecnologie) e =
un’espansione=20
foriera di distruzioni irreversibili condita da un assistenzialismo=20
spregevole.<SPAN style=3D"mso-spacerun: yes"> </SPAN>O siamo =
capaci di=20
riempire l’autunno caldo di valide proposte e viverlo nel corso di =
un anno=20
intero e aldil=E0 dei governi di destra, senza tentativi clownistici di =
cavalcare=20
ogni protesta per scopi particolaristici, oppure involontariamente siamo =
destinati ad essere spettatori della decomposizione di questo mondo per =
quanto=20
ci si agiti. Questa non =E8 l’epoca delle disuguaglianze ma =
dell’organizzazione=20
delle stesse. Noi viviamo sotto regimi oligarchici (dall’Italia =
all’Argentina=20
facendo scalo in Francia o La Paz o a Bogot=E0 e raggiungendo la lontana =
Australia) dove ogni decisione (tra un G8 o 9 o 10 e summit =
giganteschi), dagli=20
apparati militari alla legalit=E0, dall’industria =
all’energia, dal clima alla=20
sopravvivenza della specie…, =E8 in mano alla =
“personalizzazione del potere” e=20
lesiva di ogni sovranit=E0 popolare. Obiettivo delle classi dominanti =
=E8 anche=20
quello di rendere il liberalismo economico un modo di vivere in cui<SPAN =
style=3D"mso-spacerun: yes"> </SPAN>i bisogni siano pensati =
soddisfatti=20
essendo tutti consumatori individuali ed utenti che creano profitto. La =
societ=E0=20
neoliberale vuole essere nei programmi dei suoi gestori un =
“assoluto=20
intramontabile” disponibile ad un’alternanza e ai conflitti =
purch=E9 non ne=20
intacchino l’essere e la sua etica dell’avere. Non possiamo, =
quindi, aderire=20
alle grandi lotte che abbiamo dinanzi proposte dalla CGIL (dopo la =
svendita di=20
tutto il patrimonio di storia e di esperienza della CISL e della UIL =
come=20
sollecitato dagli stessi enunciati di Gelli o della P2) o dai =
girontondini senza=20
pretendere, partecipando come faremo, qualcosa di pi=F9: a partire da=20
un’iniziativa forte e consapevole per mandare a casa i nuovi =
barbari. Bisogna=20
difendere l’articolo 18 contro la libert=E0 di licenziare ma =
bisogna difendersi=20
dai licenziamenti a macchia di leopardo, dalle politiche finanziarie, =
dal=20
caro-vita, dall’evasione fiscale e dai paradisi salariali, dallo =
svilimento del=20
potere d’acquisto, dalla giungla retributiva, dalla =
disoccupazione, dalle=20
privatizzazioni dei servizi, dall’attacco a pensioni, sanit=E0. =
istruzione ecc.=20
C’=E8 una gerarchia retributiva, favorita anche da un ruolo sempre =
pi=F9 corporativo=20
dei sindacati, irrispettosa di capacit=E0 ed intelligenze, nel nostro =
Paese,=20
spaventosa. Totale =E8, poi, la mancanza di una vertenza per il Lavoro e =
mai=20
sepolta la pratica clientelare che regola ulteriormente le =
disuguaglianze e=20
neo-parassitismo. Assente un briciolo di modello di sviluppo per grandi =
aree e=20
settori e una concreta politica fiscale (almeno rispettosa del mandato=20
costituzionale). Il denaro pubblico =E8 estorto e poi orientato, in un =
intreccio=20
marcato con poteri occulti anche d’oltreoceano, per motivi =
clientelari… Pi=F9 che=20
le tariffe pubbliche le alte retribuzioni (in mancanza di un tetto) date =
in gran=20
parte fuori da competenze e “meriti” intervengono in parte =
sui meccanismi=20
inflazionistici sia dal lato dei costi che dei consumi e a vantaggio di =
beni di=20
lusso prodotti oltre il nostro stesso cortile di casa. Gli ultimi =
governi hanno,=20
poi, accellerato, quella che potremmo definire una vera e propria crisi =
fiscale=20
e dei salari (diretti, indiretti…) inventando vieppi=F9 lavoro =
interinale e=20
flessibile, sottopagato e nuovo schiavismo. Le stesse classi medie, =
generalmente=20
conservatrici<SPAN style=3D"mso-spacerun: yes"> </SPAN>e culla =
dell’apatia=20
politica, iniziano a sentire il peso di politiche economiche, fiscali e=20
finanziarie (anche dopo l’unica unione europea realizzata: quella =
della moneta.=20
Mentre altre nazioni vivono una violenta dollarizzazione) scellerate.=20
Nell’agricoltura e nei servizi, nel turismo e =
nell’artigianato, nel piccolo=20
commercio e in taluni lavori autonomi abbiamo, invece, toccato il fondo. =
Non=20
basta impegnarsi nella contrattazione nazionale se questa non =E8 =
finalizzata a=20
ragionamenti sul Welfare, sull’accumulazione e la distribuzione di =
ricchezze,=20
sulla cooperazione internazionale, importazione ed esportazione, sulla =
ricerca e=20
il cosa produrre attivandosi contro squilibri di classe e nei consumi =
sociali=20
che vanno raggiungendo livelli inquietanti. Un euro vale quasi mille =
lire in=20
realt=E0<SPAN style=3D"mso-spacerun: yes"> </SPAN>e la FIAT come =
la divisione=20
sociale del mercato del lavoro e la svalorizzazione del lavoro =
produttivo stanno=20
l=EC a dimostrare che i privilegi derivano da strutture politiche ed =
istituzionali=20
che favoriscono unicamente posizioni corporative, di parte, =
istituzionali e di=20
potere. Ci=F2 che =E8 fortemente in crisi =E8 l’organizzazione del =
lavoro e il=20
rapporto (con l’aiuto, inoltre, della controriforma per la scuola) =
tra lavoro=20
manuale e intellettuale. Tuttavia nessuna lotta ha davvero senso se non =
=E8=20
accompagnata da una grande consultazione di massa che crei coscienza e=20
consapevolezza. Rimane, per noi, non rinviabile una lotta strenua per la =
riduzione dell’orario di lavoro (36 ore) a parit=E0 di salario =
scomparsa dalla=20
agenda politica di qualsiasi forza politica di sinistra in Italia. =
Rimane=20
importante rivalutare in forme nuove la scala mobile (rapporto tra =
stipendi e=20
processi inflattivi aggiungendo rapporti tra valore del salario e spesa) =
e la=20
nascita di sedi istituzionali intese come sportelli per una mappatura =
reale del=20
non lavoro e sedi per l’ottenimento immediato di un reddito minimo =
garantito=20
nelle condizioni del disagio verso la piena occupazione equamente e =
giustamente=20
retribuita. Bisogna in sostanza far uscire il Paese da una microeconomia =
alle=20
dipendenze di una macroeconomia che ci vede servi sciocchi e rilanciare =
lotte=20
sindacali e politiche per l’alternativa a questo stato di cose a =
maggior ragione=20
dopo gli accordi tra CISL<SPAN style=3D"mso-spacerun: yes"> =
</SPAN>e UIL e=20
governo delle destre realizzati per normalizzare e ingabbiare tutta la =
politica=20
contrattuale e sindacale riducendola ad una pratica rivendicativa, =
limitata e=20
consociativa. Dobbiamo chiedere alle lotte d’autunno governi =
alternativi e una=20
sinistra per la democrazia popolare, la contrattazione come valore =
riconosciuto=20
al pari del diritto a vivere la piazza, la promozione della condizione =
operaia e=20
bracciantile, egualitarismo salariale, controllo sociale =
dell’impresa e=20
dell’economia per non continuare solo a difendere. Se il sindacato =
=E8 mosso dalle=20
stesse preoccupazioni della Confindustria e dei ceti dominanti dinanzi =
alla=20
crisi non si va lontano e non si interviene su crisi e recessione in =
maniera=20
determinante. Se il sindacato (e la sinistra che ne =E8 addirittura =
scavalcata) ha=20
le stesse preoccupazioni del padronato, della stabilit=E0 del quadro =
economico,=20
dell’equilibrio nei rapporti economici internazionali, della =
regolazione dei=20
rapporti tra le classi siamo in presenza di un cedimento che anzich=E9 =
proporre=20
sviluppo e occupazione, diritti e nuovi lavori, ci ingabbia in una =
riduzione=20
della capacit=E0 produttiva e in un arretramento di tutto il vivere =
sociale.=20
Salvaguardare a tutti i costi il livello di produttivit=E0 delle aziende =
intervenendo sul costo del lavoro e convivendo con la sottoccupazione e=20
disoccupazione, favorendo gabbie salariali, privatizzando oltre misura, =
pensando=20
alla quantit=E0 delle merci e non alla qualit=E0, manipolando bisogni e=20
condizionandoli =E8 approfondire la crisi. In questo momento sembra che =
non=20
esistano piani che inseriscano nella societ=E0 elementi di socialismo =
che spingano=20
verso un mondo nuovo. Libert=E0 di licenziare, costruzione di un =
esercito di=20
riserva controllato, condoni e agevolazioni ai detentori del profitto, =
apertura=20
del proprio territorio e senza regole a poteri economici forti, =
smantellamento=20
dello stato sociale, evasione fiscale e sfruttamento da legalizzare, =
messa=20
all’asta di ogni bene collettivo, sottomissione alla banca =
Mondiale e al Fondo=20
Monetario Internazionale e in genere alle scelte delle strutture di =
Bretton=20
Woods, valorizzazione dell’industria delle armi e delle =
manipolazioni genetiche=20
senza controllo, rapporto coercitivo con l‘ambiente ecc. sono =
espedienti=20
microeconomici che danno il quadro di scelte macroeconomiche che abbiamo =
chiamato autoritarismo liberale e che in Italia trovano nel paladino del =
falso=20
in bilancio e dell’attacco alla legalit=E0 e alla Costituzione =
democratica uno dei=20
servi pi=F9 fedeli. Quanto pi=F9 ci si allontana dalla lotta di classe e =
dalla=20
realt=E0 di uno sviluppo mondiale ineguale da contrastare in cui lo =
stesso=20
fenomeno dell’immigrazione assume aspetti distorti tanto pi=F9 la =
politica=20
economica si riduce al piccolo compromesso, al solo problema =
corporativo. In=20
realt=E0 ci aspettiamo che dall’autunno 2002 la lotta ritrovi la =
sua dimensione=20
politica, la ritrovi nella manifestazione del 14 settembre che intende =
evitare=20
l’assassinio di giusti processi e dello stesso ruolo democratico =
della=20
Maguistratura in questo Paese, la viva nella manifestazione, che ci vede =
protagonisti, degli immigrati del 15 settembre che terminer=E0 al =
Vaticano, si=20
rinnovi in una battaglia quotidiana in ogni luogo di studio e di lavoro =
e si=20
rafforzi gemellandosi con lotte analoghe in ogni parte d’Europa e =
del pianeta.=20
Lo scandalo per questo Paese (come in Colombia o negli USA, in Uruguay e =
in=20
Argentina, in Giappone e in tanta parte dell’Africa ecc.) =E8 =
rappresentato da=20
forze antidemocratiche che sono annidate nelle istituzioni e che =
lavorano=20
quotidianamente per privarle di senso e ruolo insieme =
all’emarginazione non di=20
una parte della societ=E0 e dell’ opposizione ma del popolo =
stesso. Forse=20
chiediamo troppo ma ci appartiene anche l’utopia e il desiderio di =
cristallizzarla.</P>
<P class=3DMsoNormal style=3D"TEXT-ALIGN: justify"><B>Michele =
Capuano<?xml:namespace=20
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/><o:p></o:p></B></P></FONT></DIV></BODY></HTML>
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