Re: [Pacifistat] Sul Nuovo patto di stabilità europeo

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著者: Domenico Moro
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To: Aldo Maria Femia
CC: Pacifistat
題目: Re: [Pacifistat] Sul Nuovo patto di stabilità europeo
Caro Aldo,

innanzi tutto grazie per il tuo commento, che, come ogni commento rispettoso dell'opinione altrui, è ben accetto.

Provo a rispondere brevemente ad alcune delle tue domande e suggestioni. La mia opinione è che il problema principale della nostra società sta nell'essere basata sulla accumulazione sfrenata di profitto. In poche parole il problema è il modo di produzione capitalistico.

Il fatto è che il modo di produzione capitalistico si concretizza storicamente in modi diversi. Nel passato, diciamo tra gli anni '60 e gli anni '80, prevaleva una forma di capitalismo attenuata dalle lotte di massa e dall'intervento statale e dal welfare state. Oggi predomina in Europa un sistema neoliberista (o ordoliberista a seconda dei punti di vista) in cui l'euro, la Ue, i vari trattati (a cominciare dal Patto di stabilità) ricoprono un ruolo decisivo.

Il patto di stabilità e l'euro sono degli strumenti che sono stati ideati, tra le altre cose, per imporre un disciplina di bilancio e una riduzione delle spese sociali, bypassando i parlamenti nazionali e annullando qualsiasi influenza popolare sulle decisioni di spesa sociale (e in generale sulle scelte strategiche dei singoli Paesi). Non è un caso che il governo Monti, imposto dall'Europa, sia stato il peggiore governo degli ultimi decenni (Fornero docet).

Ma torniamo alla questione dell'uscita dalla Ue. L'uscita eventuale dall'Ue risolve tutti i problemi? Sicuramente no. E sicuramente non ci porta automaticamente al socialismo. Però, è altrettanto vero che con i vincoli al debito e al deficit, con le regole europee in genere non c'è sicuramente possibilità di iniziare alcun processo (inevitabilmente lungo) di cambiamento della società nel senso che vogliamo. In sintesi, l'uscita dalla Ue (e dalla Nato) è una condizione necessaria ma non sufficiente.

C'è poi il tema della decrescita, che mi pare sia a te molto caro. Purtroppo, in Italia già oggi siamo nella decrescita che non è certo "felice", a causa, tra le altre cose, anche dei vincoli europei. Credo che vada chiarito un equivoco: c'è crescita e crescita. C'è la crescita dovuta alla produzione di merci inquinante e non utile socialmente e c'è la crescita utile socialmente, dovuta, ad esempio, allo sviluppo della sanità e della capacità di cura e alle attività di manutenzione e di messa in sicurezza del territorio. E' quest'ultima crescita che va implementata e che serve anche a rendere sostenibile il debito pubblico.

Spero, nonostante la brevità, di essere stato chiaro.

Un caro saluto

Domenico


----- Messaggio originale -----
Da: "Aldo Maria Femia" <femia@???>
A: "domenico moro" <domenico.moro@???>
Cc: "Pacifistat" <pacifistat@???>
Inviato: Martedì, 9 gennaio 2024 19:21:28
Oggetto: Re: [Pacifistat] Sul Nuovo patto di stabilità europeo

caro Domenico

approfitto del tuo articolo - chiaro, informativo e ben argomentato come sempre - per fomentare dibattito.

Mi chiedo - e ti chiedo - se la tua conclusione (" i trattati europei rappresentano una gabbia per le economie continentali, che per i singoli stati non è possibile superare se non con l’uscita dalla Ue stessa") definisca un (punto chiave di un possibile) programma politico, come mi sembra
e in tal caso se pensi che obiettivi di un tale programma possano essere non la crescita economica e il successo dell'economia nazionale nell'arena internazionale (ottenibile solo con il supporto dello Stato alla competizione tra capitali nazionali: "l’unica soluzione sarebbe l’intervento dello Stato mediante investimenti pubblici")
ma una transizione ad una forma di economia ben diversa da quella che conosciamo (ed eventualmente quale: a me piace pensare ad un percorso di de-mercificazione del vivere e di recupero di forme di vita più ricche di relazioni con l'umanità e la natura, e meno di cose e attività alienate, e lo chiamo decrescita).
Considererei favorevolmente l'ipotesi di uscita dalla Ue se fosse una condizione abilitante per perseguire obiettivi radicalmente diversi dalla crescita, se fosse il modo per far diventare l'economia un mezzo e non più un fine. Non vedo però né come più agevole o probabile un percorso del genere per un paese al di fuori della Ue. Non lo vedo neppure come meno agevole o probabile, d'altro canto. Semplicemente lo vedo come un obiettivo "altro" rispetto a quello della crescita, che mi sembra essere comunque al centro del tuo discorso.

Da un punto di vista più "interno" al discorso, mi sembra chiaro che sul piano strettamente logico (quali siano i rapporti di forza che lo impediscono sul piano storico è purtroppo abbastanza chiaro) i vincoli in questione non debbano essere soddisfatti per forza attraverso "il restringimento delle spese sociali, a partire dalla spesa sanitaria ", ma anche attraverso una azione redistributrice dello Stato, tanto del reddito quanto della ricchezza. Se si ragiona in un'ottica di programma politico, perchè mettere in primo piano la rimozione del vincolo che agevola il perpetrarsi delle sperequazioni e delle spese assurde, accanto a quelle utili? Perché in una simile ottica si dovrebbe sottintendere che la camicia di forza imposta dalle Ue e dalla NATO a chi vorrebbe assistere a una riduzione delle spese militari sia impossibile da sciogliere, mentre dovrebbe esserlo quella dell'appartenenza stessa a Ue e NATO? Sono certo che per te lo spostamento del carico fiscale sui più abbienti e le multinazionali e l'uscita dalla NATO e dalle spese militari non siano né tabù né alternative all'uscita dalla Ue, ma queste in sé mi sembrano obiettivi degni di essere perseguiti, mentre la sola ragione dei vincoli a deficit e debito pubblico mi sembra non sufficiente.

Ancor più "interna" è la seguente considerazione: siamo sicuri che in un'Europa di Stati neoliberali, liberi e volenterosi di supportare i propri capitalismi nell'arena della competizione continentale (oltre che globale) - verosimilmente a spese delle classi popolari proprio come impone (?) l'Ue - le cose sarebbero in generale migliori, anche dal ristretto punto di vista della crescita economica? Che gli effetti della spinta all'innovazione e all'investimento sarebbero più potenti di quelli della maggior competizione e alla conflittualità? E che - in un'ottica ancor più ristretta, nazionale - l'Italia non starebbe peggio per la dis-integrazione della matrice degli scambi intereuropei che ne conseguirebbe? E poi: quale ruolo sarebbe riservato alle regioni del nostro Sud in un simile scenario? Sarebbe diverso - migliore - da quello oggi assegnato di riserva di braccia, e sole, vento e territorio da deturpare? Se sì, potrei anche sposare l'Italexit e la dissoluzione della Ue.

Insomma, come dimostra la GB, l'uscita dalla Ue non è condizione sufficiente per realizzare il socialismo, e credo neppure necessaria. Allora perché appassionarsi ad essa e non all'altrettanto improbabile affermarsi, nelle prossime elezioni europee, di forze favorevoli alla redistribuzione di redditi e ricchezze e - magari - a forme desiderabili di decrescita (in luogo di stagnazione e/o investimenti in opere pubbliche devastanti)?

grazie per gli stimoli e scusa le eventuali sciocchezze
ciao
Aldo


Da: "Domenico Moro" <domenico.moro@???>
A: "Pacifistat" <pacifistat@???>
Inviato: Martedì, 9 gennaio 2024 15:53:57
Oggetto: [Pacifistat] Sul Nuovo patto di stabilità europeo

Care e cari,

vi giorno il link a un mio articolo sulla riforma del Patto di stabilità.

https://urlsand.esvalabs.com/?u=http%3A%2F%2Fwww.laboratorio-21.it%2Fla-montagna-della-ue-e-il-topolino-del-nuovo-patto-di-stabilita%2F&e=2637b01d&h=bfbbc88c&f=y&p=y

Ciao

Domenico
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