Autore: Martina Libertà Data: To: multicori, Tav. Logistico Amministrativo, tav-direzione-artistica, Tav. Comunicazione-, Tav. Scientifico, luciana manca, ospitibabele Oggetto: [Canti trasmigranti] Una ultima mail, doverosa!
Una buona domenica!
Questo è il primo fine settimana, da febbraio scorso, durante il quale non
mi sono impegnata, almeno solo a pensare, di scrivere alla rete come un
dovere o un imperativo categorico, secondo lo spirito di servizio che mi
ha motivato nel provare a dare una mano alla realizzazione del sogno
collettivo che abbiamo tutti vissuto in carne, ossa e voce…
Oggi, con molto cuore, vi scrivo non per dovere, ma per desiderio.
Vi scrivo oggi perché non sono stata in grado di cogliere l’occasione che
mi è stata concessa sabato scorso sul palco, non preventivata o pensata,
durante la quale avevo solo voglia di sbarazzarmi del microfono il prima
possibile, tanto che ho finanche dimenticato di nominare tutti i componenti
della Carovana della Musica ( e quello sì che era un dovere a cui ho
mancato e me ne dispiaccio ancora).
Ad ogni modo credo che non ci sarebbe stato il tempo di fare con cura e
attenzione quello che intendo far fare a questa mail, della quale stavolta
non mi preoccuperò della eccessiva lunghezza.
Scrivo per ringraziare ciascuno che, con egual intensità ma in diverso
modo, mi ha arricchito in questi mesi di preparazione al Festival.
Prima di tutto ringrazio *Luciana Manca*, non solo per essere stata il
motore propulsore di questo sognamento collettivo; per aver compreso la
necessità improrogabile di preservare, con la sua ricerca, il potente e
fondante patrimonio umano e culturale di cui sono portatori sani tutti i
cori coinvolti; per aver dato seguito, speranza e gambe a questo
patrimonio; per averci reso visibile l’invisibile e soprattutto, e non da
ultimo, per aver creduto fortemente in me sin dall’inizio e fino alla fine,
oltre ogni divergenza d’opinione, di scelte terminologiche o anche
semplicemente comportamentali.
Ringrazio *tutti *per aver avuto la pazienza di aspettare e perdonare
tentativi di costruzione decisionale democratica, a volte ben riusciti e
altre falliti, attraverso i mezzi che tutti abbiamo imparato a conoscere e
sfruttare insieme e ogni tanto anche a subire. In tal senso il festival è
stato un privilegiato banco di prova dell’esercizio della nostra capacità
di superamento del principio di maggioranza ad appannaggio dell’unanimità,
che ha proceduto per vittorie ed insuccessi. Infondo, *bisogna aspettare il
passo di tutti, anche di chi arriva in ritardo per colpa o suo malgrado,
per realizzare una vera inclusività, anche di progettazione e non solo
canora*: questo è un insegnamento che mi porto dietro grazie alla mia
maestra, *Giuseppina Casarin*, molto semplice da comprendere ma molto
difficile da realizzare, utilissimo nel tempo di lavoro al Festival.
Ringrazio *Carlo Mayer e tutto il suo team* che ha creduto fortemente e
indefessamente nel crowdfunding, per il quale ero fortemente scettica, per
avermi insegnato ad avere fiducia in questo ulteriore strumento di
partecipazione dal basso.
Grazie perché questo Festival è stata l’occasione per comprendere che *bisogna
sapersi decentrare il più possibile perché la voce sia quella di molti, se
non addirittura di tutti,* e mi scuso se non sono stata all’altezza di
questo proposito. Mi scuso inoltre per l’inconsapevole superfetazione di
mail non necessarie, tanto da apparire “moleste” (questa è l’ultima, giuro).
Ringrazio *Padre Eraldo*, perché la dedizione e la pazienza profuse, sono
testimonianza vivente di come un ideale fortemente perseguito, al di là di
ogni retribuzione o riconoscimento, sia più concreto di qualsiasi sogno di
gloria o di fama, soprattutto quando si costringe la bellezza in luoghi in
cui questa stenta ad attecchire o si stenta a riconoscere o addirittura si
soffoca, soprattutto quando non esiste riposo se vale il principio che
tiene sul podio il suo coro di bambini come i sovrani di tutte le genti che
vengono da ogni parte del mondo ad omaggiarlo con la loro musica. Così i
bambini hanno ospitato gli adulti, in un interessante sovvertimento di
ruoli, dove chi di solito riceve cura, la dispensa. Lo ringrazio perché ha
saputo tenere salde tutte le anime di questo festival, di credo e ideali
politici differenti, dando a ciascuna il giusto spazio e la giusta
attenzione di tempo, senza per questo snaturare le diversità, come il gioco
dell’inclusività culturale insegna.
Imprescindibile valore ha avuto la macchina incessante della *Caritas di
Napoli *che è riuscita a garantire un posto letto dignitoso a ciascuno (
nessuna palestra giusto?), come d’altronde fa ogni giorno con gli ultimi,
senza aver trascurato il lavoro ordinariamente emergenziale che la
caratterizza (per chi non lo sapesse mentre discutevamo beatamente
all’università di cose belle, partiture e sperimentazioni, la macchina di
Caritas approntava soluzioni in urgenza per persone appena inviate Napoli
a seguito di uno sbarco).
Mi facevo portavoce di tutte le nostre necessità con chi organizzava a
Napoli l’ospitalità, necessità diversificate, tardive e a volte superflue,
e nonostante questo, nel silenzio e nel nascondimento, i volontari della
Caritas ci hanno insegnato il valore del servizio senza podio o chiasso di
giornali, cercando di accontentare i desideri di tutti.
“L’albero si vede dai frutti”, mi ha scritto Padre Eraldo in uno dei suoi
ultimi messaggi dopo il festival, frase riconoscibile nel seno del medesimo
credo cristiano a cui sono votata, ma di comprensione e condivisione
universale. Per questo mi auguro che questo non sia unicamente un festival,
per quanto replicabile e migliorabile, come un albero senza frutti.
Mi auguro e mi piace pensare che la bellezza condivisa faccia nascere
molti e diversificati frutti, che tutti stiamo già immaginando, ognuno
nei suoi territori, d’arrivo, partenza e d’affezione, che le relazioni
generatrici di nuove comunità siano in grado di far crescere il messaggio
che la musica veicola nella sua orizzontalità di senso, il messaggio di una
libera costruzione di umanità e di musica in cammino che a volte si ferma e
dà spettacolo persino alla natura.
Per me e la mia personale esperienza nel Coro Voci dal Mondo, e più
recentemente nella preparazione del festival, è imprescindibile continuare
a comunicare al vento e alla terra di quanto la musica sia capace di curare
le frustrazioni e i fallimenti di chi opera e si spende nel sociale e
prova riparare le storture che ogni tanto, per colpevole disattenzione,
realizziamo; è necessario continuare a cantare e narrare in ogni modo e
forma, di un coro, come quello che frequento, paradigma felice di una
possibile e armonica convivenza fra tutti i coinquilini della terra.