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Date: Mon, 2 Oct 2023 10:47:10 +0200
From: Rosella Simone <rosellasimone@???>
To: flora cappelluti <flora.cappelluti@???>,
ceroni.moretti@???, ca_favale <ca_favale@???>, susanna
Susanna Couvert <susannacouvert@???>, Libreria Calusca
<libreriacalusca@???>, Libreria Linea d'Ombra
<info@???>, Lu Vi <matriarcato@???>, Laura
Quagliuolo <laura.quagliuolo@???>, mluisanog@??? Subject:
Fwd: scheda libro BERXWEDAN per pubblicizzazione
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Inizio messaggio inoltrato:
> Da: Rosella Simone <rosellasimone@???>
> Data: 2 ottobre 2023, 10:36:01 CEST
> A: Cristina Morini <cris.morini@???>, Tiziana Villani
> <ti.villani@???>, Rossa Tidei <rossanatidei@???>,
> roberto melone <robertomelone2015@???>, ada.donno@???,
> stefania f <steefais@???>, Andreas Zangardi
> <andreas.zangardi@???>, Caterina Gerardi
> <caterina@???>, Giorgio Moroni <moronigf@???>,
> giorgio riolo <giorgio.riolo@???>, giulia bausano
> <gyubau@???>, Giuliana Peyronel <giuliana.peyronel@???>,
> cristian.pintus1971@??? Oggetto: I: scheda libro BERXWEDAN per
> pubblicizzazione
>
>
>
>
> Inviato da iPhone
>
> Inizio messaggio inoltrato:
>
>> Da: Roberto Mapelli <roberto.mapelli@???>
>> Data: 1 ottobre 2023, 09:34:22 CEST
>> A: la.sch@???, Diego Schrader <diegoschrader@???>, Rosella
>> Simone <rosellasimone@???>, Ele Ele
>> <eleonora.bonaccorsi@???>, Silvana Barbieri
>> <silbarbieriao@???>, Lucia Agrati <lagrati@???>
>> Oggetto: scheda libro BERXWEDAN per pubblicizzazione
>>
>>
>> Novità Edizioni Punto Rosso
>>
>> Laura Schrader
>> BERXWEDAN
>> La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di Erdogan
>>
>> Con un contributo di Ayney Öcalan
>>
>> Prefazione di Silvana Barbieri e Rosella Simone
>>
>> Protetto dallo scudo dell’Alleanza Atlantica Erdogan, da vent’anni
>> al potere, prosegue con ogni mezzo la politica di genocidio contro
>> la popolazione del Kurdistan in Turchia, Siria, Irak. Attraverso i
>> ritratti di persone e di eventi queste pagine disegnano vividamente
>> un quadro di atroci violazioni dei diritti umani, un’inaccettabile
>> ingiustizia. Alla guerra di annientamento il popolo kurdo resiste.
>> Resiste e combatte nella memoria amatissima di donne e uomini
>> martiri della guerriglia. Resiste e brucia nelle ferite dei bambini
>> colpiti dalle armi chimiche del secondo esercito Nato. Resiste e
>> vive nel ricordo delle donne simbolo di libertà, assassinate dai
>> sicari, dai droni, dalla furia jihadista degli alleati di Ankara.
>> Resiste e chiama dalle carceri che chiudono migliaia di voci della
>> politica e della società civile. Resiste e sogna nel cuore delle
>> famiglie private di tutto, costrette alla desolazione dei
>> campi-profughi. Resiste e crede in una strada di pace e democrazia
>> nata dal pensiero del suo leader Abdullah Öcalan.
>>
>> Laura Schrader ha pubblicato Canti d'amore e di libertà del popolo
>> kurdo (Newton Compton), I fuochi del Kurdistan. La guerra del popolo
>> kurdo in Turchia (Datanews), Sulle strade del Kurdistan (Ega),
>> Serhildan (Epos), Il diritto di esistere. Storie di Kurdi e Turchi
>> insieme per la libertà (Ega), Sherko Bekas. Scintille di mille
>> canzoni (Ismeo), Canti d'amore e di libertà. I fuochi di Nawroz
>> (End). Tra i saggi: La resistenza kurda in Turchia e in Irak (Centro
>> Studi Capitini), Lingua e cultura del popolo kurdo come strumento di
>> lotta di liberazione (Università Statale di Milano), La repressione
>> nel Kurdistan iracheno (Convegno internazionale di Firenze
>> “Kurdistan”), Il massacro chimico di Halabja (Centro Ricerche
>> dell'Università di Trieste), Öcalan e le radici del confederalismo
>> democratico (Conferenza sul pensiero di Öcalan, Livorno). E’
>> co-fondatrice dell’Istituto Internazionale di Cultura kurda di Roma
>> e fa parte del comitato Time has come - Freedom for Öcalan. E'
>> presidente onoraria di Udik-Unione Donne Italiane e Kurde.
>>
>> ISBN 9788883512933, Pagg. 160, 18 euro.
>> Il libro può essere richiesto direttamente scrivendo a
>> edizioni@???
>>
>> Edizioni Punto Rosso
>> Viale Monza 255, 20126 Milano
>> edizioni@??? – www.puntorosso.it
>>
>> *****************
>>
>> Prefazione
>> di Silvana Barbieri e Rosella Simone
>>
>>
>> Il 20 febbraio 2018 l’esercito turco insieme al famigerato Esercito
>> Libero Siriano, copertura dell’Isis pagata dalla Turchia, aveva
>> lanciato l’ennesima offensiva contro la Siria occidentale, la
>> regione autonoma del Rojava dove nei villaggi curdi si stava
>> sperimentando l’autogoverno. I due eserciti bombardarono i villaggi,
>> uccisero uomini, bambini e, con particolare ferocia e compiacimento,
>> le donne; distrussero tutto quello che aveva a che fare con
>> l’identità e la cultura di quell’area della Mesopotamia, dai siti
>> archeologici agli alberi di ulivi, coltivazione tradizionale in
>> quella parte di mondo, per cancellare il presente e il passato del
>> popolo curdo. Quel massacro i turchi lo avevano chiamato Ramo
>> d’ulivo! Macabra ironia o strategia di comunicazione, visto che
>> oggigiorno anche le guerre di sterminio si vendono come prodotti di
>> largo consumo. Quando gli eserciti aggressori entrarono in Afrin nel
>> distretto di Aleppo, l’esaltazione distruttiva raggiunse il culmine.
>> Nella piazza centrale, il secondo esercito per potenza di fuoco
>> della Nato si accanì contro una statua, quella di Kawa: “l’eroe del
>> mito di fondazione dell’identità kurda, il fabbro che uccise il
>> tiranno coronato da serpenti e con il fuoco acceso sulla vetta della
>> montagna comunicò al suo popolo l’avvento di Newroz, il nuovo
>> giorno, la conquista della libertà”, spiega Laura Schrader in
>> Berxwedan. Libro, intenso e documentatissimo in cui l’autrice ci
>> racconta la resistenza del popolo kurdo contro il tentativo
>> protratto di genocidio da parte dei governi turchi. Libro
>> emozionante e coinvolgente capace di spiegare a noi occidentali
>> quello che sta succedendo in Medio oriente e come il destino
>> difficile dei kurdi si sia scontrato e si scontri con le strategie
>> delle grandi potenze mondiali in contesa fra loro per il dominio del
>> mondo. Ma perché accanirsi contro una statua, contro una leggenda?
>> Perché Kawa è un simbolo, un simbolo universale della lotta dei
>> popoli contro gli oppressori. Kawa è per i kurdi quello che per noi
>> occidentali, in particolare per chi si rifà al pensiero marxiano, è
>> Prometeo, il Titano che generosamente rubò il fuoco agli dei
>> dell’Olimpo per regalarlo agli uomini e, per questo, fu condannato
>> da Zeus ad essere incatenato in eterno a una rupe altissima mentre
>> un’aquila gli devastava il fegato ogni notte. Un giovane Karl Marx
>> appena 23enne nella sua tesi di laurea scrive: “Prometeo - questo
>> personaggio indocile, ribelle, indisciplinato, che non accoglie la
>> tirannide di Zeus - è il più grande santo e martire del calendario
>> filosofico”. Il simbolo, insomma, dell’eterna lotta di classe, colui
>> che riconosce come unica divinità l’autocoscienza umana. Kawa, il
>> prometeo mesopotamico, è il simbolo incarnato nella lotta di ogni
>> resistente kurdo. E Abdullah Öcalan, l’ispiratore, il teorico, il
>> combattente fondatore del Pkk ne è, in qualche modo, la proiezione
>> terrena, anche lui incatenato da 25 anni nell’isola di Imrali,
>> sottoposto alla tortura dell’isolamento e all’arbitrio dei suoi
>> carcerieri eppure capace, ancora e sempre, di rimanere
>> l’irriducibile combattente pronto ad andare incontro alla pace. Lo
>> spiega bene Laura nel suo libro quando sottolinea e ribadisce più
>> volte, ripetizione necessaria per entrare nelle nostre teste
>> colonizzate dalla comunicazione main stream, le reiterate offerte di
>> pace proposte dai kurdi al governo turco. Da parte del Pkk, ci sono
>> stati ben quattro cessate il fuoco unilaterali: il primo nel lontano
>> 1990, riproposto nel 1993 e poi nel 2006 e ancora nel 2009 e ben due
>> Gruppi di pace, uno nel 1999, l’altro nel 2009. In entrambe i casi,
>> un gruppo di otto guerrilleri si consegnava inerme al nemico turco,
>> nel tentativo di testimoniare la leale volontà di pace di tutto il
>> popolo kurdo e dei suoi militanti armati. Entrambe le volte i
>> portavoce di questo desiderio di pace sono stati arrestati,
>> torturati e condannati a decine di anni di carcere. Una
>> testimonianza speciale di questi avvenimenti la si può leggere in Ho
>> lasciato il fucile in montagna, edizione Punto rosso, diario
>> commovente ed esaltante, scritto nel 1999, dalla guerrigliera curda
>> Yügsel Genç, una dei componenti di quel primo drappello di
>> coraggiosi messaggeri di pace. Non ci pare un caso che il nome di
>> battaglia di Yügsel fosse Jiyan, Vita in italiano, perché ci vuole
>> amore per la vita per andare oltre le armi. Questo e molto altro
>> troverete in questo libro, indispensabile per chi voglia
>> approfondire oltre la cronaca la lunga resistenza del popolo kurdo e
>> insieme capire le complesse vicende che attraversano il Medio
>> oriente. Un’area del mondo squassata da troppi conflitti intersecati
>> tra loro che vedono muoversi, pedine di attori più potenti, tutti
>> gli stati, i popoli, le diverse etnie e le varie religioni che
>> popolano dalla notte dei tempi la Mesopotamia. Un’area che, con la
>> fine della prima guerra mondiale e lo smantellamento dell’impero
>> ottomano, è stata saccheggiata dagli imperi coloniali che se la sono
>> spartita fra di loro; poi, dalla fine della Seconda grande guerra,
>> dilaniata da una guerra non dichiarata tra le grandi potenze
>> globali, Stati uniti d’America, Russia, e, anche se, per ora,
>> indirettamente, la Cina. Un’area che va dal Mar Nero al Mediterraneo
>> sino al canale di Suez, crogiolo di infinite etnie, lingue,
>> religioni e, da sempre, terra di raccordo tra Occidente e Oriente;
>> da lì passano i cereali e i fertilizzanti russi e ucraini, la via
>> del petrolio e la via della seta. Da lì passa il controllo del
>> mondo. In questo scacchiere ognuno gioca la sua parte cercando di
>> sopravvivere in un contesto in cui le alleanze sono infide come le
>> sabbie mobili. L’asse Usa-Israele è certamente il più solido.
>> Israele è il gendarme dell’Occidente in terra d’Oriente, pagato,
>> sostenuto e armato dagli Usa e, per questo, può fare ciò che vuole
>> con il popolo palestinese da tempo abbandonato dall’Europa che ha
>> venduto, come Giosuè, la sua primogenitura nell’area del
>> Mediterraneo per il piatto di lenticchie che gli hanno rifilato i
>> vari presidenti statunitensi. E naturalmente c’è la Turchia con le
>> sue ossessioni di grandezza ottomane, in piena crisi economica e una
>> svalutazione a due cifre, con la fissa fin dai tempi di Ataturk di
>> uno stato monoetnico e monoculturale, qualcosa di simile alla
>> “difesa della razza” e quindi con diritto di sterminio. Vedi il
>> genocidio armeno degli anni venti e il tentativo annoso di eliminare
>> la cultura, le tradizioni e l’identità etnica religiosa di tutti
>> quelli - arabi, kurdi aleviti, yazidi, cristiani copti- che non si
>> considerano turchi. Recep Tayyd Erdogan, sultano in carica, dal 2003
>> come Primo ministro e dal 2014 come Presidente della Repubblica, ha
>> dimostrato e praticato un odio incurabile contro tutte le etnie non
>> turche, in special modo, i kurdi. Il popolo che ha trovato la forza
>> di resistere al progetto di annientamento messo in atto da Istanbul
>> sin dagli albori della Turchia moderna. Non a caso questo libro
>> s’intitola Berxwedan che potremmo tradurre con “resistenza” ma la
>> cui etimologia dice molto di più. La parola è composta da ber, il
>> verbo “dare”; xwe che significa “te stesso” e dan “davanti” che
>> aggiunge alla parola resistenza un’idea di energia, di spinta in
>> avanti, nonché di ferma determinazione a impegnare tutto se stessi
>> nella lotta. E questo i kurdi lo hanno capito, soprattutto le donne
>> kurde che hanno aggiunto alla resistenza di un popolo la loro
>> determinazione a sconfiggere il patriarcato partendo dal
>> riconoscimento dell’oppressione originaria che è stata il dominio
>> patriarcale sul corpo creatore delle donne. In questo libro Laura
>> Schrader racconta i fatti e gli antefatti della lunga storia di
>> resistenza dal popolo kurdo contro la volontà di annientamento della
>> Turchia. Dal trattato di Sevres del 1920 che prevedeva come effetto
>> della dissoluzione dell’impero ottomano la nascita di diverse
>> nazione, compreso uno stato kurdo per una etnia che, già allora,
>> contava circa quaranta milioni di popolo. Al tradimento del trattato
>> di Losanna, 1923, che dimentica il Kurdistan per favorire la corona
>> d’Inghilterra e regalarle il protettorato di uno stato fasullo,
>> l’Iraq. Ma chi se ne frega dei popoli che da millenni abitano quelle
>> terre, com’è tradizione i conquistatori scacciano i conquistati che,
>> se gli va bene, diventano degli sfollati, dei senza terra, se va
>> peggio vengono sterminati senza pietà. Per i kurdi sono gli anni
>> dell’umiliazione, della miseria materiale e culturale e poi, nel
>> 1978, un nuovo desiderio di dignità e riscatto porta alla nascita
>> del Pkk (Partîya Kerkéren Kurdîstan), Partito dei Lavoratori del
>> Kurdistan. Si tratta di un piccolo gruppo di giovani, nessuno di
>> loro appartiene alla classe dirigente, tra questi Abdullah Öcalan e
>> Sakiné Cansiz, la leggendaria compagna Sara uccisa insieme a due
>> altre militanti curde a Parigi il 9 gennaio 2013. Laura Schrader,
>> scrive da “partigiana”, è dagli anni ottanta che, da giornalista, si
>> occupa della questione kurda e ha imparato a conoscere e ad amare
>> quel popolo, le sue tradizioni e le sue proposte
>> politico-filosofiche e si è fatta militante delle loro ragioni.
>> Berxwedan quindi è un libro di storia, quella della resistenza
>> kurda, raccontata da chi la conosce intimamente e ne condivide la
>> visione del confederalismo democratico e lo dichiara. E questo,
>> crediamo sia per una giornalista l’unico modo onesto di essere
>> “oggettiva”: dichiarare apertamente da che parte sta e motivare la
>> sua scelta raccontando, con la massima lucidità, gli avvenimenti che
>> segnano quel processo. E lei ci accompagna, passo passo, senza
>> dimenticare nulla, attraverso quella epopea dolorosa che i kurdi
>> stanno compiendo da Serhildan, il giorno in cui hanno alzato la
>> testa, questo il significato di Serhildan, sino ad oggi. Il Pkk
>> nasce, come abbiamo detto, nel 1978, con l’intento di portare avanti
>> una lotta anticolonialista, sociale e di classe. In questa
>> prospettiva fondano l’Ergk, Fronte di liberazione del Kurdistan, che
>> si affianca ai molti altri Fronti di liberazione nati nella seconda
>> metà del novecento in tutti i paesi o sotto il dominio coloniale o
>> sotto il tallone di ferro di dittature feroci. Con una particolarità
>> che lo distingue da tutti gli altri: l’Argk, un esercito di sole
>> donne. All’epoca, alle spalle di questi movimenti di liberazione
>> sparsi nei terzi mondi del pianeta c’erano l’Unione sovietica e,
>> anche se in tono minore, la Cina. Quando nel 1989 crolla l’Unione
>> Sovietica i dirigenti kurdi sono costretti a riflessioni che li
>> portano a un salto teorico di grande qualità e audacia passando dal
>> centralismo democratico al confederalismo democratico; dalla
>> rivoluzione in due tempi alla jineoloji, la rivoluzione delle donne;
>> dall’analisi del capitalismo all’analisi del patriarcato, alla
>> valorizzazione delle comunità interetniche, al potere di governo
>> condiviso tra uomo e donna, alla visione di un mondo fondato sulla
>> conciliazioni tra etnie e religioni, ecosostenibile e capace di
>> coniugare l’etica con l’estetica. Anche la strategia nei confronti
>> della Turchia cambia, i kurdi non chiedono più l’indipendenza ma
>> propongono una federazione turco-kurda. In questo modo trasformano
>> la loro proposta da liberazione nazionale in rivoluzionaria, buona
>> per riscattare il pianeta intero. Un pericolo insopportabile per i
>> nazionalisti e i capitalisti globali. Ma per la Turchia kemalista
>> come per quella islamista di Erdogan i kurdi sono “terroristi” da
>> annientare con il beneplacido degli Stati Uniti impegnati in quegli
>> anni a fronteggiare la crisi del petrolio e ad accaparrarsi le aree
>> che prima della caduta del muro di Berlino erano sotto l’influenza
>> russa. Per realizzare tutto questo ci vuole una bella guerra. Sarà
>> George H.W. Bush padre a lanciare la Prima guerra del Golfo creando
>> i presupposti per la destabilizzazione della zona. La stessa
>> strategia porteranno avanti i democratici Bill Clinton, Barak Obama
>> e infine Joe Biden. Perché il liberismo non può tollerare un altro
>> modello politico economico che non sia se stesso e l’Islam del
>> secondo millennio cerca nel radicalismo il riscatto da troppi secoli
>> di umiliazioni. Ed è guerra, la terza guerra mondiale che ci ha
>> accompagnato sino ad oggi e che non pare essere disponibile a una
>> tregua. Una guerra “combattuta a pezzi”, come dice papa Bergoglio. E
>> allora la Turchia anche se dal kemalismo è passata alla jihadismo
>> gioca per sé con spregiudicatezza su i due tavoli delle potenze
>> mondiali; si è inventato il ruolo di mediatore, un mediatore ambiguo
>> e spesso criminale, ma, come ci ha spiegato Mario Draghi a suo
>> tempo, è il “nostro” criminale. Va bene anche se la Turchia è il
>> paese dei colpi di stato, nel 1960, nel 1971, nel 1980, e se non c’è
>> se lo inventano, come il colpo di stato del 2016 che è servito ad
>> Erdogan per fare piazza pulita di migliaia di possibili oppositori o
>> antipatizzanti annidati nell’esercito, nel parlamento, nella
>> magistratura, nel giornalismo, fra gli intellettuali e la gente
>> comune. In Turchia, un paese di 85 milioni di abitanti, i detenuti
>> sono circa 380.000, pare che nell’ultimo anno dopo il terremoto e le
>> elezioni, successo fragile di Erdogan, le detenzioni siano cresciute
>> del 118%. Di questi 80.000, dico ottantamila, sono accusati di
>> terrorismo; sono attivisti, giornalisti, scrittori, artisti,
>> musicisti, avvocati, accademici, parlamentari, sindaci, tutti dietro
>> le sbarre con condanne pesanti, sottoposti a sovraffollamento, a
>> continue minacce e pressioni, a tortura fisica, isolamento,
>> impossibilitati a difendersi. Alcuni nomi hanno fatto il giro del
>> mondo come quello del filantropo turco Osman Kavala condannato
>> all’ergastolo ostativo perché accusato di essere tra gli
>> organizzatori della occupazione di Gezi Park del 2013, la protesta
>> pacifica per impedire la cementificazione dell’ultimo parco verde
>> nel centro storico di Istanbul attaccata brutalmente dalla polizia
>> che ha fatto 11 morti, 8163 feriti e oltre 4900 arrestati. Come
>> Zehra Dogan incarcerata per aver dipinto il quartiere di Sur di
>> Djiarbakir invaso e distrutto dai blindati di Ankara, un quadro
>> diventato famoso come la Guernica kurda. O come Nudem Durak che
>> suonava la chitarra e cantava la pace, per lei si sono mobilitati
>> Roger Water dei Pink Floyd e Pete Townshend dei Who. O Salahattin
>> Demirtas, deputato e co-leader (insieme a Figen Yuksekdag anche lei
>> arrestata) dell’Hdp, Partico democratico dei popoli, arrestato il 4
>> novembre 2016 accusato di terrorismo per aver avuto la
>> sfacciataggine di presentarsi alle elezioni con il suo partito e di
>> aver spuntato più del 13% di voti, superando così lo sbarramento,
>> unico al mondo, del 10% di voti per poter accedere al parlamento
>> turco. Qualcosa che Erdogan non poteva accettare, e così annullava
>> le elezioni e annunciava elezioni supplettive spuntando la vittoria
>> assoluta e già che c’era, mentre il Rojava era sotto attacco
>> dell’Isis, lanciava la “guerra totale”. Oltre Sur, il quartiere
>> curdo di Djiarbakir, sarà la volta di Cizre, di Silopi, di Nusaybin,
>> di Yukse Kovo, di Afrin. Durerà un anno e mezzo, le vittime civili
>> saranno 1200, 30 le città curde aggredite, quasi 500mila sfollati.
>> Sono gli anni in cui le milizie curde, insieme alla coalizione
>> internazionale, riconquistano i territori occupati dall’Isis, sino a
>> costringere gli estremisti alla resa definitiva; sono gli anni in
>> cui il mondo esalta le combattenti curde, le magnifiche donne con il
>> fucile in mano che ci difendono dai tagliagole di Daesh. Tra le
>> centinaia di giovani donne curde morte per salvare anche noi c’è
>> Ayse Deniz Karacagil. Ayse è turca, giovanissima è tra le tante e i
>> tanti che partecipano ai movimenti iniziati per Gezi Park. Si batte
>> in difesa dell’ambiente e delle minoranze, per democrazia e
>> giustizia, contro il Partito di governo che vorrebbe abolire il
>> divieto ai matrimoni con spose bambine, pratica diffusa in Turchia
>> anche fra i curdi non politicizzati. Lei è di Antalya e scende in
>> piazza nella sua città, indossando in foulard rosso intorno al capo.
>> Arrestata sarà condannata all’enormità di 98 anni. Il reato più
>> grave che le viene contestato è il foulard rosso; rosso come il
>> socialismo, rosso come la bandiera del Pkk, sostengono i giudici del
>> tribunale. Quattro mesi di carcere ed è scarcerata in attesa di
>> giudizio ma, avuta la notizia della sentenza, scompare. Ayse arriva
>> a Kandil e si unisce alle Forze Democratiche Siriane, cade in
>> combattimento il 29 maggio 2017 nel corso delle operazioni militari
>> per la liberazione di Raqqa, la roccaforte dell’Isis in Siria.
>> Zerocalcare la disegna in Kobane Calling e Roberto Vecchioni le
>> dedicherà una canzone. Questa:
>>
>> Ti penso amore mio che sei lontano
>> Ti penso con il mio fucile in mano
>> Tu forse crederai che io sia pazza
>> Che queste non sono cose da ragazza
>>
>> E invece viene un giorno nella vita
>> che scegli e se non scegli l'hai tradita
>> e non importa se si vive o muore
>> piangere gioia o ridere dolore
>>
>> Questa curva di sole nel tramonto di Raqqa
>> mi disegna nel cuore l'arco della tua bocca
>> ho tagliato i capelli ho sfidato la rabbia
>> i miei giorni più belli sono lacrime e sabbia
>>
>> Noi siamo di una patria senza terra
>> noi siamo curdi naufraghi di guerra
>> è l’alba e coi compagni sto partendo
>> e parto e coi compagni sto cantando
>>
>> Ho in me tutte le favole di un tempo
>> intorno a un fuoco acceso e ora spento
>> e seguo il filo di una ninna nanna
>> chiedendomi se ho messo il colpo in canna
>>
>> C’era un drago di fuoco che sbarrava la strada
>> ma non teme nemico un eroe con la spada
>> ma non ho mai capito come andava a finire
>> che succhiandomi il dito cominciavo a dormire
>>
>> È il 29 maggio e non ho sonno
>> e qui c'è proprio il drago di mio nonno
>> saprò questa volta come va a finire
>> che non ho proprio tempo di dormire
>>
>> Qui sparano li sento e non li vedo
>> qui sparano e mi sa che mi hanno preso
>> ma non temere amore non è niente
>> mi brucia un po’ ma in fondo non si sente
>> metti il pane nel fuoco, versa il vino migliore
>> che ritorno tra poco è questione di ore
>> spazza tutte le foglie che l’autunno è passato
>> quando l’odio si scioglie che sia verde il mio prato
>>
>> Se qualcuno me lo trova addosso
>> riporti a casa il mio cappuccio rosso
>>
>> È una collaborazione fra servizi segreti - turchi (il Mit),
>> israeliani (il Mossad), statunitensi (la Cia) - che porta al
>> sequestro di Öcalan avvenuto a Nairobi il 15 febbraio 1999 grazie
>> anche a Massimo D’Alema, allora primo ministro italiano, che, di
>> fronte alle richieste pressanti di Bill Clinton e della segretaria
>> di stato Madeleine Albright, spinge Öcalan a lasciare
>> “spontaneamente” l’Italia e a vagare dalla Grecia a Nairobi dove lo
>> aspettavano specialisti addestrati in rapimenti. Ma se la Turchia
>> sperava di decapitare il movimento kurdo si sbagliava, cento, mille
>> fiori di resistenza sono sbocciati nonostante le dichiarate guerre
>> di sterminio, gli arresti indiscriminati di intellettuali,
>> parlamentari, artisti, le uccisioni extragiudiziali, la tortura.
>> Anzi la bellezza, la determinazione, la fierezza, delle donne kurde
>> ha conquistato i cuori di quelle donne di Occidente che non si sono
>> ancora arrese alla supremazia della merce. A Berlino nel 2022
>> eravamo in 700 arrivate da cinquanta paesi ad ascoltare le proposte
>> di questa rivoluzione democratica che parte dalla martoriata terra
>> di Rojava dove la jineoloji, la rivoluzione delle donne,
>> l’autogoverno, l’autodifesa, la critica e l’autocritica, la messa in
>> discussione della mascolinità tossica, il rispetto di tutte le fedi
>> e di tutti i generi è pratica nel presente. Noi c’eravamo ed è stato
>> come un bagno di speranza e la scoperta di un solido progetto. Jin
>> Jihan Azadi a tutte e tutti. Donna vita libertà.
>>
>> --
>> Roberto Mapelli
>> Cell. 3341319518
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Inviato da iPhoneInizio messaggio inoltrato:Da: Rosella Simone <rosellasimone@???>Data: 2 ottobre 2023, 10:36:01 CESTA: Cristina Morini <cris.morini@???>, Tiziana Villani <ti.villani@???>, Rossa Tidei <rossanatidei@???>, roberto melone <robertomelone2015@???>, ada.donno@???, stefania f <steefais@???>, Andreas Zangardi <andreas.zangardi@???>, Caterina Gerardi <caterina@???>, Giorgio Moroni <moronigf@???>, giorgio riolo <giorgio.riolo@???>, giulia bausano <gyubau@???>, Giuliana Peyronel <giuliana.peyronel@???>, cristian.pintus1971@???Oggetto: I: scheda libro BERXWEDAN per pubblicizzazioneInviato da iPhoneInizio messaggio inoltrato:Da: Roberto Mapelli <roberto.mapelli@???>Data: 1 ottobre 2023, 09:34:22 CESTA: la.sch@???, Diego Schrader <diegoschrader@???>, Rosella Simone <rosellasimone@???>, Ele Ele <eleonora.bonaccorsi@???>, Silvana Barbieri <silbarbieriao@???>, Lucia Agrati <lagrati@???>Oggetto: scheda libro BERXWEDAN per pubblicizzazioneNovità Edizioni Punto RossoLaura SchraderBERXWEDANLa resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di ErdoganCon un contributo di Ayney ÖcalanPrefazione di Silvana Barbieri e Rosella SimoneProtetto dallo scudo dell’Alleanza Atlantica Erdogan, da vent’anni al potere, prosegue con ogni mezzo la politica di genocidio contro la popolazione del Kurdistan in Turchia, Siria, Irak.Attraverso i ritratti di persone e di eventi queste pagine disegnano vividamente un quadro di atroci violazioni dei diritti umani, un’inaccettabile ingiustizia.Alla guerra di annientamento il popolo kurdo resiste. Resiste e combatte nella memoria amatissima di donne e uomini martiri della guerriglia. Resiste e brucia nelle ferite dei bambini colpiti dalle armi chimiche del secondo esercito Nato. Resiste e vive nel ricordo delle donne simbolo di libertà, assassinate dai sicari, dai droni, dalla furia jihadista degli alleati di Ankara. Resiste e chiama dalle carceri che chiudono migliaia di voci della politica e della società civile.Resiste e sogna nel cuore delle famiglie private di tutto, costrette alla desolazione dei campi-profughi. Resiste e crede in una strada di pace e democrazia nata dal pensiero del suo leader Abdullah Öcalan.Laura Schrader ha pubblicato Canti d'amore e di libertà del popolo kurdo (Newton Compton), I fuochi del Kurdistan. La guerra del popolo kurdo in Turchia (Datanews), Sulle strade del Kurdistan (Ega), Serhildan (Epos), Il diritto di esistere. Storie di Kurdi e Turchi insieme per la libertà (Ega), Sherko Bekas. Scintille di mille canzoni (Ismeo), Canti d'amore e di libertà. I fuochi di Nawroz (End). Tra i saggi: La resistenza kurda in Turchia e in Irak (Centro Studi Capitini), Lingua e cultura del popolo kurdo come strumento di lotta di liberazione (Università Statale di Milano), La repressione nel Kurdistan iracheno (Convegno internazionale di Firenze “Kurdistan”), Il massacro chimico di Halabja (Centro Ricerche dell'Università di Trieste), Öcalan e le radici del confederalismo democratico (Conferenza sul pensiero di Öcalan, Livorno). E’ co-fondatrice dell’Istituto Internazionale di Cultura kurda di Roma e fa parte del comitato Time has come - Freedom for Öcalan. E' presidente onoraria di Udik-Unione Donne Italiane e Kurde.ISBN 9788883512933, Pagg. 160, 18 euro.Il libro può essere richiesto direttamente scrivendo a edizioni@???Edizioni Punto RossoViale Monza 255, 20126 Milanoedizioni@??? –
www.puntorosso.it*****************Prefazionedi Silvana Barbieri e Rosella SimoneIl 20 febbraio 2018 l’esercito turco insieme al famigerato Esercito Libero Siriano, copertura dell’Isis pagata dalla Turchia, aveva lanciato l’ennesima offensiva contro la Siria occidentale, la regione autonoma del Rojava dove nei villaggi curdi si stava sperimentando l’autogoverno. I due eserciti bombardarono i villaggi, uccisero uomini, bambini e, con particolare ferocia e compiacimento, le donne; distrussero tutto quello che aveva a che fare con l’identità e la cultura di quell’area della Mesopotamia, dai siti archeologici agli alberi di ulivi, coltivazione tradizionale in quella parte di mondo, per cancellare il presente e il passato del popolo curdo. Quel massacro i turchi lo avevano chiamato Ramo d’ulivo! Macabra ironia o strategia di comunicazione, visto che oggigiorno anche le guerre di sterminio si vendono come prodotti di largo consumo. Quando gli eserciti aggressori entrarono in Afrin nel distretto di Aleppo, l’esaltazione distruttiva raggiunse il culmine. Nella piazza centrale, il secondo esercito per potenza di fuoco della Nato si accanì contro una statua, quella di Kawa: “l’eroe del mito di fondazione dell’identità kurda, il fabbro che uccise il tiranno coronato da serpenti e con il fuoco acceso sulla vetta della montagna comunicò al suo popolo l’avvento di Newroz, il nuovo giorno, la conquista della libertà”, spiega Laura Schrader in Berxwedan. Libro, intenso e documentatissimo in cui l’autrice ci racconta la resistenza del popolo kurdo contro il tentativo protratto di genocidio da parte dei governi turchi. Libro emozionante e coinvolgente capace di spiegare a noi occidentali quello che sta succedendo in Medio oriente e come il destino difficile dei kurdi si sia scontrato e si scontri con le strategie delle grandi potenze mondiali in contesa fra loro per il dominio del mondo. Ma perché accanirsi contro una statua, contro una leggenda? Perché Kawa è un simbolo, un simbolo universale della lotta dei popoli contro gli oppressori. Kawa è per i kurdi quello che per noi occidentali, in particolare per chi si rifà al pensiero marxiano, è Prometeo, il Titano che generosamente rubò il fuoco agli dei dell’Olimpo per regalarlo agli uomini e, per questo, fu condannato da Zeus ad essere incatenato in eterno a una rupe altissima mentre un’aquila gli devastava il fegato ogni notte. Un giovane Karl Marx appena 23enne nella sua tesi di laurea scrive: “Prometeo - questo personaggio indocile, ribelle, indisciplinato, che non accoglie la tirannide di Zeus - è il più grande santo e martire del calendario filosofico”. Il simbolo, insomma, dell’eterna lotta di classe, colui che riconosce come unica divinità l’autocoscienza umana. Kawa, il prometeo mesopotamico, è il simbolo incarnato nella lotta di ogni resistente kurdo. E Abdullah Öcalan, l’ispiratore, il teorico, il combattente fondatore del Pkk ne è, in qualche modo, la proiezione terrena, anche lui incatenato da 25 anni nell’isola di Imrali, sottoposto alla tortura dell’isolamento e all’arbitrio dei suoi carcerieri eppure capace, ancora e sempre, di rimanere l’irriducibile combattente pronto ad andare incontro alla pace. Lo spiega bene Laura nel suo libro quando sottolinea e ribadisce più volte, ripetizione necessaria per entrare nelle nostre teste colonizzate dalla comunicazione main stream, le reiterate offerte di pace proposte dai kurdi al governo turco. Da parte del
Pkk, ci sono stati ben quattro cessate il fuoco unilaterali: il primo nel lontano 1990, riproposto nel 1993 e poi nel 2006 e ancora nel 2009 e ben due Gruppi di pace, uno nel 1999, l’altro nel 2009. In entrambe i casi, un gruppo di otto guerrilleri si consegnava inerme al nemico turco, nel tentativo di testimoniare la leale volontà di pace di tutto il popolo kurdo e dei suoi militanti armati. Entrambe le volte i portavoce di questo desiderio di pace sono stati arrestati, torturati e condannati a decine di anni di carcere. Una testimonianza speciale di questi avvenimenti la si può leggere in Ho lasciato il fucile in montagna, edizione Punto rosso, diario commovente ed esaltante, scritto nel 1999, dalla guerrigliera curda Yügsel Genç, una dei componenti di quel primo drappello di coraggiosi messaggeri di pace. Non ci pare un caso che il nome di battaglia di Yügsel fosse Jiyan, Vita in italiano, perché ci vuole amore per la vita per andare oltre le armi.Questo e molto altro troverete in questo libro, indispensabile per chi voglia approfondire oltre la cronaca la lunga resistenza del popolo kurdo e insieme capire le complesse vicende che attraversano il Medio oriente. Un’area del mondo squassata da troppi conflitti intersecati tra loro che vedono muoversi, pedine di attori più potenti, tutti gli stati, i popoli, le diverse etnie e le varie religioni che popolano dalla notte dei tempi la Mesopotamia. Un’area che, con la fine della prima guerra mondiale e lo smantellamento dell’impero ottomano, è stata saccheggiata dagli imperi coloniali che se la sono spartita fra di loro; poi, dalla fine della Seconda grande guerra, dilaniata da una guerra non dichiarata tra le grandi potenze globali, Stati uniti d’America, Russia, e, anche se, per ora, indirettamente, la Cina. Un’area che va dal Mar Nero al Mediterraneo sino al canale di Suez, crogiolo di infinite etnie, lingue, religioni e, da sempre, terra di raccordo tra Occidente e Oriente; da lì passano i cereali e i fertilizzanti russi e ucraini, la via del petrolio e la via della seta. Da lì passa il controllo del mondo. In questo scacchiere ognuno gioca la sua parte cercando di sopravvivere in un contesto in cui le alleanze sono infide come le sabbie mobili. L’asse Usa-Israele è certamente il più solido. Israele è il gendarme dell’Occidente in terra d’Oriente, pagato, sostenuto e armato dagli Usa e, per questo, può fare ciò che vuole con il popolo palestinese da tempo abbandonato dall’Europa che ha venduto, come Giosuè, la sua primogenitura nell’area del Mediterraneo per il piatto di lenticchie che gli hanno rifilato i vari presidenti statunitensi. E naturalmente c’è la Turchia con le sue ossessioni di grandezza ottomane, in piena crisi economica e una svalutazione a due cifre, con la fissa fin dai tempi di Ataturk di uno stato monoetnico e monoculturale, qualcosa di simile alla “difesa della razza” e quindi con diritto di sterminio. Vedi il genocidio armeno degli anni venti e il tentativo annoso di eliminare la cultura, le tradizioni e l’identità etnica religiosa di tutti quelli - arabi, kurdi aleviti, yazidi, cristiani copti- che non si considerano turchi. Recep Tayyd Erdogan, sultano in carica, dal 2003 come Primo ministro e dal 2014 come Presidente della Repubblica, ha dimostrato e praticato un odio incurabile contro tutte le etnie non turche, in special modo, i kurdi. Il popolo che ha trovato la forza di resistere al progetto di annientamento messo in atto da Istanbul sin dagli albori della Turchia moderna. Non a caso questo libro s’intitola Berxwedan che potremmo tradurre con “resistenza” ma la cui etimologia dice molto di più. La parola è composta da ber, il verbo “dare”; xwe che significa “te stesso” e dan “davanti” che aggiunge alla parola resistenza un’idea di energia, di spinta in avanti, nonché di ferma determinazione a impegnare tutto se stessi nella lotta. E questo i kurdi lo hanno capito, soprattutto le donne kurde che hanno aggiunto alla resistenza di un popolo la loro determinazione a sconfiggere il patriarcato partendo dal riconoscimento dell’oppressione originaria che è stata il dominio patriarcale sul corpo creatore delle donne.In questo libro Laura Schrader racconta i fatti e gli antefatti della lunga storia di resistenza dal popolo kurdo contro la volontà di annientamento della Turchia. Dal trattato di Sevres del 1920 che prevedeva come effetto della dissoluzione dell’impero ottomano la nascita di diverse nazione, compreso uno stato kurdo per una etnia che, già allora, contava circa quaranta milioni di popolo. Al tradimento del trattato di Losanna, 1923, che dimentica il Kurdistan per favorire la corona d’Inghilterra e regalarle il protettorato di uno stato fasullo, l’Iraq. Ma chi se ne frega dei popoli che da millenni abitano quelle terre, com’è tradizione i conquistatori scacciano i conquistati che, se gli va bene, diventano degli sfollati, dei senza terra, se va peggio vengono sterminati senza pietà. Per i kurdi sono gli anni dell’umiliazione, della miseria materiale e culturale e poi, nel 1978, un nuovo desiderio di dignità e riscatto porta alla nascita del Pkk (Partîya Kerkéren Kurdîstan), Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Si tratta di un piccolo gruppo di giovani, nessuno di loro appartiene alla classe dirigente, tra questi Abdullah Öcalan e Sakiné Cansiz, la leggendaria compagna Sara uccisa insieme a due altre militanti curde a Parigi il 9 gennaio 2013. Laura Schrader, scrive da “partigiana”, è dagli anni ottanta che, da giornalista, si occupa della questione kurda e ha imparato a conoscere e ad amare quel popolo, le sue tradizioni e le sue proposte politico-filosofiche e si è fatta militante delle loro ragioni. Berxwedan quindi è un libro di storia, quella della resistenza kurda, raccontata da chi la conosce intimamente e ne condivide la visione del confederalismo democratico e lo dichiara. E questo, crediamo sia per una giornalista l’unico modo onesto di essere “oggettiva”: dichiarare apertamente da che parte sta e motivare la sua scelta raccontando, con la massima lucidità, gli avvenimenti che segnano quel processo. E lei ci accompagna, passo passo, senza dimenticare nulla, attraverso quella epopea dolorosa che i kurdi stanno compiendo da Serhildan, il giorno in cui hanno alzato la testa, questo il significato di Serhildan, sino ad oggi. Il Pkk nasce, come abbiamo detto, nel 1978, con l’intento di portare avanti una lotta anticolonialista, sociale e di classe. In questa prospettiva fondano l’Ergk, Fronte di liberazione del Kurdistan, che si affianca ai molti altri Fronti di liberazione nati nella seconda metà del novecento in tutti i paesi o sotto il dominio coloniale o sotto il tallone di ferro di dittature feroci. Con una particolarità che lo distingue da tutti gli altri: l’Argk, un esercito di sole donne. All’epoca, alle spalle di questi movimenti di liberazione sparsi nei terzi mondi del pianeta c’erano l’Unione sovietica e, anche se in tono minore, la Cina. Quando nel 1989 crolla l’Unione Sovietica i dirigenti kurdi sono costretti a riflessioni che li portano a un salto teorico di grande qualità e audacia passando dal centralismo democratico al confederalismo democratico; dalla rivoluzione in due tempi alla jineoloji, la rivoluzione delle donne; dall’analisi del capitalismo all’analisi del patriarcato, alla valorizzazione delle comunità interetniche, al potere di governo condiviso tra uomo e donna, alla visione di un mondo fondato sulla conciliazioni tra etnie e religioni, ecosostenibile e capace di coniugare l’etica con l’estetica. Anche la strategia nei confronti della Turchia cambia, i kurdi non chiedono più l’indipendenza ma propongono una federazione turco-kurda. In questo modo trasformano la loro proposta da liberazione nazionale in rivoluzionaria, buona per riscattare il pianeta intero. Un pericolo insopportabile per i nazionalisti e i capitalisti globali. Ma per la Turchia kemalista come per quella islamista di Erdogan i kurdi sono “terroristi” da annientare con il beneplacido de
gli Stati Uniti impegnati in quegli anni a fronteggiare la crisi del petrolio e ad accaparrarsi le aree che prima della caduta del muro di Berlino erano sotto l’influenza russa. Per realizzare tutto questo ci vuole una bella guerra. Sarà George H.W. Bush padre a lanciare la Prima guerra del Golfo creando i presupposti per la destabilizzazione della zona. La stessa strategia porteranno avanti i democratici Bill Clinton, Barak Obama e infine Joe Biden. Perché il liberismo non può tollerare un altro modello politico economico che non sia se stesso e l’Islam del secondo millennio cerca nel radicalismo il riscatto da troppi secoli di umiliazioni. Ed è guerra, la terza guerra mondiale che ci ha accompagnato sino ad oggi e che non pare essere disponibile a una tregua. Una guerra “combattuta a pezzi”, come dice papa Bergoglio. E allora la Turchia anche se dal kemalismo è passata alla jihadismo gioca per sé con spregiudicatezza su i due tavoli delle potenze mondiali; si è inventato il ruolo di mediatore, un mediatore ambiguo e spesso criminale, ma, come ci ha spiegato Mario Draghi a suo tempo, è il “nostro” criminale. Va bene anche se la Turchia è il paese dei colpi di stato, nel 1960, nel 1971, nel 1980, e se non c’è se lo inventano, come il colpo di stato del 2016 che è servito ad Erdogan per fare piazza pulita di migliaia di possibili oppositori o antipatizzanti annidati nell’esercito, nel parlamento, nella magistratura, nel giornalismo, fra gli intellettuali e la gente comune. In Turchia, un paese di 85 milioni di abitanti, i detenuti sono circa 380.000, pare che nell’ultimo anno dopo il terremoto e le elezioni, successo fragile di Erdogan, le detenzioni siano cresciute del 118%. Di questi 80.000, dico ottantamila, sono accusati di terrorismo; sono attivisti, giornalisti, scrittori, artisti, musicisti, avvocati, accademici, parlamentari, sindaci, tutti dietro le sbarre con condanne pesanti, sottoposti a sovraffollamento, a continue minacce e pressioni, a tortura fisica, isolamento, impossibilitati a difendersi. Alcuni nomi hanno fatto il giro del mondo come quello del filantropo turco Osman Kavala condannato all’ergastolo ostativo perché accusato di essere tra gli organizzatori della occupazione di Gezi Park del 2013, la protesta pacifica per impedire la cementificazione dell’ultimo parco verde nel centro storico di Istanbul attaccata brutalmente dalla polizia che ha fatto 11 morti, 8163 feriti e oltre 4900 arrestati. Come Zehra Dogan incarcerata per aver dipinto il quartiere di Sur di Djiarbakir invaso e distrutto dai blindati di Ankara, un quadro diventato famoso come la Guernica kurda. O come Nudem Durak che suonava la chitarra e cantava la pace, per lei si sono mobilitati Roger Water dei Pink Floyd e Pete Townshend dei Who. O Salahattin Demirtas, deputato e co-leader (insieme a Figen Yuksekdag anche lei arrestata) dell’Hdp, Partico democratico dei popoli, arrestato il 4 novembre 2016 accusato di terrorismo per aver avuto la sfacciataggine di presentarsi alle elezioni con il suo partito e di aver spuntato più del 13% di voti, superando così lo sbarramento, unico al mondo, del 10% di voti per poter accedere al parlamento turco. Qualcosa che Erdogan non poteva accettare, e così annullava le elezioni e annunciava elezioni supplettive spuntando la vittoria assoluta e già che c’era, mentre il Rojava era sotto attacco dell’Isis, lanciava la “guerra totale”. Oltre Sur, il quartiere curdo di Djiarbakir, sarà la volta di Cizre, di Silopi, di Nusaybin, di Yukse Kovo, di Afrin. Durerà un anno e mezzo, le vittime civili saranno 1200, 30 le città curde aggredite, quasi 500mila sfollati. Sono gli anni in cui le milizie curde, insieme alla coalizione internazionale, riconquistano i territori occupati dall’Isis, sino a costringere gli estremisti alla resa definitiva; sono gli anni in cui il mondo esalta le combattenti curde, le magnifiche donne con il fucile in mano che ci difendono dai tagliagole di Daesh. Tra le centinaia di giovani donne curde morte per salvare anche noi c’è Ayse Deniz Karacagil. Ayse è turca, giovanissima è tra le tante e i tanti che partecipano ai movimenti iniziati per Gezi Park. Si batte in difesa dell’ambiente e delle minoranze, per democrazia e giustizia, contro il Partito di governo che vorrebbe abolire il divieto ai matrimoni con spose bambine, pratica diffusa in Turchia anche fra i curdi non politicizzati. Lei è di Antalya e scende in piazza nella sua città, indossando in foulard rosso intorno al capo. Arrestata sarà condannata all’enormità di 98 anni. Il reato più grave che le viene contestato è il foulard rosso; rosso come il socialismo, rosso come la bandiera del Pkk, sostengono i giudici del tribunale. Quattro mesi di carcere ed è scarcerata in attesa di giudizio ma, avuta la notizia della sentenza, scompare. Ayse arriva a Kandil e si unisce alle Forze Democratiche Siriane, cade in combattimento il 29 maggio 2017 nel corso delle operazioni militari per la liberazione di Raqqa, la roccaforte dell’Isis in Siria. Zerocalcare la disegna in Kobane Calling e Roberto Vecchioni le dedicherà una canzone. Questa:Ti penso amore mio che sei lontanoTi penso con il mio fucile in manoTu forse crederai che io sia pazzaChe queste non sono cose da ragazzaE invece viene un giorno nella vita che scegli e se non scegli l'hai tradita e non importa se si vive o muore piangere gioia o ridere dolore Questa curva di sole nel tramonto di Raqqa mi disegna nel cuore l'arco della tua bocca ho tagliato i capelli ho sfidato la rabbia i miei giorni più belli sono lacrime e sabbia Noi siamo di una patria senza terra noi siamo curdi naufraghi di guerra è l’alba e coi compagni sto partendo e parto e coi compagni sto cantando Ho in me tutte le favole di un tempo intorno a un fuoco acceso e ora spento e seguo il filo di una ninna nanna chiedendomi se ho messo il colpo in canna C’era un drago di fuoco che sbarrava la strada ma non teme nemico un eroe con la spada ma non ho mai capito come andava a finire che succhiandomi il dito cominciavo a dormireÈ il 29 maggio e non ho sonno e qui c'è proprio il drago di mio nonno saprò questa volta come va a finire che non ho proprio tempo di dormire Qui sparano li sento e non li vedo qui sparano e mi sa che mi hanno preso ma non temere amore non è niente mi brucia un po’ ma in fondo non si sente metti il pane nel fuoco, versa il vino migliore che ritorno tra poco è questione di ore spazza tutte le foglie che l’autunno è passato quando l’odio si scioglie che sia verde il mio prato Se qualcuno me lo trova addosso riporti a casa il mio cappuccio rossoÈ una collaborazione fra servizi segreti - turchi (il Mit), israeliani (il Mossad), statunitensi (la Cia) - che porta al sequestro di Öcalan avvenuto a Nairobi il 15 febbraio 1999 grazie anche a Massimo D’Alema, allora primo ministro italiano, che, di fronte alle richieste pressanti di Bill Clinton e della segretaria di stato Madeleine Albright, spinge Öcalan a lasciare “spontaneamente” l’Italia e a vagare dalla Grecia a Nairobi dove lo aspettavano specialisti addestrati in rapimenti. Ma se la Turchia sperava di decapitare il movimento kurdo si sbagliava, cento, mille fiori di resistenza sono sbocciati nonostante le dichiarate guerre di sterminio, gli arresti indiscriminati di intellettuali, parlamentari, artisti, le uccisioni extragiudiziali, la tortura. Anzi la bellezza, la determinazione, la fierezza, delle donne kurde ha conquistato i cuori di quelle donne di Occidente che non si sono ancora arrese alla supremazia della merce. A Berlino nel 2022 eravamo in 700 arrivate da cinquanta paesi ad ascoltare le proposte di questa rivoluzione democratica che parte dalla martoriata terra di Rojava dove la jineoloji, la rivoluzi
one delle donne, l’autogoverno, l’autodifesa, la critica e l’autocritica, la messa in discussione della mascolinità tossica, il rispetto di tutte le fedi e di tutti i generi è pratica nel presente. Noi c’eravamo ed è stato come un bagno di speranza e la scoperta di un solido progetto.Jin Jihan Azadi a tutte e tutti. Donna vita libertà.-- Roberto MapelliCell. 3341319518