Su alcuni spiacevoli avvenimenti degli anni 2020
Diversi anni fa comperai del pane e me lo diedero in un sacchetto dove veniva riportata la poesiola a firma di Benito Mussolini che inizia con «Amate il pane». Sorpreso ma anche un po’ divertito ricordo che mostrai il sacchetto a Carlo Ginzburg, che commentò: «Ah, la lunga durata!». Questo fatto mi è tornato alla mente, leggendo in “Dialoghi mediterranei” (n.54, 1 marzo 2022) il saggio di Fabio Dei Il De Martino: metamorfosi di una rivista, al centro dell’educazione sentimentale di una generazione.
Non perderei tempo a rispondere alla sequela di stupidaggini che ho letto, se non mi rendessi conto che l’immagine che viene tratteggiata dell’Istituto Ernesto de Martino e della sua rivista può essere presa per buona da chiunque dell’argomento non sa niente, come del resto l’estensore del saggio.
La “lunga durata” in questo caso è l’acredine che ancora alcuni accademici riversano su coloro che l’Istituto
hanno creato, soprattutto colpevoli di essere stati tra i primi a utilizzare le fonti orali nei lavori di ricostruzione storica. Questi lavori, che hanno ormai più di 55 anni, furono visceralmente avversati dall’accademia, che non riuscì a impedire a quella che poi sarebbe stata chiamata storia orale la sua affermazione.
Di questa “lunga durata” resta evidentemente ancor oggi una scia, perché Dei, di questo merito del de Martino, non ne parla.
Così come sembra non accorgersi che l’Istituto Ernesto de Martino è stato fondato proprio per andare oltre la sola razionalizzazione del canto popolare e sociale e la ricerca sul campo che l’aveva fatto affiorare e conoscere in tutta la sua multiforme ricchezza, per invece raccogliere, ordinare, elaborare e utilizzare tutta quanta la cultura orale del mondo popolare e proletario.
Forse se ne sarebbe accorto se avesse letto l’editoriale di Franco Coggiola Per un rilancio dell’Istituto sul primo numero del 1992 del “Bollettino” (che dal numero 10 del 2000 Ivan Della Mea decise di chiamare “Rivista”, anche se tra il “Bollettino” e la “Rivista” non era cambiato proprio niente).
Tra l’altro quel “Bollettino” non è affatto nato «per rafforzare il rilancio dell’Istituto Ernesto de Martino nel momento del trasferimento da Milano a Sesto Fiorentino», che è forse solo un mito di fondazione del nuovo gruppo che è subentrato a quello che la rivista aveva creato e messo in piedi. Non è casuale che chi ne ha curato il primo numero, Filippo Colombara e il sottoscritto, sia stato tenuto all’oscuro e di fatto marginalizzato dalla progettazione della nuova vita della rivista, che apprendo ora dall’editoriale del numero 31 essere stata frutto di due anni di incontri.
Va ricordato che già alla creazione della rivista l’area di coloro che operavano “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario” era ampia ed estesa oltre le mura dell’Istituto de Martino a Milano. Coggiola segnalava già allora la presenza di gruppi di ricercatori collegati al de Martino e, senza pretesa di completezza, ne segnalava i più importanti, cioè il Circolo Gianni Bosio di Roma, la Lega di cultura di Piàdena, il gruppo di Bergamo e il Gruppo di Omegna. Da allora quest’area si è ulteriormente rafforzata. Il gruppo di Omegna conta ora due importanti archivi: l’Archivio Cesare Bermani di Orta San Giulio e l’Archivio di Filippo Colombara – Gisa Magenes – Virginia Paravati di Omegna. E nel 1997 iniziava la propria attività la Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino di Venezia, voluta da Antonella De Palma e Franco Coggiola, di cui Ivan Della Mea è stato uno dei soci fondatori. Poco dopo si aggregavano anche le edizioni Kurumuny, guidate da Luigi Chiriatti, che da decenni si dedicava alle ricerche sul campo delle tradizioni popolari del Salento e che sarebbe poi diventato presidente dell’Associazione culturale Ernesto de Martino – Salento, e dal 2004 si avviava a Fosdinovo (Massa Carrara) il lavoro degli Archivi della Resistenza, un’associazione di giovani militanti che praticano la ricerca con l’uso di video interviste e si occupano di organizzazione culturale (vedi il Festival “Fino al cuore della rivolta”).
Giova ricordare, cosa di cui nessuno parla, che queste realtà nate e sviluppatesi attorno all’Istituto de Martino raccolgono nei loro archivi pressoché tanto materiale quanto l’Istituto stesso.
Per quel che riguarda Bergamo, i cui protagonisti di punta sono scomparsi,vanno ricordati almeno due fotografi assai importanti: Carlo Leidi, i cui materiali sono conservati a Spilimbergo, e Riccardo Schwamenthal, le cui fotografie sono state digitalizzate dalla Regione Lombardia; inoltre le ricerche di Sandra e Mimmo Boninelli, considerate il fondo più importante di registrazioni sulla Bergamasca, sono conservate in parte presso la Regione Lombardia, in parte presso la Biblioteca Tiraboschi di Bergamo, in parte presso Sandra stessa; le registrazioni di Marino Anesa sono le uniche acquisite dall’Istituto de Martino, peraltro mai utilizzate e dimenticate. Di questi protagonisti della sua storia l’Istituto de Martino non ha mai fatto menzione in questi anni.
La “Svolta” della rivista in direzione accademica, avvenuta con il numero 31, è stata anticipata dalla mia estromissione dalla redazione della rivista, senza darmene motivazione alcuna che non fosse un presunto dissidio con l’AISO (Associazione Italiana Storia Orale), dato il mio rifiuto di accettarne la tessera onorifica, perché ritengo che il modo con cui Bosio ed io ci siamo occupati di storia con l’uso di fonti orali sia troppo distante dalla storia orale praticata dall’AISO, cosa del resto ben compresa dall’AISO ma non dal de Martino. Questa estromissione io l’ho comunque ritenuta lesiva della mia dignità e questo mi ha spinto a troncare qualunque rapporto con l’Istituto di Sesto Fiorentino.
Trovo curioso che mentre vi è stata un’ampia apertura in direzione del Circolo Gianni Bosio di Roma e della Lega di cultura di Piàdena, siano stati completamente ignorati l’Archivio Cesare Bermani di Orta San Giulio, l’Archivio di Filippo Colombara – Gisa Magenes – Virginia Paravati di Omegna, la Società di mutuo soccorso Ernesto de Martino di Venezia e gli Archivi della Resistenza di Fosdinovo, quest’ultima forse perché associazione formata prevalentemente da giovani ricercatori per lo più privi di titoli accademici e tutti militanti (dal momento che “militante” sembra essere considerata da parte di parecchi di questi “svoltisti” una parolaccia). E anche il gruppo attorno a Luigi Chiriatti e alla casa editrice Kurumuny sembra essere sparito dalla visuale dell’Istituto de Martino.
Che cosa abbia spinto l’Istituto di Sesto Fiorentino a questa sgradevole discriminazione a me non è chiaro. Tra l’altro i nostri archivi sono tra i più ricchi del paese di storie di vita di comunisti di base, ma nel momento in cui si faceva un numero proprio dedicato a quell’argomento non sono stati neanche minimamente considerati.
Se valesse la pena di frantumare questo patrimonio eccezionale per fare, come sembra, una rivista accademica non così dissimile da molte altre, si vedrà in futuro.
Ma compito di questa breve nota è soprattutto quello di difendere una storia dignitosa di sessant’anni da un attacco di chi la storia di questo Istituto conosce poco. Fa solo sorridere che si riduca la nostra conoscenza di Ernesto de Martino al “folklore progressivo”, ignorando le ricerche sulla sua vita e sul mondo magico condotte per molti anni da Gianni Bosio e i suoi successori che, caro Dei, benché tutti militanti, e proprio in un senso demartiniano, non erano così incolti come li fa Lei.
Comunque, visto come si è giunti a un “nuovo ciclo” della rivista, non mi stupisce affatto che Fabio Dei figuri nel comitato scientifico di essa.
Noi esclusi, evidentemente perché non accademici, continueremo comunque a operare “per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario”, fregandocene della spocchia e delle piccinerie di certi accademici di oggi così diversi da quelli che hanno militato con noi dentro a una storia
che qualche peso ha avuto nelle vicende del nostro paese.
Cesare Bermani