[Hackmeeting] sul manifesto hackmeeting

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Durante l’assemblea preHack che si è tenuta al Forte Prenestino il 12
Febbraio 2022 abbiamo discusso parecchio delle questioni relative alla
comunicazione. Come comunichiamo? Chi siamo? Come riusciamo a
coinvolgere persone che sono al di fuori dei nostri giri, come possiamo
allargare la partecipazione agli Hackmeeting? Queste sono state alcune
delle domande poste (ce ne sono state molte altre) e da più parti, in
diversi interventi, sono piovute proposte di autocritica rispetto anche
al testo introduttivo, che da anni è il manifesto degli Hackmeeting (sta
nel link che ho riportato all’inizio).

Di tante cose abbiamo parlato in assemblea, mi fa concentro sulla
questione manifesto Hackmeeting.

Questo manifesto non parla di comunicazione. Non dice neanche granché ma
forse dice tanto.

Ma si porcoddio diamo un senso a tutta questa merda che fondamentalmente
non si sa perché sta scritta là e che cazzo vuol dire.

Provo a dire la mia, non perché mi piaccia ma forse quella roba ha un
suo motivo di esistere.

Al di là delle definizioni, si ragionava insieme del fatto che
“incontro annuale delle controculture digitali italiane” non ci
rappresenta e non ci autorappresenta.

Forse non siamo una controcultura, forse il digitale non ci interessa
neanche più di tanto. Boh, si, che cazzo ne so, io ho provato a fare un
tentativo di ragionamento per cui la questione della comunicazione,
probabilmente non ce la dovremmo neanche porre e vorrei partire da
quello che secondo me è l’esperienza degli Hackmeeting. La mia proposta
di “definizione” (lo metto fra virgolette, visto che non mi piace
neanche questa di parola) di un Hackmeeting è:

Costruzione collettiva di soggettività multiple folli innaturali ed
estemporanee che incidentalmente si incontrano e si scontrano con la
tecnologia.

Provo a spiegare punto per punto.

Hackmeeting è una costruzione collettiva e probabilmente, a mio modo di
vedere, è la più vitale costruzione collettiva alla quale ho partecipato
e alla quale continuo a partecipare da anni. Hackmeeting va al di là
delle persone che la mettono in piedi. E’ qualcosa che si fa fa da sola.
Va oltre le persone che si incontrano e gli danno vita. Per questo uso
la parola soggettività multiple. Non è fatto da soggetti che si
incontrano portando la propria esperienza, i propri saperi, le proprie
macchine. E’ piuttosto un montaggio impersonale, interpersonale e
intermacchinico di tutte queste cose. E’ una costruzione sempre diversa,
è un’esperienza collettiva, che precede, procede ed oltrepassa chi ne fa
parte E’ una creatura mostruosa sempre diversa e schifosamente aliena da
se stessa. Schifosamente aliena perché non ha a che fare con nessuna
natura né con nessuna essenza. Non ha genesi, non ha storia, né
morfologia, né criterio, né ontologia, né ortodossia o riforma. Per
questo è anche folle, innaturale ed estemporanea.

Ha a che fare con la produzione collettiva, col processo, piuttosto che
con il progetto. Non si sa mai come andrà a finire. Eppure funziona, nel
senso che succede ed e' bella ed ogni anno si rifa, ricomincia, succede
e poi finisce. E poi in qualche modo ricomincia, si rifa e risuccede.

Non ha a che fare con chi sei e con chi porti li. Qualunque cosa tu sia,
ci sei e basta.

La parola evento per questo non ci piace.

L’Hackmeeting non è un evento.

Possiamo sostituire la parola evento con situazione o deriva.
HM ha a che fare con un luogo sempre diverso, si dipana in una
configurazione sempre diversa, con configurazioni relazionali
irriconoscibili. Arrivo in qualche modo all’HM poi in 10 minuti conosco
gente che non conoscevo, poi facciamo cose insieme, non so con chi passo
la serata, con chi vado a dormire, anzi poi si lo so, ma non lo so
davvero, poi partecipo ad un 10 Minutes, oppure conosco qualcuno con cui
me ne invento uno al volo? Poi ritorno con altri che già conoscevo ma la
configurazione di quello che faremo è già diversa perché lo stare qui
già l'ha cambiata. Per mia esperienza ogni volta è tutto diverso. E’
qualcosa che non ha a che fare con la ripetizione meccanica, quanto
piuttosto con la ripetizione che diventa un'elevazione a potenza. E 'una
costruzione collettiva di cazzate epocali oppure come dentro un film
dell'orrore vaghiamo come zombie in un lascito epocale dal quale tutti
veniamo e torniamo come se fosse antani. Ci lasciamo andare alla deriva
oltre il rituale abituale delle relazioni, del lavoro, della merda
quotidiana, del divertimento come del delirio quotidiano, per finire in
un qualcosa che neanche noi sappiamo bene cosa sia.

E infatti parliamo di hacking:
«deviare, sviare, stornare, distrarre, traslare; sottrarre, trafugare;
rimuovere, smuovere; rivolgere in senso opposto, ribaltare,
riconvertire; ritrovare, rinvenire, raccattare». E’ l’uso e il riuso di
prodotti «trafugati» e riconvertiti in un nuovo contesto, per una
costruzione superiore di un ambiente – deviazione.

In questo senso siamo senz’altro una controcultura (o forse sarebbe
meglio usare il termine sottocultura). L’Hackmeeting non ha nulla di
linguistico, non riguarda le forme di potere, di inquadramento, di
irrigidimento, di cristallizzazione che il linguaggio porta con sé.

Siamo uno stile come ha detto qualcuno ieri sera, non siamo fenomeno di
costume. Lo stile è di per sé una forma di rifiuto e di conflitto
rispetto al presente, abbiamo ha a che fare con l’innaturale, con il
montaggio, con il riassemblaggio di pezzi inutili, trovati qua e là in
una configurazione temporanea, a sua volta inutile, perché non può avere
né valore d’uso né valore di scambio. Queste configurazioni esistono e
servono il tempo necessario per viverle insieme e poi restano li come
vecchie bambole distrutte, bastarde ed inutili, in attesa di essere
nuovamente smontate per diventare qualcos’altro. La tecnologia è dunque
questo stesso processo che vede insieme elementi diversi (oggetti,
macchine, persone, luoghi, relazioni, incontri) assemblati
provvisoriamente nel mostro Hackmeeting. Non sappiamo che farcene delle
tecnologie già date. Quello che possiamo fare è costruire mondi sulla
base di quanto e’ già successo, succede ora o probabilmente succederà
domani, pensando a che ci serve per essere noi stesse. Il problema non è
la comunicazione. E' piuttosto che cosa siamo di volta in volta. E a
volte non siamo nulla e a volte siamo tutto.

E per finire credo che tutto questo sia digitale solo nel senso che ha a
che fare con le dita perché ci si mettono le mani dentro. Ha sicuramente
ha che fare anche con l’analogico, come con lo scorrere ed il fluire,
come la con la masturbazione. E' davvero necessario porsi il problema
della masturbazione rispetto alla questione del fallo e della
copulazione? E quindi davvero ci poniamo il problema della comunicazione
rispetto a ciò che non trova soluzione linguistica?

Io trovo che tutto questo sia letteralmente indicibile, incomunicabile.
Non ha letteralmente senso né significato. Non ha a che fare con
qualcosa che deve avere per forza una sua applicazione, E’ una pratica
collettiva alla quale non possiamo fare altro che invitare a partecipare.

Insomma il mio tentativo era di cercare di dare senso a quel breve
manifesto, anche se in fondo tutta la questione non ha alcun senso.

ciao
scarph