[peer_to_peer] La grande illusione dei Big Data. Gli algorit…

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La grande illusione dei Big Data. Gli algoritmi comprendono davvero il
mondo?
19 min lettura

https://www.valigiablu.it/illusione-big-data/

Nel 2009 l’azienda telefonica Nokia era ancora leader di mercato nei
paesi emergenti come la Cina. Aveva investito molto nei Big Data e aveva
deciso che il suo modello di business sarebbe stato quello di produrre
smartphone di fascia alta, per l’élite. L’etnografa Tricia Wang, invece,
condusse una ricerca sul campo, e suggerì di concentrarsi non su una
minoranza selezionata, ma su un pubblico più vasto: gli utenti a basso
reddito secondo lei sarebbero stati disposti a pagare per smartphone più
costosi (era l’epoca degli Shanzai phone). I dirigenti della Nokia
rigettarono le conclusioni di Wang, sostenendo che il suo campione di
100 persone era “debole” rispetto all’immensa quantità di dati di cui
disponeva l’azienda: nessuno degli indicatori quantitativi dei Big Data
supportava la sua teoria.

Il modello di sviluppo di Nokia fu un disastro. Nel 2013 l’azienda fu
assorbita dalla Microsoft e la sua quota di mercato oggi si è ridotta
fino allo 0,7%.

*... *Cosa manca ai Big Data?

I Big Data sono una lente potente e liberatoria per poter osservare il
nostro mondo, e possono essere particolarmente utili in sistemi che sono
coerenti nel tempo, con proprietà semplici e ben caratterizzate, poche
variazioni imprevedibili e una complessità sottostante relativamente
ridotta. Ma non importa quanto siano grandi quei Big Data, è solo
un’istantanea, un momento nel tempo. Analizzando i Big Data abbiamo
l’impressione di vedere l’intero mondo con estrema chiarezza, ma è solo
un’illusione. Secondo Kate Crawford i Big Data soffrono di una serie di
problemi.

1. Bias: i dataset sono pieni di pregiudizi, occorre verificare da dove
vengono i dati e quale è il contesto perché essi abbiano un valore,
insomma occorre conoscerne il significato.

2. Rappresentanza (signal): nella rappresentazione dei Big Data mancano
sempre delle categorie, facciamo delle scelte ogni volta che decidiamo
di usare dei dati.

3. Scala: nell’enorme quantità dei dati i fenomeni piccoli non emergono,
ma quei fenomeni sono esseri umani come tutti gli altri.

*...* Questa forma di controllo finisce per essere non solo una
“sorveglianza”, ma sempre più un indottrinamento, perché organizzano il
nostro sapere, moderando e censurando (sempre più spesso richiesti in
tal senso dagli Stati) quello che leggiamo e assorbiamo, plasmando le
nostre scelte e la nostra visione del mondo. L’ecosistema digitale non è
più un ambiente di conoscenza (spesso censurata con la scusa del
copyright) quanto un luogo di inserimento di dati, il cui scopo è il
consumo piuttosto che la comprensione critica per una crescita sociale,
consumo di prodotti e servizi, consumo di idee, indignazione, slogan e
programmi politici, che durano lo spazio di una pubblicità.

*...*Perché prestare attenzione alla volontà dei cittadini, ai loro
bisogni, se questi possono essere anticipati e addirittura programmati?
Perché fare un popolo libero se la libertà è sospetta? Perché
considerarci essere umani se è più semplice ritenerci niente più che la
somma di numeri? E, se non siamo nemmeno umani, perché mai dovrebbero
preoccuparsi della nostra sofferenza?

Rispetto al secolo scorso abbiamo la presunzione di essere più evoluti,
migliori, eppure oltre un milione di Uiguri nei campi di “rieducazione”
cinesi sono lì a testimoniare il contrario. Per la prima volta nella
storia dell’uomo abbiamo creato una generazione di cittadini datificati
fin dalla nascita. Non è solo un problema cinese, ma è un fenomeno che
si sta intensificando anche nei cosiddetti paesi “democratici”, man mano
che questi comprendono che le esigenze di sicurezza sono più facilmente
perseguite in un sistema centralizzato (alla cinese appunto). Il modello
di sorveglianza cinese più che un qualcosa da combattere appare sempre
più un qualcosa a cui aspirare. [...]

https://www.valigiablu.it/illusione-big-data/


















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"Faccio un lavoro che di fatto non è un lavoro, direi che è un modo di
vivere" L. Bertell

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