[Pacifistat] Il vaccino ci aiuterà ma non ci libererà dalle …

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Auteur: Roberto Badel
Date:  
À: pacifistat
Sujet: [Pacifistat] Il vaccino ci aiuterà ma non ci libererà dalle pandemie

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Non sembrano essere in molti, in questi giorni, a rendersi conto che
l’Italia è tornata, come nel marzo scorso, il paese in cui la pandemia
miete più vittime. Eppure i dati epidemiologici sono eloquenti: per
numero dei contagi abbiamo raggiunto l’ottavo posto, ma l’indice di
letalità è secondo solo a Messico e Iran e in linea con Gran Bretagna e
Perù. Persino Stati Uniti e Brasile sembrano star meglio di noi. Se poi
guardiamo al numero dei decessi giornalieri, siamo tornati in cima alla
lista e il presidente dei medici del Fnomceo ha denunciato la morte di
altri 27 medici in 10 giorni, e parlato di «strage degli innocenti».


Eppure, nel nostro paese si fa a gara nell’interpretare ottimisticamente
i primi rallentamenti della curva dei contagi; ci si schiera in modo
sempre più critico nei confronti delle strategie di contenimento decise
dal governo; si cerca di convincere tutti che la svolta è dietro
l’angolo, grazie a vaccini dichiarati in tempi record efficaci e sicuri,
mediante comunicati stampa, dalle stesse multinazionali che li
producono; si attacca chi si permette di avanzare dubbi non
sull’importanza dei vaccini, ma sulle modalità della comunicazione e
sull’eccessiva fretta con cui si è proceduto, per la prima volta nella
storia, nel percorso di sperimentazione. Eppure, sono le principali
testate scientifiche del mondo e in particolare The Lancet a
sottolineare come sia legittimo sperare nei risultati così trionfalmente
annunciati, ma che alcuni nodi dovrebbero essere sciolti prima di gridar
vittoria.

Non è ancora certo, infatti, se questi vaccini impediscano la
trasmissione del virus o si limitino a proteggere da forme gravi i
vaccinati: un risultato importante, che però non faciliterebbe il
raggiungimento dell’«immunità di gregge». Non sappiamo quanto duri
l’immunità conferita da questo virus: quello che sappiamo deriva dalle
nostre conoscenze su Sars e Mers e da studi che dimostrano la presenza
di anticorpi neutralizzanti nei guariti.

Ed è evidente che se l’immunità indotta dal «virus da strada» non è
particolarmente robusta, né duratura, difficilmente un vaccino composto
da frammenti del genoma o da proteine antigeniche virali farà meglio.
Poi ci sono i casi di reinfezione che sembrerebbero attestare limiti
nell’immunitaria adattativa e l’incerta efficacia negli anziani, i
soggetti più a rischio.

Alcuni sottolineano che la pandemia è ancora in fase iniziale e che il
virus continuerà a mutare per adattarsi alla nostra specie e difendersi
dal nostro sistema immunocompetente, come accade a tutti i virus a Rna
emersi da poco dal loro serbatoio animale: per cui è in teoria possibile
che un vaccino oggi efficace, lo sia meno tra sei mesi o un anno.

Ci sono poi i problemi di disponibilità dei vaccini a livello planetario
e di accesso equo e le enormi sfide logistiche di produzione e
distribuzione. Movimenti internazionali come Gavi, legata a un
personaggio discusso come Bill Gates, propongono strategie per una
distribuzione equa, ma fin qui sono stati i paesi ad alto reddito ad
accaparrarsi centinaia di milioni di dosi.

Anche gli sviluppi a lungo termine della pandemia sono imprevedibili.
Non sappiamo se Sars-CoV-2 tenderà a diventare endemico, se avremo
epidemie stagionali o ri-emergenze a lungo termine di sue varianti ed è
impossibile prevedere quale vaccino garantisca i risultati migliori
nelle diverse situazioni.

E se il vaccino prescelto non si rivelasse efficace, le conseguenze
sarebbero gravissime: sia perché i vaccinati, credendosi protetti,
abbasserebbero la guardia; sia perché la fiducia di molti nelle
vaccinazioni potrebbe diminuire e si rafforzerebbe il circuito NoVax.
Ma l’argomento più dibattuto è quello dei rischi e al momento non
possiamo avere dati certi: sia perché i numeri sono piccoli, sia perché
gli effetti più temuti emergono nel lungo termine.

In particolare le apprensioni concernenti il possibile inserimento
dell’Rna virale nel genoma umano non possono essere facilmente smentite.
In ultima analisi accettare l’accelerazione delle procedure implica la
fiducia negli enti di regolazione: per questo si sarebbe dovuto
attendere le valutazioni, anziché assecondare i proclami delle
multinazionali.

Comunque sia, una cosa è certa: puntare sul vaccino come unica arma
risolutiva è pericoloso. Perché la pandemia non è un «incidente
biologico», che senza preavviso ha colpito l’umanità e che può essere
affrontato con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia cronica
e rapidamente progressiva, che riguarda l’intera biosfera. Un dramma
epocale inutilmente annunciato e che tenderà a prolungarsi e a ripetersi
se non cambieranno le condizioni ambientali e sociali che lo hanno
determinato.

È importante ricordare, infatti, che da almeno 18 anni a questa parte
(Sars), ma potremmo anche dire dalla fine del secolo scorso, dalla morte
di un bimbo a Hong-Kong (1997) per una polmonite da virus aviario (H5N1)
le principali agenzie sanitarie internazionali emettono drammatici
bollettini sull’imminenza di un evento pandemico potenzialmente
catastrofico.

Il principale errore di chi punta esclusivamente su un’ancora aleatoria
vaccinoprofilassi di massa consiste nel dimenticare che le pandemie sono
drammi socio-sanitari ed economico-finanziari di enormi dimensioni che
non potremo evitare senza ridurne le vere cause: deforestazioni,
bio-invasioni, cambiamenti climatici e dissesti sociali (a partire dalle
immense megalopoli del Sud del mondo).

E soprattutto se alle strategie di contenimento del virus e di riduzione
delle catene dei contagi (lockdown) non seguirà una trasformazione
radicale dei sistemi sanitari occidentali: perché è evidente che i paesi
asiatici e socialisti (Cuba) nei quali la medicina territoriale è ben
organizzata, hanno fermato in poche settimane la pandemia, al contrario
dei paesi in cui il neoliberismo ha trasformato anche la medicina in un
immenso Mercato.

* Membro del Comitato scientifico di ECERI (European Cancer and
Environment Research Institute) – Bruxelles