[peer_to_peer] Tele-didattica: Storia di un’inchiesta che si…

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Teledidattica: proprietaria e privata o libera e pubblica?

https://www.roars.it/online/teledidattica-proprietaria-e-privata-o-libera-e-pubblica/

Storia di un’inchiesta che si è fatta da sé

In questi mesi, non volendo essere usata
[https://thenewstack.io/?p=2248177] dalle piattaforme proprietarie
raccomandate per la teledidattica, ho sperimentato alternative libere,
e, fra queste, sia i sistemi di teleconferenza basati su Jitsi
[https://it.wikipedia.org/wiki/Jitsi] di iorestoacasa.work
[https://iorestoacasa.work/index.html], sia, direttamente, quelli
offerti da uno dei suoi partecipanti, il GARR
[https://www.garr.it/it/news-e-eventi/1656-videoconferenza-risorse-garr-per-l-emergenza-covid-19].

Non potendo permettermi altro, ho provato solo quanto messo
gratuitamente a disposizione per far fronte all’emergenza pandemica: e
mi sono resa conto che, in Italia, non avrei potuto trovare niente di
meglio dei servizi del GARR, di cui tuttavia nessuno o quasi sembrava
aver sentito parlare.

E però, se lavoriamo all’università o in un ente di ricerca, GARR, anche
se ne ignoriamo il nome e l’esistenza, è il terreno che abbiamo sotto i
piedi: è infatti sia la rete che ci connette sia, e soprattutto, chi la
gestisce: “GARR è la rete nazionale a banda ultralarga dedicata alla
comunità dell’istruzione e della ricerca. Il suo principale obiettivo è
quello di fornire connettività ad alte prestazioni e di sviluppare
servizi innovativi per le attività quotidiane di docenti, ricercatori e
studenti e per la collaborazione a livello internazionale.

La rete GARR è ideata e gestita dal Consortium GARR, un’associazione
senza fini di lucro fondata sotto l’egida del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca. I soci fondatori sono CNR, ENEA, INFN e
Fondazione CRUI, in rappresentanza di tutte le università italiane.”

Del GARR vale la pena leggere sia le condizioni di privacy generali, qui
[https://www.garr.it/it/chi-siamo/informazioni-utili/informativa-privacy],
sia quelle proposte,
qui[https://www.garr.it/it/chi-siamo/informazioni-utili/informativa-privacy],
per il servizio di cloud [https://cloud.garr.it/]. I dati personali che
raccoglie sono ridotti al minimo; e, soprattutto, nessuno dei suoi
utenti viene profilato a scopo di manipolazione, pubblicitaria o d’altro
genere.

Così non è, invece, per le piattaforme di teleconferenza più popolari,
quali Zoom, MS-Teams, G-Suite for Education e quant’altro, i cui termini
di copyright e di privacy – almeno per il loro uso apparentemente
gratuito – sono variamente discutibili
[http://copyrightblog.kluweriplaw.com/2020/05/27/emergency-remote-teaching-a-study-of-copyright-and-data-protection-terms-of-popular-online-services-part-i/?doing_wp_cron=1590592138.9072680473327636718750],
come mostra, nel dettaglio, questo studio
[https://noyb.eu/sites/default/files/2020-04/noyb_-_report_on_privacy_policies_of_video_conferencing_tools_2020-04-02_0.pdf].
Non a caso il governo francese ha preferito mettere a disposizione dei
suoi funzionari e dei loro interlocutori un servizio di teleconferenza
proprio, che gira su Jitsi
[https://www.numerique.gouv.fr/outils-agents/webconference-etat/],
giustificandolo così:

“lo Stato ha scelto di creare e amministrare una piattaforma di
teleconferenza propria, ospitata sui propri server: il suo dominio,
combinato con una cifratura dei dati tramite un protocollo sicuro, offre
una garanzia ulteriore di riservatezza delle comunicazioni.”

Quanto, in Francia, pare evidente per le funzioni dello Stato, dovrebbe
esserlo a fortiori per la didattica e la ricerca. Anche se, per amor di
discussione, ammettessimo che almeno quanto fornito a pagamento dalle
grandi piattaforme proprietarie rispetti le norme europee sulla privacy
e non finisca mai, nella nebulosa del cloud, in meno regolati lidi,
rimarrebbe la circostanza che dati delicati vengono affidati a
datacenter esteri, soggetti a scelte politiche e poliziesche altrui, e
che, soprattutto, chi fornisce il servizio disegna un ambiente di
opzioni predeterminate da lui e solo da lui, e non certo dai docenti,
dagli studenti e dai tecnici italiani che dovranno subire sia le
decisioni di chi ha comprato il servizio per loro, sia del servizio stesso.

Questi sistemi – sosteneva Edward Snowden in una prospettiva più ampia
di quella sull’editoria scientifica di una più recente analisi di SPARC
[1] –

“sono fondamentalmente depotenzianti. Li paghi e credi di ricevere in
cambio un servizio. Ma tu gli dai molto più del tuo denaro: gli dai
anche i tuoi dati, e rinunci al controllo, rinunci all’influenza. Non
puoi plasmare la loro infrastruttura, né cambiarla per adattarla alle
tue esigenze”.

Pare, però, che questo problema non sia avvertito dalle istituzioni
italiane: le università – salvo poche eccezioni, quali il Politecnico
di Torino
[https://poliflash.polito.it/in_ateneo/il_politecnico_digitale_al_via_con_successo_la_didattica_online]
che usa e sviluppa strumenti liberi
[https://openconf.polito.it/playback/presentation/2.0/playback.html?meetingId=74c4c978969a6327e20b7ebc325df5c70d791954-1588863164648]
anche più efficaci di Jitsi – hanno preferito le offerte depotenzianti
dalle piattaforme proprietarie. La stessa pagina del Ministero
dell’Istruzione
[https://www.istruzione.it/coronavirus/didattica-a-distanza.html]
dedicata alla didattica a distanza tace, almeno nel momento in cui
scrivo, su quanto offerto dal GARR: si parla solo di Google, Microsoft e
TIM, dando l’impressione fuorviante che l’Italia sia un paese così
povero di denaro e di spirito da non avere una propria infrastruttura
per la didattica e per la ricerca.


cotinua [...]

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"Faccio un lavoro che di fatto non è un lavoro, direi che è un modo di
vivere" L. Bertell

"tecnologie appropriate"

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