[Hackmeeting] scritture a + (mani e non solo)

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Aihe: [Hackmeeting] scritture a + (mani e non solo)
ciao

l'argomento mi tocca da vicino da un ventennio abbondante,

una buona metà delle convinzioni che avevo scrivendo la tesi di
dottorato sull'argomento si sono infrante al test di realtà, e poi le
condizioni cambiano, ma insomma per chi ha pazienza ecco alcune cose che
ho imparato, magari sono ovvietà ma faccio che mettere le dieresi sulle u:

1. obiettivo

nel duplice senso di "a chi stai scrivendo" (nella lingua della perfida
albione, target...) e perchè (goal)?

l'impressione di alcuni di "testo superficiale" o un po' accozzaglia
nell'elaborato su tecnosoluzionismo è per me ovvio. persone diverse, a
distanza, con livelli diversi di scrittura ecc ecc ma appunto dove va il
testo? non si prefigge di uscire sul New Yorker e nemmeno di vincere il
Pulitzer o di andare su riviste accademiche peer-reviewed, nemmeno
uscirà a puntate su qualche blog. Serve invece, fra l'altro, a mostrare
che un po' di persone ci sono, e non da sole ma a gruppi d'affinità: e
allora va bene così ed è un eccellente "position paper". Ma un umano può
scrivere anche SOLO per sè, per il suo diariuccio, e persino un gruppo
di umani; oppure per una circolazione più ampia, e allora ha senso
cercare di mitigare alcuni punti, forzarne altri, ecc. da cui le varie
proposte metodologiche

2. collettivo != collaborativo (verso il conviviale)

personalmente non mi piace il collettivo, nemmeno come parola; non
voglio provocare discussione su questo punto, ma molto tempo fa spiegai
perchè la scrittura collettiva tende strutturalmente all'industriale
(c'era una volta SIC, Scrittura Industriale Collettiva...), e a me non
piace l'industria: necessita gerarchie fisse oltre che inquinamento ecc.

diciamo che sono più dal lato individualista. e dunque mi piace l'idea
di collaborare, e la pratica di arrivare a un risultato con un metodo
conviviale. cioè che si sta bene mentre si fa. il che vuol dire che "il
metodo è il contenuto". da cui osservazioni sul mezzo. Se da un lato non
ha senso imporre a chiunque lo stesso strumento, dall'altro per mia
esperienza non va bene ampliare a dismisura le possibilità. Perchè è una
illusione antropocentrica che si scrive ciò che si vuole. Dipende anche
da ciò che lo strumento e il contesto consente (affordances,
permissività). Fuori di teoria: se una usa emacs org-mode e un altro
googledocs e va riportato tutto su pad per poi ripassare su un markdown
e pubblicare in HTML... ci sono i soliti che devono impazzire a
ri-tra-durre ogni virgola. la scrittura conviviale ha a che fare (lo
dico per chi si occupa di pedagogia, psicologia e neurocognizione in
particolare) con la Zona di Sviluppo Prossimale di cui parlava Vigotsky,
e con lo "stress ghiandolare" generato nel corpo umano dalle sfide
competitive (difficoltà a fissare le tracce mnestiche a medio-lungo
termine da parte dell'amigdala in situazioni di stress).

Se per collaborare la soglia di accesso è troppo elevata, cioè ti
impongo uno strumento MOLTO al di là delle tue capacità attuali, ti
scoraggi e il tuo contributo è inficiato. D'altra parte, se lascio che
tu usi quel che usi sempre (o tu pretendi di rimanere nel tuo e di
imporlo come "IL metodo"), lo userai da virtuoso, ma anche chissene:
probabilmente rimarrai chiuso nel tuo guscio di nerd (nerd di Indesign o
vim non fa differenza: rimani impermeabile alla convivialità che è
scambio, richiede una certa flessibilità e fluidità e disponibilità a
diventare Altro da Sè). QUINDI: ci vuole un po' di fatica da parte di
ciascuno, ma NON troppa, per trovarsi a metà strada, un po' più liberi
(dai propri pregiudizi e zone di confort pure) e un po' più uguali. Non
stretching fino a spezzarti, ma neanche star svaccati spaparanzati sul
tuo triclinio solito a sentenziare di shortcut miracolose.

Questo vale anche per tempi e iterazioni. Non tutti i testi hanno
bisogno di enne riletture, di blocchi, freeze, revisioni.

E non tutti devono saper scrivere, ma nemmeno VOLER scrivere! A me
capita spesso di sistemare le parole altrui, ho pubblicato più con
pseudonimi o come ghost che altro, ed è assolutamente ok, non ha senso
pretendere che chiunque sappia scrivere per il pubblico e manco per un
determinato pubblico/obiettivo. d'altra parte, quando cerco un'immagine,
un audio ecc. chiedo a chi è autorità in quel campo. autorità come
diceva il vecchio Bakunin, il calzolaio fa autorità per le scarpe, mica
tutti devono saper fare le scarpe, certo puoi imparare, ma ci vuol tempo
energia ecc. e soprattutto: l'obiettivo non è l'autarchia, l'individuo
che sa far tutto sempre (e manco il collettivo che sa far tutto sempre),
ma l'autogestione, che si nutre di mutuo appoggio. opinione mia.

3. le parole non bastano

in principio era il verbo... chepppacco logocentrico...

cioè ok le parole sono importanti, ma anche altre cose servono per
comunicare. soprattutto quando è chiaro che ci sono dei punti di
debolezza, delle vulnerabilità individual-collettive.

oltretutto, il verbo non è affatto libertario come strumento. penso ai
ragazzini con cui facciamo le formazioni: alcuni detestano scrivere i
loro pensieri, specie in pubblico. magari lo scrivono però in chat.
magari fanno dei memi geniali che spiegano più di mille parole. disegno.
registrano audio, mixano. ecc. allora se è vero (come è vero) che le
differenze individuali sono ricchezze conviviali, per poterne godere è
necessario lasciare margini, pensare spazi abilitanti. che non vuol dire
"ognuno dica la sua", quello è caos, e il caos non c'entra moltissimo
con l'anarchia, che invece è +regole, ma condivise, negoziate, non
fisse, ecc ecc

perchè un documento come tecno-assoluzionismo non potrebbe avere un
pezzetto a fumetti? qualche illustrazione? due memi? qualche
registrazione voce-musico-mixata? ecc.

non si tratta di contorno al testo, nè di indorare la pillola del
sapere, il pippone di autocoscienza che va giù meglio perchè allisciato
di cosine carine. si tratta di far convivio, e che ognuno porti il suo.

ok mi sono sbrodolato oltre il dovuto, è che le parole mi piacciono,

ciao

k.


--

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