https://www.corriere.it/opinioni/20_aprile_19/nomine-metodi-antichi-a33d2dec-825f-11ea-afba-f0dcf1bf9a9f.shtml?refresh_ce
di Paolo Mieli
Le nomine e i metodi antichi
Prudenza e decenza avrebbero dovuto imporre che i prescelti della volta
scorsa restassero, in proroga, ai posti di comando fino al momento in
cui tutto tornerà tranquillo
Ci avevano detto che niente sarebbe stato piu come prima. Poi, però,
*abbiamo assistito alla moltiplicazione delle task force* e s’è
avvertito nell’aria un sentore dei tempi andati. *Adesso che è giunta
l’ora delle nomine,* si è avuta conferma di quel sentore e *ci si può
render conto che un pezzo della tradizione italica è sopravvissuto alla
prima ondata Covid.* Prudenza e decenza avrebbero dovuto imporre che i
prescelti della volta scorsa restassero, in proroga, ai posti di comando
fino al momento in cui tutto tornerà tranquillo. Tre, quattro mesi, il
tempo di non offrire agli italiani il poco edificante spettacolo di un
mercanteggiamento di cariche mentre sono ancora alti il numero dei
contagi e quello dei morti. Giusto per dare l’idea che nessuno ai posti
di comando del sistema Italia in questi giorni ha avuto altra
preoccupazione che la messa in sicurezza del sistema stesso. Come si è
fatto del resto saggiamente e senza tentennamenti rinviando a data da
definire referendum ed elezioni.
*Invece la fase due,* la stagione della ripartenza, *inizia con le
designazioni di partito per gli enti pubblici: presidenti,
amministratori delegati, consiglieri di amministrazione.* Dopodiché,
visto che, come rimedio alla crisi, qualcuno propone un buon numero di
nazionalizzazioni, possiamo fin d’ora immaginare che la prossima volta i
nominati saranno il doppio di quelli di oggi. Forse il triplo. Offrendo
un ottimo rifugio ai parlamentari «tagliati» dopo la definitiva
approvazione della riforma per via referendaria.
*Va subito detto che nella spartizione si sono impegnati tutti, proprio
tutti, i partiti della maggioranza. **E anche l’opposizione ha a suo
modo partecipato. *Nessuno del resto aveva promesso di fare voto di
astinenza. Nessuno? Qualcuno, a dire il vero... All’epoca del successo
elettorale che due anni fa lo portò a conquistare un terzo dei
parlamentari, il M5S aveva preso l’impegno di rifiutare la designazione
per incarichi pubblici di manager lottizzati dai partiti. Tanto meno
quelli che avevano conti aperti con la giustizia. Poi però — per motivi
sui quali neanche uno di loro ha ritenuto di dover offrire pubblici
chiarimenti — il Movimento ha ritenuto opportuno cambiare idea. Come per
altri versi fu con la Tav. Come sarà, probabilmente, adesso che verrà al
pettine il nodo del Mes. Ai tempi della Torino-Lione, quantomeno, il
partito di Beppe Grillo trovò un modo, a dire il vero un po’ goffo, per
ribadire in Parlamento la propria contrarietà. In occasione delle
nomine, invece, ha scelto di ammainare le proprie bandiere senza
sentirsi in dovere di dare spiegazioni. Anzi. Stavolta — come già quando
si discusse dei vertici della Rai — Vito Crimi, Riccardo Fraccaro,
Stefano Buffagni hanno ritenuto conveniente accomodarsi ostentatamente
al tavolo delle decisioni. L’unica differenza è che, quando si decise
per l’ente radiotelevisivo di Stato, i Cinque Stelle riuscirono almeno
ad ottenere qualche importante incarico ai posti di comando. Adesso
invece dovranno con ogni probabilità accontentarsi di alcune presidenze
destinate quasi esclusivamente a far felici i familiari dei prescelti.
Nel compiere questa operazione, i leader del M5S hanno però dimenticato
di avvertire Alessandro Di Battista e una trentina di parlamentari (tra
i quali Barbara Lezzi, Massimo Bugani, Nicola Morra, Giulia Grillo,
Ignazio Corrao) che, a fatto compiuto, protestano — oltreché per la
conferma all’Eni di Claudio Descalzi imputato in alcuni processi — per
l’assenza complessiva di «discontinuità nel merito e nel metodo delle
scelte», assenza di discontinuità che a loro avviso provocherebbe il
«perdurare di un potere sempre nelle stesse mani». Discorso che, si
sentono in dovere di precisare, «vale per tutte le nomine in
discussione». Tutte? Proprio tutte?
Tra le designazioni di nomi di presidenti, amministratori delegati,
membri di consiglio di amministrazione, ce ne sono un bel po’ che
verranno fatte su suggerimento dei pentastellati. *Secondo il «Fatto
Quotidiano»,* giornale che non può essere definito ostile al movimento
grillino, *Descalzi non sarebbe mai stato neanche «in bilico» e i
vertici Cinque Stelle si sarebbero esibiti in una «pantomima» sulla sua
riconferma così da ottenere, «a titolo di risarcimento per aver ingoiato
quel nome», un «bel po’ di presidenze con funzioni poco più che
decorative».* Tra le quali quella della stessa Eni, assegnata a Lucia
Calvosa proveniente dai cda di Mps, Tim e da quello di Seif, la società
che edita il «Fatto». *Per trovare i candidati* – racconta il quotidiano
- *«si è deciso di pescare nell’unica fucina di manager considerati
degni di fiducia, le municipalizzate romane».* *Tra i «pescati» Stefano
Donnarumma,* scoperto nel 2017 da Virginia Raggi, «indagato e poi
archiviato nell’inchiesta sullo stadio della Roma», che da Acea dovrebbe
spostarsi in Terna. Adesso, annuncia il giornale di Marco Travaglio, tra
i Cinque Stelle «è partito il giochino a scaricare le colpe e poi a
cancellare le impronte» dell’intera operazione di ricambio ai vertici
delle partecipate. Soltanto «dopo», però. Dopo che saranno completati i
consigli di amministrazione dove – sempre secondo il «Fatto» – sono
destinati *a trovare posto tale Carmine America, un compagno di scuola
di Luigi Di Maio* (già reclutato alla Farnesina), *ed Elisabetta Trenta,
costretta tempo fa a lasciare, oltre al ministero della Difesa,
un’abitazione a canone d’affitto assai conveniente alla quale si era
molto affezionata.* A Di Maio viene riconosciuta l’abilità di essersi
saputo «eclissare tatticamente su Eni per non rimanere impigliato nelle
polemiche» così da poter poi «scaricare le colpe» su altri. La stessa
tattica sarebbe stata adottata dal viceministro Stefano Buffagni che
pure si è assunto l’incombenza di indicare la Calvosa. A immediato
ridosso di tale indicazione, Buffagni si è prontamente «defilato»
dall’ingarbugliato affaire Eni di cui il sottosegretario Fraccaro «è
diventato, suo malgrado, protagonista». Cronache che riportano alla
memoria quelle di altri tempi. Non tra i più fausti.
*Da questo super game, in ogni caso, escono trionfatori i partiti che
hanno architettato il rinnovo delle cariche: Pd e Italia Viva di Matteo
Renzi* (che pure non si è sentito appagato in tutti i propri desideri e
di ciò si lamenta). *È un ulteriore segnale dello spostamento del
baricentro di governo a vantaggio del partito di Nicola Zingaretti.* *E
di rafforzamento di Giuseppe Conte, riuscito nella non facile impresa di
imbrigliare i Cinque Stelle coinvolgendoli in trattative che li rendono
per così dire più malleabili in vista del delicato appuntamento del Mes.
A proposito del quale c’è da aggiungere che si spera a nessuno, in
Olanda e in Germania, venga in mente di approfondire la conoscenza del
modo assai poco trasparente con cui qui in Italia ancor oggi si procede
alle nomine pubbliche. Ne verrebbero aggravati i ben noti, antipatici
pregiudizi nei nostri confronti.*
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19 aprile 2020, 20:15 - modifica il 19 aprile 2020 | 20:40