[peer_to_peer] Un altro social c’è e si chiama «Fediverso»

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Un altro social c’è e si chiama «Fediverso»

Social netWar. Si tratta di circa 40 piattaforme diverse (per
condividere testi, immagini, video, musica), che comunicano utilizzando
un linguaggio comune, decentrate ma federate tra loro.Chiunque con un
minimo di competenze informatiche può dare vita a una «istanza», ossia
un server che esegue il software scelto
https://ilmanifesto.it/mastodon-un-altro-social-ce-e-si-chiama-fediverso/


Facebook oscura i contenuti favorevoli ai curdi in Rojava, ma appellarsi
alla libertà d’espressione rischia di essere fiato sprecato: serve
costruire alternative.
Nelle ultime settimane la multinazionale californiana ha rimosso
sistematicamente dai social network di sua proprietà contenuti e interi
account che sostenevano la Resistenza della Siria del Nord attaccata da
Erdogan. Un intervento che ha colpito numerose testate giornalistiche,
associazioni, collettivi, realtà e individui solidali con la lotta dei
curdi.

*È questa censura?* Si parla di censura quando Stato o Chiesa privano le
persone della facoltà di esprimersi liberamente. Gli utenti di Facebook
in realtà questa facoltà non l’hanno mai avuta: iscrivendosi hanno
sottoscritto un contratto con un soggetto privato attraverso il quale
hanno ceduto ogni diritto sui contenuti che pubblicano.

A decidere sulle cancellazioni non sono solo algoritmi ma anche
moderatori in carne e ossa, precari che lavorano per aziende esterne e
le cui terribili condizioni di lavoro sono state ben documentate da
un’inchiesta del Guardian del settembre 2019.

I criteri sono opachi e discrezionali, ma di certo rispondono in primo
luogo alla logica della tutela degli interessi economici della
multinazionale, il cui business model è la produzione, analisi e vendita
di dati sui propri utenti attraverso la profilazione delle loro
attività. Il suo obiettivo non è garantire la libertà di espressione, ma
favorire il massimo profitto per l’azienda. Non c’è motivo per cui
questo modo di agire possa cambiare in futuro.

*Esiste però un’alternativa concreta a questo modello*, fondata sulla
riappropriazione dei mezzi di comunicazione. Già da alcuni anni sono
attivi diversi social network, il cui funzionamento è comprensibile
grazie a software a licenza aperta e libera: insieme costituiscono quel
che si è iniziato a chiamare «Fediverso».

Si tratta di circa 40 piattaforme diverse (per condividere testi,
immagini, video, musica), che comunicano utilizzando un linguaggio
comune, decentrate ma federate tra loro.

Chiunque con un minimo di competenze informatiche può dare vita a una
«istanza», ossia un server che esegue il software scelto. In ogni
istanza, o nodo, si costituisce una comunità dove è possibile dotarsi di
proprie regole, stabilire i propri limiti. Se ne contano circa 6.000,
popolate da oltre tre milioni di utenti. Il software più diffuso del
fediverso è Mastodon, piattaforma di microblogging nata 3 anni fa circa
che ricorda il primo Twitter, quando mostrava i messaggi in semplice
ordine cronologico, senza alcuna elaborazione algoritmica che ne
determini maggiore o minore visibilità a seconda della popolarità.

Una caratteristica che limita la gara al riconoscimento, alla viralità,
al contenuto più rumoroso ed eclatante, incoraggiando invece una
comunicazione più misurata basata sul contenuto e meno tossica.

*Facebook e le piattaforme commerciali organizzano l’interfaccia*, il
funzionamento e l’interazione con l’utente in modo tale da generare
dipendenza, attraverso l’uso strumentale della psicologia del
comportamento, strategie per far sì che l’utente generi traffico e
interazioni crescenti, e quindi sempre maggiori profitti per le aziende
stesse. Su Mastodon, invece, ogni istanza può decidere i termini della
propria policy e le proprie modalità di gestione, si può scegliere su
che nodo iscriversi in base alla propria etica, affinità o gusto personale.

Dopo un anno di confronti tra gruppi di hacktivisti e gruppi di ricerca,
nella primavera 2018 è iniziata la sperimentazione dell’istanza
mastodon.bida.im, con l’obiettivo di dar forma a un social network
autogestito che fosse effettivamente nelle mani di chi lo usa.

*Con oltre 5.500 utenti*, è oggi l’istanza di lingua italiana più
numerosa: una comunità che sperimenta quotidianamente una comunicazione
autonoma e dove non sono ammessi contenuti razzisti, fascisti e
sessisti. I nodi esterni che non condividono questi paletti sono resi
invisibili per gli utenti. L’evoluzione del progetto avviene tramite
frequenti discussioni pubbliche sulla stessa piattaforma, ma anche
grazie alle periodiche assemblee di istanza in cui ci si incontra di
persona per discutere di lati positivi e negativi riscontrati e quindi
provare a migliorarsi.

L’esperimento mastodon.bida.im [https://mastodon.bida.im/about] sta
riscuotendo molto interesse, gli iscritti crescono sempre più
velocemente e sono molteplici i casi in cui ha svolto un ruolo
importante e riconosciuto nel dare copertura a lotte sociali.

Gli aggiornamenti sulla Resistenza in Rojava, in questi giorni, vengono
diffusi incessantemente, nessuno potrà rimuoverli.
Il metodo è il contenuto: informazioni e comunicazioni non allineate
assumono un’altra forza se diffuse con mezzi autogestiti e federati
rispetto all’utilizzo dei «megafoni» di una società multinazionale
for-profit.





















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"Faccio un lavoro che di fatto non è un lavoro, direi che è un modo di
vivere" L. Bertell

"tecnologie appropriate"

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