[Pacifistat] ennesima speculazione edilizia

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Autore: Carmine De Angelis
Data:  
To: pacifistat
Oggetto: [Pacifistat] ennesima speculazione edilizia

https://ilmanifesto.it/parli-dellex-fiera-e-spunta-la-mega-speculazione/


Paolo Berdini, Enzo Scandurra
<https://ilmanifesto.it/archivio/?fwp_author=Paolo Berdini, Enzo Scandurra>


Se le indiscrezioni sull’area dell’ex Fiera verranno confermate, ancora
una volta questa città resterebbe condannata al destino di una mezza
modernità, una modernità incompiuta per la mancanza di coraggio dei suoi
amministratori, per la voracità del sistema creditizio e per una genia
di manager di società pubbliche che tutto hanno a cuore tranne il bene
comune della città.

La minaccia di una nuova e gigantesca speculazione edilizia questa volta
ha il nome dell’ex Fiera di Roma, un’area di proprietà pubblica. La
minaccia è stata innescata col pretesto di risanare un debito (180
milioni) con Unicredit da parte di Investimenti Spa; debito causato
dalla realizzazione della nuova Fiera di Roma lungo l’autostrada per
l’aeroporto di Fiumicino. La vicenda è annosa e quanto mai tormentata e
attraversa le giunte Veltroni, Alemanno, poi Marino e ora quella della
Raggi.

L’amministrazione Veltroni, nel pieno dell’ubriacatura immobiliare,
gabellata come “Modello Roma”, propone inizialmente di realizzarvi la
città dei bambini, ma sarà la crisi economica iniziata nel 2008 a far
crollare questo fantomatico progetto. L’area viene abbandonata al
degrado e inizia un immondo mercimonio per aumentare le volumetrie e
valorizzarne così i profitti. Questo obiettivo viene perseguito con il
grimaldello dell’accordo di programma e quando, all’inizio dell’attività
della giunta Raggi le volumetrie vengono riportate alla misura
consentita per legge, parte la corsa ad utilizzare tutte le deroghe
generosamente offerte dal “Piano casa” della Regione Lazio di Nicola
Zingaretti.

Del resto, le cose non vanno bene per l’insediamento della nuova Fiera
di Roma situato poco prima di Fiumicino, nel bel mezzo di un deserto
dove, tra un capannone e l’altro, si rischia di perdersi. Così ci si può
rifare con la vendita dell’area dell’ex Fiera, a pochi passi dalla sede
della Regione, lungo la Colombo, quindi un’area particolarmente
pregiata. Fin qui si ripete un copione già visto in altre occasioni ma
il fatto nuovo questa volta è che non sarebbero i privati a innescare
l’operazione.

La proprietà dell’area della vecchia Fiera, infatti, è di Investimenti
Spa, società partecipata del Comune, della Regione Lazio e della Camera
di Commercio, dunque un’area di proprietà pubblica. A quanto pare
sarebbero già pronti degli acquirenti privati che realizzerebbero
nell’area un insediamento per circa 1000 abitanti destinandola per la
maggior parte ad abitazioni, con una quota residua di servizi di
quartiere. Le notizie in proposito sono ancora vaghe, ma la domanda
questa volta è lecita e attuale: perché non utilizzare un’area pubblica
per risanare quel pezzo di quartiere già in deficit di servizi?

In una città che da trent’anni non cresce demograficamente (salvo che
per l’arrivo di immigrati) e con un settore dell’edilizia in forte crisi
per le troppe case invendute, un ulteriore incentivazione del mercato
immobiliare sarebbe paradossale e, probabilmente fallimentare. Gli
alloggi non serviranno (come dovrebbero, semmai si facessero) a dare una
casa alle famiglie che vivono senza, in occupazioni o altre precarietà,
ma destinati sicuramente (dati i valori dell’area) a un mercato di lusso
o, comunque, medio-alto.

Ed è scandaloso che a fronte di un’emergenza alloggiativa grave non si
possano costruire su un’area interamente pubblica alloggi per le fasce
sociali povere. Né si può subordinare lo sviluppo della città a debiti
economici contratti per operazioni immobiliari sbagliate con il rischio
di realizzare un nuovo quartiere che aggraverebbe le condizioni di vita
dei residenti, aumentandone i carichi già insostenibili.

Questa indigesta pianificazione, cui siamo ormai abituati, che procede
per pezzi (e debiti) non si addice a una città capitale che meriterebbe
un altro respiro progettuale, di servizi di attrezzature, di traffico,
di architetture e di accoglienza. Non sappiamo ancora nulla su come
proseguirà (o non proseguirà) la metro C, quella A continua ad avere
stazioni centrali chiuse perché le scale mobili non vengono riparate, la
favola del nuovo stadio è ancora tutta da raccontare e poi ci sono le
buche, gli autobus autoincendianti, gli scheletri architettonici
disseminati in ogni luogo, il traffico impazzito, le orde turistiche che
divorano il centro storico, le periferie abbandonate e il trasferimento
degli immigrati verso mete sconosciute. E ora la spada di Damocle
dell’ennesima speculazione.