[NuovoLab] Ecuador, la foresta salvata

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Autor: Antonio Bruno
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Ecuador, la foresta salvata


Storie. La Fondazione Otonga gestisce quattro foreste andine, dai 600 ai 2000 metri d’altezza. Con una straordinaria biodiversità. Un progetto nato da un frate italiano, che le ha salvate dal disboscamento


[ https://ilmanifesto.it/archivio/?fwp_author=Giorgio%20Vincenzi | Giorgio Vincenzi ]

EDIZIONE DEL [ https://ilmanifesto.it/edizione/il-manifesto-del-10-01-2019/ | 10.01.2019 ]

PUBBLICATO 9.1.2019, 23:59


Giovanni Onore, 77 anni, frate marianista di Costigliole d’Asti, da trentotto anni opera in Ecuador difendendo le foreste andine dal disboscamento e preservandone così la loro ricchezza di biodiversità vegetale e animale. Lo fa attraverso la Fondazione Otonga (www.otonga.org), da lui stesso istituita nel 1997 e della quale è presidente, acquistando e proteggendo dalla distruzione duemila ettari di foresta posti sulle pendici occidentali della catena andina. Un impegno importante visto che nel decennio 2000-2010, stando ai dati della Fao, sono andati distrutti ogni anno circa 70 mila kmq di foreste tropicali. Non è tutto. Giovanni Onore, laureato in scienze agrarie all’Università di Torino con specializzazione in entomologia, si è impegnato nello studio della biodiversità di queste zone dell’America Latina ed è stato professore ordinario di zoologia degli invertebrati presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador e docente di Conservazione della natura nonché responsabile dei corsi per guide naturalistiche che operano nella foresta amazzonica e le Isole Galapagos.

Nonostante sia in pensione, la sua attività per far conoscere l’importanza di salvaguardare le varie forme di biodiversità è ancora molto frenetica e ciò lo porta, come nell’ottobre scorso, anche in Italia per raccontare cosa sta facendo la Fondazione Otonga a tal proposito.

La nascita di questo progetto per la salvaguardia delle foreste avviene quasi per caso. «Negli anni Novanta», racconta Giovanni Onore, «ero a San Polo di Piave (Treviso) per tenere una relazione sull’Amazzonia. A un certo punto mi si è avvicinato il titolare di una industria dicendomi che stava cercando qualcuno per realizzare il desiderio di saldare il debito che aveva con la natura per l’utilizzo degli alberi nella costruzione delle cucine. Non mi era mai capitata una cosa del genere». Si trattava dell’architetto Gabriele Centazzo, designer e imprenditore nonché ideatore dell’Associazione no profit Bioforest di Pordenone. «Mi disse che dovevo comprare delle foreste e conservarle», prosegue Onore, «e mi mandò del denaro. Io in quel momento ero molto occupato: dovevo insegnare, fare delle ricerche. Non volevo prendermi questo incarico. Poi mi convinse e ora sono felice di averlo ascoltato».

La Fondazione Otonga gestisce quattro foreste in Ecuador che si estendono su una superficie di circa 2 mila ettari ai quali presto se ne aggiungeranno altri 30. Essendo poste su livelli diversi delle Ande ecuatoriane, dai 600 ai 2000 metri sul livello del mare, sono ricche di biodiversità. Tanto per fare alcuni esempi: più di 4 mila specie di orchidee e oltre 1650 specie di uccelli. Otonga nel tempo è diventata anche il punto di riferimento per molti studiosi italiani, americani, francesi, giapponesi per spedizioni e ricerche nelle foreste amazzoniche. Ora è il posto del mondo più conosciuto e studiato per chi si interessa di formiche, serpenti e rane. «Tutta questa variabilità di piante e animali va difesa anche dagli effetti del cambiamento climatico sempre più visibili anche in Ecuador», sottolinea Onore. «Ci sono degli insetti che sono come dei termometri sul grado di riscaldamento degli ambienti in cui vivono. Alcuni di essi, per esempio, li si poteva trovare a 2300 metri d’altezza, ma ora si sono spostati a 2800 metri e poi andranno ancora più in su, ma a un certo punto, se continua così, si estingueranno. Nella mia vita ho visto tante specie scomparire. Ora tocca a loro, ma domani potrebbe essere il nostro turno».

La scelta del luogo dove strappare la foresta dalla distruzione non è stata fatta a caso. «Andai a trovare in Ecuador un missionario bresciano, Giorgio Peroni, e m’innamorai di quelle foreste situate in San Francisco de las Pampas», racconta il frate marianista, «e qui nacque Otonga che nella lingua della popolazione locale significa lombrico. Nel 1998 furono acquistati i primi cento ettari di bosco dando così vita alla foresta di Otonga gestita da una famiglia del luogo che si occupava della protezione della fauna e della flora e dando avvio anche a delle visite guidate».

Il rapporto della Fondazione con gli abitanti locali si è saldato nei corsi degli anni. «All’inizio mi sentivo dire: quello vuole conservare gli alberi e noi abbiamo bisogno di pascoli», spiega Onore. «La mia strategia di coinvolgimento delle popolazioni è passata attraverso i bambini, cioè coloro che un giorno saranno gli adulti e potrebbero prendere in mano il machete e tagliare gli alberi, permettendo loro di andare a scuola. Se studiano poi fanno altri mestieri e quindi non tagliano più la foresta, anzi mi aiutano a salvaguardarla. Adesso ho a che fare con una generazione di alleati», conclude. Per comprare scarpe, libri, quaderni, zaini e tutto quanto serve per mandarli a scuola si è avvalso dell’adozione a distanza coinvolgendo così tanti italiani e in particolare l’Arca Verde Otonga di Cagliari.

I rapporti con le autorità locali sono buoni, quello che preoccupa è «l’accaparramento delle terre, non tanto da parte delle multinazionali che hanno un peso minore che in Brasile ma a opera dei benestanti locali», ci spiega il presidente della Fondazione Otonga. «Le acquistano per fare piantagioni e sfruttano la manodopera locale.

Anche i cinesi stanno acquistando terreni e miniere; sono loro i nuovi capitalisti».

Giovanni Onore ha un’ultima parola per papa Francesco che con l’Enciclica Laudato sì lo ha aiutato a far comprendere anche agli altri missionari che è importante divulgare il messaggio che la biodiversità va salvaguardata se si vuole salvare il pianeta: «e ora anche loro mi chiamano per delle conferenze e per far conoscere la realtà di Otonga», conclude.