[NuovoLab] Bolsonaro, uno strumento non un fine. Bell'artic…

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Autor: Antonio Bruno
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Assunto: [NuovoLab] Bolsonaro, uno strumento non un fine. Bell'articolo che smonta le fake news, anche a sinistra

Bolsonaro è uno strumento, non un fine


Crisi brasiliana. Le elezioni non sono state vinte dall'ex capitano, ma una compagine poderosa, dalle grandi imprese della comunicazione alle chiese evangeliche. Che la destra si sia buttata fra le braccia di un candidato avventuriero come Bolsonaro, è una conseguenza della forza, non della debolezza della sinistra
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Il nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro


[ https://ilmanifesto.it/archivio/?fwp_author=Emir%20Sim%C3%A3o%20Sader | Emir Simão Sader ]

EDIZIONE DEL [ https://ilmanifesto.it/edizione/il-manifesto-del-06-01-2019/ | 06.01.2019 ]

PUBBLICATO 5.1.2019, 23:57


Una giornalista argentina, intervistandomi, mi ha detto che nel suo paese non c’è rischio di un fenomeno come quello di Bolsonaro. Sì, ma non per questo le cose là vanno in modo diverso dal Brasile. In effetti l’obiettivo fondamentale della destra è ristabilire e garantire il modello neoliberista, avvalendosi dei candidati che ha a disposizione.

Il caso brasiliano dimostra che, in base all’importanza del rischio che corre, la destra è disposta ad affidarsi a un personaggio caricaturale, grottesco, che fino a poco prima era oggetto di burla da parte degli stessi media che ora lo accettano e praticamente lo ringraziano per aver impedito – non importa a quale prezzo – il ritorno al potere del Pt e di un governo anti-neoliberista.

In Argentina, con Macri, la guerra ibrida contro Cristina Kirchner va avanti con tutti gli strumenti legali e mediatici possibili, e con la giudiziarizzazione che la caratterizza, man mano che Macri vede ridursi l’appoggio popolare di cui godeva, e parallelamente assiste alla crescita dei consensi a favore della sua avversaria. E’ chiaro che a quest’ultima la destra argentina vorrebbe riservare lo stesso trattamento sperimentato da Inacio Lula da Silva. Rimane da sapere se ce la faranno.

Ma è soprattutto importante che l’analisi dei fatti in Brasile non sia circoscritta a Jair Bolsonaro. Le elezioni non sono state vinte da quest’ultimo, ma una compagine poderosa; del gruppo riunito intorno a Bolsonaro fanno parte le grandi imprese della comunicazione e le chiese evangeliche. Bolsonaro, semplicemente, è stato il candidato che la destra aveva a disposizione per sconfiggere il Pt (Partido dei lavoratori) e i suoi candidati.

La vittoria di Bolsonaro è stata possibile grazie a tre fattori. La carcerazione e la condanna di Lula, con la proibizione della sua partecipazione alla corsa elettorale, senza che dal punto di vista legale nulla giustificasse il provvedimento; l’incapacità da parte della destra, dopo l’indisponibilità di candidature come quella del giudice Joaquim Barbosa e del presentatore televisivo Luciano Huck, entrambi esterni alla politica tradizionale, di trovare un candidato in grado di personificare il rifiuto della politica prodottosi in Brasile a partire dalle manifestazioni del 2013; la scomparsa politica del Psdb per l’appoggio dato al golpe contro Dilma Rousseff e al governo di Temer, dopo essere stato il partito che per la destra aveva concorso a sei elezioni presidenziali contro il Pt.

La base elettorale del Psdb si è radicalizzata verso destra, allineandosi alla fine con la candidatura di Bolsonaro. Così la destra ha fatto appello alla candidatura di un estremista, l’unico che sembrava ben piazzato ai sondaggi, benché molto più indietro di Lula, il quale avrebbe vinto fin dal primo turno. Accettare le posizioni estremiste di Bolsonaro è stato un passo obbligato, il prezzo da pagare per il fallimento dei candidati tradizionali.

Ma niente di tutto ciò sarebbe stato possibile senza la gigantesca, mostruosa campagna a base di notizie false, diffuse da milioni di robot, con accuse incredibili – tipo quella che il candidato Haddad, da ministro dell’educazione, avrebbe fatto diffondere nelle scuole biberon a forma di organo sessuale maschile. Una bufala che ha avuto un effetto immediato, proprio nella settimana in cui Haddad precedeva Bolsonaro nei sondaggi e nella quale si preparava la più grande manifestazione, guidata da donne, contro il candidato della destra, con lo slogan #ElNo (Lui no). Fino ad allora, l’agenda sociale del Pt – con Haddad che reggeva un libro in una mano e il documento di lavoro nell’altra – era stata predominante e aveva fatto prevedere la vittoria del candidato del Pt.

Non bisogna mai dimenticare, in qualunque analisi, che stando ai sondaggi, fino al termine della campagna Lula avrebbe vinto al primo turno, ottenendo più degli altri candidati messi insieme, Bolsonaro compreso. Che la destra si sia buttata fra le braccia di un candidato avventuriero come Bolsonaro, è una conseguenza della forza, non della debolezza della sinistra. Se non fosse stato così, la destra avrebbe chiamato uno dei suoi candidati tradizionali, per esempio Geraldo Alckmin, del Psdb, già governatore dello Stato di São Paulo.

E’ importante evitare analisi superficiali, come sostenere che il Pt avrebbe perso la sua base popolare a favore degli evangelici e dell’estrema destra. In realtà il candidato del Pt è sempre stato in testa ai sondaggi presso le fasce sociali più svantaggiate e ha trionfato in tutte le province del nord-est, la regione più povera del Brasile.

Si tende a sottostimare la forza di Lula e del Pt, di fronte a questa mostruosa campagna di disinformazione condotta dall’estrema destra. In Brasile non c’è una maggioranza di estrema destra, con le idee di Bolsonaro. Quest’ultimo sbaglia a credersi onnipotente. Il primo segnale è che i tradizionali sondaggi sulle aspettative nei confronti del nuovo governo gli hanno assegnato percentuali di gradimento inferiori a quelle dei governi eletti in precedenza in Brasile: Collor, Cardoso, Lula, Rousseff.

Inoltre, la grande promessa della sua campagna elettorale, la fine della violenza e dell’insicurezza, insieme alla liberalizzazione della vendita e del porto di armi da fuoco, è stata respinta dai due terzi dei brasiliani, stando ai primi due sondaggi; insomma il contrario del plauso che il neo presidente si aspettava.

Bolsonaro ritiene il Brasile un paese di estrema destra e nomina imbecilli alla guida di ministeri come, tra gli altri, quelli degli esteri, dell’educazione, dei diritti umani, della scienza e della tecnologia, dell’ambiente.
In realtà ciò che rispecchia il rapporto di forza del blocco vincitore è il treppiede: militari (alti ufficiali), équipe economica (Chicago boys) e ministero di giustizia (agenti di polizia). I nomi legati al candidato vincitore sono i primi candidati a essere sostituiti, così come l’influenza dei suoi figli tende a essere sempre più limitata.

Il ricorso a un candidato di estrema destra è il risultato della forza della sinistra, di Lula e del Pt che, al contrario del Psdb, si è mantenuto come il partito centrale nel campo popolare, grazie all’impegno del suo candidato, alla popolarità che ha conservato Lula, ai governatori eletti e al gruppo parlamentare.

Gleisi Hoffmann centra il punto quando dice che un governo senza progetto deve fabbricare e invocare nemici illusori: il socialismo, il marxismo, il rosso nella bandiera. E per questo invoca appoggi ugualmente irreali: Dio, le religioni, la presunta assenza di ideologia. Bolsonaro può essere stato un buon candidato per la destra, ma sembra non essere un buon governante, senza capacità di aggregare, di coordinare, di parlare a tutta la società.