[peer_to_peer] Google criticata da dentro e da fuori, - Dir…

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Oggetto: [peer_to_peer] Google criticata da dentro e da fuori, - Direttiva copyright, , - Privacy (Apple), , - ...:


Si parla di:
- Google criticata da dentro e da fuori
- Direttiva copyright
- Privacy (Apple)
- e ancora: criptovalute,

da Guerre di Rete
by carolafrediani

​16 settembre 2018

*GOOGLE NELLA BUFERA*
Google sta attraversando un momento difficile e complesso. Un po’ per
ragioni esterne. Un po’ perché ci ha messo del suo. Ancora recentemente
il colosso tech era stato preso di mira dai tweet del presidente Trump
che, se ricordate, accusava il motore di ricerca di discriminare le voci
conservatrici. In risposta, Google ha pensato bene di non presentarsi
(al contrario di Twitter e Facebook) all’audizione davanti al Congresso
americano avvenuta qualche giorno fa. Quasi in contemporanea il ministro
della Giustizia Usa appariva intenzionato a considerare la possibilità
di un’indagine antitrust sull’azienda.

Bene, in questo contesto iperpoliticizzato *è ora sbucato un video - un
leak probabilmente dall’interno dell’azienda, da un (ex?) dipendente -
che ritrae un meeting aziendale poco dopo l’elezione di Trump*. Qui il
top management (incluso il cofondatore Sergey Brin) esprime incredulità
e sconcerto per l’esito dell’elezione, cercando di rassicurare i propri
dipendenti. Il video è stato sparato online da Breitbart (che ovviamente
l’avrebbe ricevuto da una fonte anonima)
[https://www.breitbart.com/tech/2018/09/12/leaked-video-google-leaderships-dismayed-reaction-to-trump-election/],
ovvero dalla testata al centro dell’ecosistema alt-right americano, come
prova della faziosità di Google. In realtà, come nota Variety
[https://variety.com/2018/politics/news/google-trump-video-1202939336/],
non c’è nulla nel video che confermi discriminazioni politiche volute da
parte della piattaforma e dei suoi servizi online contro la destra Usa.
Il meeting di Google è certamente singolare, ma non così assurdo
considerato il tipo di azienda e la sua composizione (molti dipendenti
hanno origini non americane, così come lo stesso Brin, che infatti lo
sottolinea nel suo discorso).
*Ma certamente il rilascio del video è un assist per la crescente
campagna della destra Usa contro Google e altri giganti “liberal” della
Silicon Valley*, scrive il New York Times
[https://www.nytimes.com/2018/01/08/technology/google-memo-discrimination-lawsuit.html]
(c’è chi si domanda
[https://twitter.com/rmac18/status/1039992158290210817] se,
saltando l’incontro al Congresso, Google non abbia dato la stura a
questa fase più virulenta). Campagna che aveva trovato un appiglio già
nel caso James Damore, l’ingegnere di Google autore di un memo interno
che criticava gli sforzi pro-diversità dell’azienda, e sosteneva che il
basso numero di donne in ruoli tecnici fosse dovuto a differenze
biologiche. Per quel memo Damore è stato licenziato per violazione delle
policy aziendali, e ora è in causa con Google.

*Campagna che sfrutta ovviamente anche le contraddizioni interne
dell’azienda*. Ricordiamo che già i conservatori non avevano preso bene
la decisione di Google di non rinnovare un contratto con il Pentagono,
dopo che molti suoi dipendenti avevano protestato (era un progetto di
intelligenza artificiale applicato all’analisi delle riprese dei droni).
Ma ad agosto era scoppiato un altro bubbone. Un migliaio di dipendenti
della grande G avevano firmato una lettera di protesta per l’apparente
decisione dell’azienda, trapelata sui media, di realizzare una versione
*censurata del suo motore di ricerca per la Cina* (The Verge
[https://www.theverge.com/2018/8/16/17702464/google-search-censorship-china-protest-project-dragonfly]).
Paese che Google aveva abbandonato nel 2010, dopo che - a seguito della
scoperta di cyberattacchi contro le email Gmail di attivisti cinesi e la
decisione di ridirigere il traffico cinese al suo motore di ricerca
sulla versione non censurata di Hong Kong - i rapporti con le autorità
locali si erano deteriorati. Il progetto di un nuovo motore di ricerca -
portato avanti in segreto dal 2017 - si chiamerebbe Dragonfly, ha
scritto ad agosto The
Intercept[https://theintercept.com/2018/08/01/google-china-search-engine-censorship/].
Ora, proprio in questi giorni, ancora The Intercept aggiunge dettagli
[https://theintercept.com/2018/09/14/google-china-prototype-links-searches-to-phone-numbers/]
che, se confermati, appaiono piuttosto inquietanti. Secondo la testata
americana, infatti, *Dragonfly* non solo censurerebbe una serie di
termini (come diritti umani, proteste studentesche ecc), ma
*collegherebbe anche le ricerche effettuate dai suoi utenti col loro
numero di cellulare*, rendendo estremamente semplice tracciare la
navigazione di singoli individui. Google non ha per ora confermato nulla
al riguardo. In ogni caso, ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi
in cui il suo motto era “non essere cattivo” e in Asia il colosso tech
aveva un Direttore della Libertà di Espressione.

In tutto ciò merita l’articolo (e la copertina) di Bloomberg/Business
Week: “404. Page not found”. Ovvero, *dove diavolo è finito Larry Page*,
il cofondatore e leader de facto di Google, si chiede la testata, nel
momento in cui la sua creatura sembra nel pieno di una crisi
esistenziale? Ad ogni modo, *per i leader dell’industria tech non è un
buon momento*. Soprattutto, non sembra esserci più un modello che vada
bene, che si tratti dell’eccessivo, smodato Elon Musk del quasi eremita
Page fino al bravo-ragazzo-ma-non-si-applica Zuckerberg. Forse la chiave
interpretativa è che la qualità della leadership personale di realtà
così complesse, che aprono in modo rapidissimo problemi anche sociali
inediti, non basta da sola. Mi è venuto in mente leggendo questo profilo
di Mark Zuckerberg (New
Yorker[https://www.newyorker.com/magazine/2018/09/17/can-mark-zuckerberg-fix-facebook-before-it-breaks-democracy?currentPage=all]).
Anche giornalisticamente, il profilo
del fondatore non spiega più nulla
[https://twitter.com/kashhill/status/1039299103723679745].

Postilla: nel mentre Google è di nuovo di fronte alla Corte di giustizia
europea per cercare di evitare che il *diritto all’oblio* deciso dalla
stessa Corte nel 2014 - cioè il diritto di un cittadino a far rimuovere
dal motore di ricerca risultati che contengano informazioni errate,
obsolete o irrilevanti - *debba essere applicato a livello globale*, e
non - come adesso - limitandosi a deinidicizzare i risultati su base
nazionale (TechCrunch
[https://guce.oath.com/collectConsent?brandType=nonEu&.done=https%3A%2F%2Ftechcrunch.com%2F2018%2F09%2F11%2Fgoogle-back-in-court-arguing-against-a-global-right-to-be-forgotten%2F%3Fguccounter%3D1&sessionId=3_cc-session_000f4427-69c0-4939-ab9a-c8e5f6a0ac63&lang=&inline=false]).

*RIFORMA DEL COPYRIGHT*
*Riforma del copyright, il Parlamento Ue ha approvato la (controversa)
direttiva*, anche se restano da superare i negoziati tra Stati e
istituzione Ue (Il
Post[https://www.ilpost.it/2018/09/12/votazione-direttiva-copyright-parlamento-europeo/])
Su questa storia della riforma del copyright ci sono stati tanti, troppi
commenti e pochi pezzi esplicativi. Anche alcune schede di fact-checking
peccavano di omissioni e vaghezze, rivelando come il fact-checking
inteso solo come format, scheda, slide, possa essere usato in modo
ugualmente fazioso, se dietro non c’è un lavoro rigoroso e trasparente.
Il tema era complesso, contorto, per certi aspetti noioso e per di più
la stessa direttiva veniva modificata progressivamente in modi anche
ambigui, con la difficoltà a delinearne in modo netto le effettive
conseguenze.
Ad ogni modo difficilmente questa direttiva sposterà gli equilibri di
potere nell’universo digitale dei flussi informativi, se questa era
l’intenzione. Ma lo era?
Segnalo *la diversità di posizioni tra la stampa italiana/europea,
fortemente pro-riforma, e quella americana*, soprattutto quella che
segueil digitale, molto più perplessa.
-EU approves controversial Copyright Directive, including internet ‘link
tax’ and ‘upload filter’ (The Verge
[https://www.theverge.com/2018/9/12/17849868/eu-internet-copyright-reform-article-11-13-approved])
-EU Gives Up On The Open Web Experiment, Decides It Will Be The Licensed
Web Going Forward
(TechDirt[https://www.techdirt.com/articles/20180912/09265740626/eu-gives-up-open-web-experiment-decides-it-will-be-licensed-web-going-forward.shtml])
-In Italia, ricostruzione dettagliata e critica di Valigia Blu
[https://www.valigiablu.it/direttiva-copyright-parlamento-europeo/]
-Interessante la posizione dell’Economist
[https://www.economist.com/leaders/2018/09/08/should-the-tech-giants-be-liable-for-content]:
trasformare i giganti tech in
censori non è la soluzione.


*APPLE E PRIVACY*
La funzione migliore degli ultimi prodotti Apple appena sfornati? La
privacy, sostiene
FastCompany[https://amp-fastcompany-com.cdn.ampproject.org/c/s/amp.fastcompany.com/90236195/forget-the-new-iphones-apples-best-product-is-now-privacy].
Che fa un *elenco di ultime (e penultime)novità introdotte sui Mac e
sugli iPhone il cui obiettivo è irrobustire la privacy degli utenti*. Ad
esempio ostacolando il tracciamento online degli utenti. iOS 12
introduce anche una tecnologia contro il fingerprinting, la profilazione
di un utente solo attraverso le caratteristiche tecniche del dispositivo
con cui naviga. Perché Apple e la privacy? Perché *il suo modello di
business è diverso* da quello di
Facebook e Google.

*Il problema della privacy degli utenti però rientra dalla finestra
delle app*. In questi giorni è emerso che dozzine di app per iOS (tra
cui app del meteo e di fitness) condividono di nascosto la
geolocalizzazione degli utenti con società terze. E come metodi di
localizzazione non usano solo il GPS ma anche le reti Wi-Fi. Ma i dati
raccolti dal dispositivo sono molteplici (Ars Technica
[https://arstechnica.com/information-technology/2018/09/dozens-of-ios-apps-surreptitiously-share-user-location-data-with-tracking-firms/]).

Perfino le app di una nota azienda di cybersicurezza, *Trend Micro*,
sono state rimosse da Apple dal suo Mac App Store dopo che alcuni
ricercatori hanno mostrato che raccoglievano la cronologia del browser
degli utenti (Bleeping Computer). Trend Micro ha poi diffuso un
comunicato di spiegazione, in cui in sostanza ammette la raccolta ma per
ragioni di sicurezza.


*CRIPTOVALUTE*
La squadra di calcio francese Paris Saint-Germain (PSG) vuole lanciare
una sua criptomoneta (CoinDesk)

































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"Faccio un lavoro che di fatto non è un lavoro, direi che è un modo di
vivere" L. Bertell

"tecnologie appropriate"

GPG keys available on keyserver https://pgp.mit.edu/

Ox 44CC 163A

Fingerprint: 946A 499A E30B 78B6 BAE1 F5B8 A03A 5077 44CC 163A