"Il recente report della Relatrice speciale dell’ONU su razzismo,
xenofobia e intolleranza ad essi connessi, E. Tendayi Achiume, continua
a far discutere. Presentato al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni
Unite riunito a Ginevra dal 18 giugno al 6 luglio nella sua 38°
sessione, la giurista esperta in migrazioni internazionali
dell’Università della California ha ribadito che a milioni di persone è
negato il diritto alla cittadinanza in nome di nozioni di purezza
nazionale, etnica o razziale. Un affondo contro l’etno-nazionalismo già
presentato all’Assemblea Generale a New York lo scorso 21 febbraio e che
aveva suscitato polemiche già in quella sede. Nella relazione è
descritta la condizione di milioni di apolidi in tutto il mondo, spesso
membri di gruppi di minoranza, che è vittima di una discriminazione di
lunga data che li considera “stranieri”, anche se residenti in un Paese
da generazioni o addirittura da secoli. Al contempo si perpetuano leggi
patriarcali che determinano una discriminazione di genere rendendo
impossibile per le donne trasferire la propria cittadinanza ai figli o
al coniuge di origine straniera: un’altra strategia per preservare la
“purezza” nazionale, etnica e razziale, e che in alcuni casi determina
la perdita di nazionalità per le stesse donne che scelgono di sposare
uno straniero e non possono neanche riacquistare la cittadinanza di
origine nel caso in cui il matrimonio finisca. Su queste eventualità era
già intervenuta l’ONU nel 1957 con una Convenzione specifica sulle pari
garanzie alle donne del diritto di acquisire, cambiare o conservare la
propria nazionalità, ratificata però da solo 70 su 193 stati membri
dell’Organizzazione internazionale.
Il pregiudizio radicato nell’etno-nazionalismo è alla base della
discriminazione razziale su cui a sua volta si fonda parte della
legislazione sulla cittadinanza e sull’immigrazione. Se in passato le
potenze coloniali europee hanno usato l’ideologia per escludere le
popolazioni locali all’interno delle colonie dall’ottenere la
cittadinanza, nel XIX e XX secolo gli ebrei e i rom sono stati presi di
mira per gli stessi motivi. Oggi sono invece i migranti a essere il
bersaglio dell’odio politico e dell’intolleranza, spesso col pretesto (o
meglio, col mito) della purezza etnica e della conservazione religiosa,
culturale o linguistica. “Gli Stati che hanno a lungo celebrato
l’immigrazione come elemento centrale della propria identità nazionale
hanno preso provvedimenti per denigrare e minare l’immigrazione, con un
effetto sproporzionato su alcuni gruppi razziali, religiosi e nazionali”
ha dichiarato la professoressa Achiume. È il caso degli Stati Uniti, ad
esempio, Paese che poggia le proprie radici sull’immigrazione ma che in
determinati periodi storici, quale quello odierno, ha scelto di porre
dei forti limiti all’accesso su discutibili basi razziali.
Incalza inoltre la Rapporteur: “L’etno-nazionalismo islamofobo o
antisemita mina i diritti dei musulmani e degli ebrei indipendentemente
dallo status di cittadinanza e il caso dei musulmani Rohingya ne offre
un esempio agghiacciante”. Si tratta di una minoranza per lo più
musulmana che vive da secoli in Myanmar, a prevalenza buddhista, e che
dal 1982 è di fatto apolide in base a una legge sulla nazionalità che
discrimina in base all’etnia. Ondate di violenza e discriminazione
feroce operate dall’esercito birmano hanno spinto migliaia di Rohingya
al di là del confine, nel vicino Bangladesh: a oggi sono circa 900mila,
presi in carico dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati e che
sopravvivono grazie alle risorse messe a disposizione dal Paese di
accoglienza e dalle organizzazioni umanitarie, che tuttavia sono in
grado a malapena di far fronte all’assistenza del quotidiano. Anzi, con
l’avvio della stagione dei monsoni sono circa 30mile i profughi in
pericolo. Mentre nei campi profughi si tentano di salvare gli alloggi di
fortuna e le infrastrutture messe a disposizione, sul piano diplomatico
il dialogo con il governo di Myanmar mette in luce i suoi limiti:
l’accordo firmato il 6 giugno scorso tra Alto Commissariato ONU per i
Rifugiati e Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) da un
lato e Stato birmano dall’altro, per il rientro dei Rohingya fuggiti dal
Paese, non prende in considerazione la concessione della cittadinanza
agli stessi. Solo quest’atto consentirebbe ai Rohingya di non essere
cittadini di serie B, o addirittura invisibili, e di ottenere quei
diritti sinora negati. Il piano del mantenimento di una certa purezza
etnico-nazionale è dunque probabilmente ancora perseguito dal governo di
Myanmar, dopo aver operato in tal senso nel più brutale dei modi: stupri
di massa nell’agosto scorso che proprio all’avvio di quest’estate hanno
determinato la nascita di centinaia di bambini frutto delle violenze
commesse dai soldati birmani. L’obiettivo resta chiaro: la rimozione dei
Rohingya come gruppo etnico."
https://www.mentepolitica.it/articolo/la-etno-nazionalismo-sotto-osservazione-della-onu/1426
https://www.ohchr.org/EN/Issues/Racism/SRRacism/Pages/IndexSRRacism.aspx