Don Gallo, la sua rivoluzione vive
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Il pensiero di don Andrea Gallo mi suscita la voglia irrefrenabile di gridare: «il Gallo vive!», ho l’impulso di brandire una bomboletta di vernice e di fare con questo slogan un graffito su ogni muro delle nostre città, come un tempo facemmo per Ernesto Che Guevara.
All’annuncio che il comandante era stato assassinato a sangue freddo da un ufficiale dell’esercito boliviano. Ma il Gallo non vive e la sua mancanza si sente terribilmente, si avverte, perché il degrado della vita politica ha avuto un’impennata esponenziale, diventa una voragine al pensiero che è salito al potere della prima potenza mondiale un tycoon ultrareazionario con vocazioni isolazioniste e simultaneamente belliciste che ha imbracciato tutto il tristo armamentario della discriminazione e della retorica patriottarda. Il Gallo avrebbe constatato con costernazione il disfacimento della sinistra europea ed italiana a cui apparteneva a pieno titolo. Il suo cuore di partigiano e antifascista avrebbe sanguinato al cospetto della risorgenza dei fascismi e dei nazismi. Il suo sigaro di prete da marciapiede fremente di rivolta avrebbe tuonato contro gli accordi con il tiranno turco e dei tagliagole libici per consegnare le vite disastrate e devastate degli ultimi, abbandonate alla tortura, al solo scopo di spostare lo scenario del dolore e della vessazione per sottrarre le immagini allo sguardo “delicato” e ipocrita dei telespettatori occidentali.
Il Gallo oggi non può guidarci, noi lo vorremmo con tutte le nostre fibre, ma lui non può mettersi alla testa dei nostri cortei e dei nostri palchi imbandierati di rosso e di arcobaleno anche se là dove si trova fra santi e beati starà facendo il diavolo a quattro perché gli diano una dispensa per farlo tornare fra la sua gente, gli umili, i diseredati, gli spostati, gli indifesi, i marginali, gli abbandonati. Il Gallo non vive ma può risorgere in noi per tornare a disegnare, con il fumo del suo sigaro, nei nostri cieli le parole «No alla guerra! Uguaglianza! Giustizia sociale!». Il Gallo per risorgere, attende la nostra resurrezione che può generarsi solo se non cediamo alla stanchezza, se non abbandoniamo lo spirito della ribellione, se torniamo a ridare voce alla speranza rivoluzionaria che un mondo diverso è possibile, ma anche urgente. Il Gallo per tornare fra noi ha bisogno della nostra militanza, della nostra rivolta inesausta e radicale contro ogni sopruso sotto qualsiasi cielo si manifesti e ad opera di chiunque contro chiunque. Don Andrea è stato per me un amico, un maestro ma anche e soprattutto un compagno. Questa parola che oggi è beffardamente considerata obsoleta, vetero comunista o offensiva, indica un idem sentire etico sociale e politico. Parola di origine cristiana fa riferimento al gesto di spezzare il pane con il nostro prossimo. Nel mutuarla la cultura del movimento operaio le ha attribuito il senso della condivisione del pane della giustizia sociale.
Il compagno Gallo mi manca, mi manca la condivisione della dimensione spirituale, il confrontarci intimo ed incessante su come potere declinare la comune passione politico sociale con una contestuale rivoluzione interiore che condividevamo nei valori fondativi dell’umanesimo monoteista; lui prepotentemente cristiano inderogabilmente prete cattolico, ed io ebreo agnostico indefessamente attratto dai vagabondaggi mistico-spirituali. Oggi avrei bisogno della sua luce per dare forza ed incisività per la lotta a sostegno dei diritti del popolo palestinese il cui calvario pare non avere fine, avrei bisogno del suo conforto per dare forza al mio diuturno sforzo di diradare la densa cortina che annebbia la vista e inaridisce il cuore di molti, di troppi ebrei accecati da rigurgiti psicopatologici e sedotti dalla retorica del governo ipernazionalista, reazionario e segregazionista dello Stato d’Israele. Con la forza di Gallo potremmo individuare un cammino politico e oltre politico scavato nel cammino dell’uomo per aprire una via inedita e forte verso il riscatto e la redenzione dalla peste della violenza.
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