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Assumpte: [autorgstudbo] Ven.9 e sab.11 marzo :: Bologna’77: non abbiamo dimenticato
*VENERDI’ 9 e DOMENICA 11 MARZO’018*


*Bologna ’77: non abbiamo dimenticato*
Venerdì 9 marzo iniziative a Vag61 a cura del Centro di documentazione dei
movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani”
<https://vag61.noblogs.org/centrodoc/> e domenica 11 marzo come tutti gli
anni saremo davanti alla lapide di via Mascarella a ricordare Francesco.
Quest’anno saranno presenti Haidi e Giuliano Giuliani. Leggi il comunicato
in coda al programma.

* VENERDI’ 9 MARZO*

*– alle 17:* *inaugurazione della sala di consultazione del Centro di
documentazione dei movimenti “F.Lorusso-C.Giuliani”*, contenente gli
archivi del Fondo Roberto Roversi e del Fondo Roberto Di Marco.* La sala
sarà dedicata a Francesco “Franz” Lo Duca*, un compagno del ’77 che, nel
corso della sua vita, ha partecipato attivamente a tante stagioni dei
movimenti. Franz è stato uno dei fondatori del Centro di Documentazione.

*– alle 19:* apertura della *mostra “Il 77 bolognese attraverso le sue
immagini e i suoi giornali”*

*– alle 20:** “Il futuro del movimento è come il jazz: meglio
l’improvvisazione del dogmatismo”. Tirare tardi in un’Osteria
Settantasettina*. Si andrà di “Pierino”, “Spaghetti al tonno del
fuori-sede” e “Coca Buton”. Tra Canzoni di lotta, cantate a squarciagola,
letture e poesie, verranno spacciati i mitici “panini scraus”.


* DOMENICA 11 MARZO *

*– alle 9,30:* come tutti gli anni saremo *davanti alla lapide di via
Mascarella a ricordare Francesco*. Quest’anno saranno presenti Haidi e
Giuliano Giuliani.

* * * * * * * * * *

*BOLOGNA ’77: NON ABBIAMO DIMENTICATO*

“La provocazione, il delitto, la criminalità, il teppismo sono aggettivi
rimossi dai soggetti ai quali competono, cioè fascisti, poliziotti,
funzionari della questura, ministri, e vengono invece rovesciati addosso ai
soggetti del dissenso, agli studenti, ai giovani prima di tutto. Il
dissenso si identifica con l’eversione, la critica è uccisa: diviene
l’esercitazione formale in mano ai cortigiani della coesistenza pacifica.
L’autodifesa del movimento è un crimine orrendo: l’informazione che
permette di spiegarla e renderla pubblica è un complotto sicuramente
preordinato: l’architettura chiusa delle istituzioni è attraversata dal
terrore per il contagio con il soggetto eversivo”.

Queste parole erano scritte su “11 marzo, foglio dei non garantiti”, sono
passati più di quarant’anni ma discorsi di questo tipo sono di una
disarmante attualità in queste giornate di antifascismo di piazza, da
Macerata a Bologna, da Milano a Torino, da Piacenza a Palermo.

Oggi, che il virus del fascismo è di nuovo in libera uscita, che si
riaffacciano sulla scena raggruppamenti che si ispirano al ventennio e al
nazismo, per fortuna, si è diffusa a macchia d’olio un’indispensabile
“omeopatia sociale”, che, ai pericoli di assuefazione, contrappone una
giusta ostilità alle bande nere, al razzismo e al sessismo. Se a
riprendersi le strade e le piazze non ci fossero nuove generazioni di
antifascisti e antifasciste, rimarrebbe solo il gracchiare delle retoriche
populiste e nazionaliste che, speculando sulle peggiori pulsioni della
popolazione, seminano germi xenofobi, di discriminazione etnica, religiosa
e sessuale.

Nel periodo politico e culturale che stiamo vivendo l’immaginario
collettivo viene sottomesso a molteplici sentimenti di paura. E’ un
immaginario poco libero, colonizzato, eterocostruito, arroccato nei
confronti del “diverso” e dell’altro.

La politica è precipitata in una di parodia mediatica che lascia ben poco
spazio a movimenti duraturi, a conquiste solide, a interventi che non siano
di facciata. Perfino i sogni e i desideri di massa vengono manipolati.

Per questo ricordare, ogni anno, con ostinazione, le giornate della rivolta
del marzo ’77 e l’assassinio di Francesco Lorusso non solo è utile, ma è
pure un esercizio necessario per contrastare quei processi di cancellazione
che mandano in frantumi la memoria e la storia dei movimenti e dei
conflitti sociali.

Quest’anno con le “celebrazioni” del ’68, ci saranno molti convertiti al
libero mercato e alla competitività che tesseranno le lodi di un movimento
“nobile” che, pur criticandola, non recise il cordone ombelicale con la
tradizione della sinistra e del Movimento Operaio ufficiale. Mentre il
radicalismo del ’77 produsse una rottura da “non ritorno” che lasciò poco
spazio alla sindrome del figliol prodigo o dei ripensamenti della maturità.

Ci sarà chi sosterrà che, tra il 1968 e il 1977, lo spirito egualitario,
che aveva animato i movimenti della fine degli anni Sessanta, finì con
l’essere sacrificato a quello libertario della seconda metà degli anni
Settanta. Ma tutti questi “professori dei bei tempi che furono” si
scorderanno di dire che il ’77 fu il tentativo di spingere la
trasformazione della società nella concretezza delle vite reali e dei
desideri che le attraversavano, prima di ogni concreto dispositivo
legislativo. E che, ancora oggi, volenti o nolenti, rimane l’unica strada
possibile, insieme al rifiuto dell’obbedienza al “dio mercato” e ai suoi
“interessi di compatibilità”.

Non saranno in molti a riconoscere che, in Italia, dal ’68 al ’77, prese
corpo uno straordinario decennio di lotte e conquiste sociali che vide come
protagonisti, in successione, operai delle grandi fabbriche, donne e
giovani scolarizzati, nuove figure del lavoro cognitivo, che proposero, in
varie forme, una “sovversione” della giornata lavorativa standardizzata.
All’interno di questi enormi sconvolgimenti sociali, quello del ’77 fu un
movimento che anticipò il futuro e produsse una crisi irreversibile della
rappresentanza politica. Le certezze individuali caddero di colpo, si
esprimeva il rifiuto di fare politica in modo tradizionale, vennero poste
al centro dell’agire collettivo i bisogni umani, materiali, culturali,
vennero cercate nuove forme di agitazione e di espressione delle idee.

Militanza e attivismo dovettero fare i conti con l’irruenza delle
diversità. a tal punto che le contraddizioni vennero adottate come forze
motrici della crescita del movimento.

Ragionamenti, a volte contorti, infarciti nelle tazze delle emozioni, che
tante volete furono resi semplici dalle mirabili interpretazioni di molti
musicisti e cantautori. Uno di questi, Stefano Rosso (quello di “due amici
una chitarra e uno spinello”), dedicò alla Bologna del ’77 questa splendida
canzone:

*L’inverno passava qualcuno di lì *
* Il nastro girava, suonava Lilly,*
* Girava il pallone, lo stadio impazzì *
* La voce tremava, l’inverno finì.*
* E poi primavera, e qualcosa cambiò *
* Qualcuno moriva, e su un ponte lasciò *

* Lasciò i suoi 20 anni e qualcosa di più *
* E dentro i miei panni, la rabbia che tu *
* Da sempre mi dai, parlando per me *
* Scavando nei pensieri miei, *
* Guardandomi poi dall’alto all’ingiù e forse io valgo di più. *

* L’estate moriva, Bologna tremò, *
* La dalia fioriva e la gente pensò *
* Dei tanti domani vestiti di jeans *
* Chiamandoli strani, ma non fu così *

* E quando m’incontri, che pensi di me *
* Tu sappi che il sole che splende è per te *
* E il grano che nasce, e l’acqua che va *
* E’ un dono di tutti, padroni non ha *
* E il grano che nasce, e l’acqua che va *
* E’ un dono di tutti, padroni non ha.*
Link: https://vag61.noblogs.org/post/2018/03/03/bologna-77-
non-abbiamo-dimenticato/

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