[Lecce-sf] le ragioni NO TAP

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Autor: Silverio Tomeo
Data:  
A: social forum, città plurale, Puglia ribelle
Assumpte: [Lecce-sf] le ragioni NO TAP
Le ragionevoli ragioni dell’opposizione popolare alla TAP

Il movimento NO TAP è un movimento competente, reale e di massa. Come per
altri movimenti del ciclo degli ultimi decenni si è dotato di competenze,
autonomia culturale, reti di collegamento nazionali e transazionali. È
soltanto ridicolo che lo si voglia imputare di infantilismo in nome della
tecnica e delle ragioni strategiche dello sviluppo. Non siamo più all’anno
zero, al dibattito preliminare pro e contro. È un movimento che ha preso la
forma di un movimento di popolo, con le comunità locali e molti sindaci in
prima fila. Una sua forma pacifica e di massa, che a volte si trova certo ad
esprimere una legittima esperienza di disobbedienza civile, dove invece le
tentazioni dell’azione di sabotaggio sono infime e tenute ai margini, spesso
solo velleitarie. Bulla per cui invocare lo stato d’emergenza, il
coprifuoco, la militarizzazione del territorio La dialettica reale di questo
movimento già riguarda la democrazia, lo Stato, le istituzioni. Le ragioni
del governo centrale e quelle del governo locale sono confliggenti, e questo
è un dato di fatto, ragion per cui nessuna soluzione autoritaria del
conflitto va quindi consentita e giustificata. Siamo peraltro a fine
legislatura e questo governo, che ha accettato (sbagliando) di considerare
strategica quest’opera, ha poco da dire e da fare, ormai, e molto di cui
vergognarsi.

Detto in soldoni: un’impresa privata multinazionale, con un pivvolo capitale
dalle origine oscure (vedi le inchieste del settimanale l’Espresso)
depositato in Svizzera, ottiene dall’Europa e dal governo italiano la
qualifica di “opera strategica” per l’approvvigionamento energetico del gas
metano che dal lontano Azerbaigian arriverebbe via mare in Nord Europa,
approdando nel Salento. Questo significa da un lato mettere a repentaglio il
Mediterraneo, per possibili incidenti e fuoriuscite di gas, dall’altra
mettere su una dispendiosa macchina mangiasoldi che prevede finanziamenti
europei ed italiani per i prossimi vent’anni. Che politici e governi
regionali abbiano minimizzato, subito, non capito, è certo. Che
propagandisti, spesso ben pagati da TAP, abbiano orchestrato campagne per
far ingoiare il boccone avvelenato è evidente. La giornalista fatta saltare
in aria a Malta, oltre che sulle tracce di capitali sporchi da riciclare in
quell’anomalo paradiso fiscale che fa parte dell’Europa, aveva anche
denunciato i fatti enormi di corruzione sul governo maltese proprio della
dittatura che vige in Azerbaigian. Nessun mago può poi sapere, in termini di
sviluppo geopolitico e di guerre possibili, cosa sarà l’ Azerbaigian tra
vent’anni, né come saranno messi i paesi che la conduttura dovrebbe
attraversare. Probabilmente è un’opera inutile e costosa che anche senza
l’opposizione dei movimenti non vedrà mai la luce, intanto succhiando soldi
pubblici e devastando territori. Quelle forze politiche che hanno sposato
acriticamente il paradigma di sviluppo energetico dell’alta velocità, dei
Global found cinesi per i pannelli voltaici che hanno portato, nella catena
dei subappalti, alla riduzione in schiavitù degli africani messa a nudo
dalle inchieste giudiziarie, del tentativo - per fortuna fallito - delle
centrali a biomasse, dei rigassificatori, delle trivelle in mare,
dovrebbero fare ammenda, ma sul serio.

Qui non è questione di alberi di ulivo, di culto totemico per un albero
altamente simbolico. Gli ulivi si possono reimpiantare, la macchia
mediterranea no, la poseidonia no. Il Mediterraneo, crocevia di civiltà, tra
i mari dalla più ricca biodiversità, è saturo di inquinanti, navi affondate
nel Tirreno con rifiuti pericolosi da alcune ‘ndrine calabresi, trivelle per
estrarre il petrolio e il gas, vecchie petroliere scassate, sommergibili
nucleari in libera uscita. È sommamente ridicola l’idea che il gasdotto (e
ce ne sono altri in cantiere) farebbe meglio ad approdare a Brindisi con in
cambio la dismissione della centrale a carbone di Cerano. Purtroppo c’è
un’inadeguatezza culturale persino nelle parti avanzate del sindacato.

Quello che non si comprende appieno è che siamo ormai di fronte a una forma
nuova, a una sorta di bio-capitalismo che non si accontenta di estrarre
plusvalore dall’orario di lavoro operaio, ma anche dalla vita, dalla salute
e dalla morte degli operai e dei cittadini del territorio circostante che
non sono neppure percettori di salario operaio. Il tutto nel vortice della
finanziarizzazione dell’economia, nel quadro del capitale finanziario
globale. Dismettere o bonificare l’ILVA costa egualmente svariati miliardi
di euro che mai nessuno metterà in disponibilità. Il fallimento di questo
modello industriale è evidente, e non se ne esce certo con la
deindustrializzazione legata alla decrescita infelice, al baratto, al dono,
all’economia alternativa circolare, al turismo creativo. Il biocapitalismo è
distruttivo anche della natura e del vivente, che considera impropriamente
parte disponibile nella proprietà dei mezzi di produzione. Se la parola
morale è importante, questa non potrà mai sostituirsi alla critica
dell’economia politica, allo studio di soluzioni reali per ciò che viene,
per l’a-venire, che è apertura, possibilità, rischio, combinatoria, e non
chiacchiera futurista di spacciatori di futuro immaginario.

Il movimento NO TAP deve attrezzarsi mentalmente e associativamente per una
battaglia di lunga durata, come questa è e sarà. La generosità, la
creatività, la passione, la consapevolezza, già ci sono, e in larga misura.
Il movimento in questi mesi ha preso una sua bella forma, deve saper
mantenere una sua unità di fondo, evitare le polemiche a chi la sa più
lunga, o a chi è più coraggioso o radicale, avere una leadership e
un’intelligenza collettiva, e saper giocare su più piani e livelli. Per
quanto ci possano sembrare ormai autoevidenti le ragioni NO TAP, le dobbiamo
sempre saper spiegare. Questa “vertenza” bisogna vincerla. Diceva Mao Tse
Tung che bisogna saper suonare il pianoforte con tutte e dieci le dita, per
dire che le battaglie vanno fatte in modo performativo, multiforme,
sapendosi risvolgere alla società civile, alle istituzioni, ai giovani, ai
lavoratori, alle tante soggettività in campo, alla cultura, ai sindacati,
all’associazionismo. E questo sta già avvenendo, è già nell’esperienza di
questi mesi.

Silverio Tomeo



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