Come il cacio sui maccheroni... a conferma di quanto scritto ieri
sull'irresponsabilità delle nostre autorità
A.Z.
*GLIFOSATO, LA VALUTAZIONE DEI RISCHI UE COPIATA DAI DOCUMENTI MONSANTO *
Le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminano gli studi sul potenziale
impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati, quasi parola
per parola, dal dossier presentato da Monsanto. Sono 100 pagine sulla
potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità riproduttiva
del pesticida
*Pubblicato il 15/09/2017 su La Stampa*
roberto giovannini
Parti del rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA)
che ha valutato i rischi dell’uso del glifosato sono stati copiati dalla
richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto.
Monsanto è la società che ha inizialmente sviluppato il glifosato, il
principio attivo usato per produrre erbicidi come il Roundup. Una sostanza
che vende da decenni, gestendo un mercato mondiale da miliardi di euro.
I governi dell’Ue, tra cui l’Italia, e la Commissione europea devono
decidere nei prossimi mesi se rinnovare o meno l’autorizzazione per il
commercio e l’uso di glifosato, che è in scadenza alla fine di quest’anno.
Alla base della decisione ci sarà appunto il rapporto preparato dall’EFSA
nell’ottobre 2015, che prende in considerazione criteri quali il possibile
impatto sulla salute umana e i rischi ambientali.
Durante l’intero processo di revisione dell’autorizzazione, gli enti
responsabili della valutazione dell’EFSA, come l’Istituto federale tedesco
per la valutazione dei rischi (BfR), hanno affermato che la loro opinione è
basata esclusivamente sulla propria valutazione obiettiva delle ricerche
scientifiche sul glifosato, ma qualcosa non torna.
Confrontando la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione che Monsanto aveva
presentato nel maggio 2012 per conto della Glyphosate Task Force, un
consorzio di oltre 20 aziende che commercializzano prodotti a base di
glifosato in Europa, e la relazione dell’EFSA si nota chiaramente che la
realtà è ben diversa. Entrambi i documenti sono accessibili online, ma
finora nessuno aveva pensato di esaminarli con più attenzione e
confrontarli.
Le sezioni del rapporto dell’EFSA che riesaminano gli studi pubblicati sul
potenziale impatto del glifosato sulla salute umana sono stati copiati,
quasi parola per parola, dal dossier presentato da Monsanto. Sono 100
pagine sulle circa 4.300 del rapporto finale, ma si tratta delle sezioni
più controverse e al centro dell’aspro dibattito degli ultimi mesi, quelle
sulla potenziale genotossicità, la cancerogenicità e la tossicità
riproduttiva del glifosato.
L’EFSA e il BfR hanno sempre affermato di aver svolto il proprio lavoro
correttamente. E’ di giugno 2017 una dichiarazione dell’EFSA in merito alla
valutazione UE del glifosato e dei cosiddetti “Monsanto papers”: “Ogni
studio scientifico è esaminato per rilevanza e affidabilità (…) sulla base
dei dati contenuti nello studio
<
http://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/topic/20170608_glyphosate_statement.pdf>
”.
Peter Bleser, segretario di Stato presso il ministero federale tedesco per
l’alimentazione, l’agricoltura e la protezione dei consumatori (BMELV), in
risposta ad un’interrogazione scritta del 7 settembre 2015 afferma che: “La
valutazione del rischio sanitario nel RAR (ndr rapporto di valutazione del
rinnovo) è basata esclusivamente su valutazioni indipendenti del BfR di
tutti gli studi citati
<
http://dipbt.bundestag.de/dip21/btd/18/059/1805977.pdf%29>”.
Le agenzie europee sono arrivate alla conclusione che il glifosato è
innocuo per l’uomo. Una valutazione che appare ora ‘copiata’ dagli studi
forniti dall’industria, il cui contenuto non puo’ essere consultato
pubblicamente.
Ben diversa l’analisi fornita dagli studi pubblicati e rivisti da gruppi di
scienziati, alla base dell’opinione dell’Agenzia internazionale per la
ricerca sul cancro (IARC) che segnala il possibile ruolo del glifosato
nello sviluppo di tumori. Questi studi sono stati criticati da Monsanto,
che li ha definiti non attendibili e irrilevanti, studi che l’EFSA ha
dunque scelto di ignorare nella sua valutazione.
I documenti sembrano confermare che il BfR e di conseguenza l’EFSA non
hanno condotto nessuna revisione indipendente degli studi scientifici sui
potenziali impatti del glifosato sulla salute umana, prendendo per buona la
valutazione fornita dall’azienda produttrice.
Dopo la pubblicazione dei «Monsanto Papers», il confronto tra i due
documenti getta ulteriore incertezza sull’obiettività della valutazione
presentata dall’EFSA, sulla quale i rappresentanti politici degli Stati
membri sono chiamati ad esprimersi entro la fine 2017. Su un piatto della
bilancia il diritto a procedere per Monsanto e per i produttori di
glifosato, sull’altro un legittimo dubbio.
---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: Aldo Zanchetta <aldozanchetta@???>
Date: 24 settembre 2017 22:34
Oggetto: Veleno nel piatto, nella padella, nel bicchiere e nel naso
A: "forumlucca@???" <forumlucca@???>
Continuando nell'acritica fiducia nella tecnoscienza e nei suoi prodotti
sempre a
e continuando a non voolerci privare degli ultimi ritrovati
Incuranti verso le responsabilità di chi ci governa a tutti i livelli, dal
locale al nazionale al Sacro Germano Impeuro, preoccupati del 'pericolo
immigranti' ma assolutamente incapaci di proteggerci dagli altri pericoli
Ignari che siano oltre ventimila i prodotti chimici autorizzati e in
commercio sui quali mancano studi di pericolosità accurati e soprattutto
dei loro effetti cumulativi nel tempo
Ecco il PFAS
Buona lettura
AZ
*I veleni dei Pfas, Zaia pronto a varare una legge: "Il governo non agisce"*
Caso Miteni, il presidente del Veneto annuncia: "Ridurremo drasticamente i
limiti dell'inquinante". Lo screening dei quattordicenni residenti nella
zona rossa conferma la presenza della sostanza chimica nel sangue. Il Cnr:
problemi anche in Piemonte, Lombardia e Toscana. E Greenpeace presenta un
rapporto: "L'azienda sapeva e non ha informato gli enti locali"
*di CORRADO ZUNINO*
*ROMA -* Non è solo il Veneto a essere inquinato dai Pfas, gli
impermeabilizzanti più diffusi al mondo: servono per cerare giacconi e
proteggere smartphone, per fabbricare le pellicole antiaderenti delle
padelle, la carta da pizza, la sciolina dei fondisti. Il Veneto però, che
conosce il problema più grande - l'azienda Miteni di Trissino
<
http://www.repubblica.it/ambiente/2017/03/22/news/acqua_la_fabbrica_dei_veleni_che_allarma_il_veneto-161100423/>,
provincia di Vicenza -, ha deciso di accelerare nell'affrontarlo.
Il presidente *Luca Zaia* lunedì scorso ha detto: "I ministeri italiani non
vogliono emanare una legge nazionale sui limiti dell'inquinante e allora in
questa regione ci arrangeremo. In piena autonomia, procederemo a una
drastica riduzione dei limiti dei Pfas che possono essere presenti nelle
acque delle rete idrica". Gli uomini di Zaia parlano di "futuri limiti
molto bassi, assimilabili a quelli oggi in vigore in Svezia". E' la prima
volta che nei confronti dei perfluoroalchilici si definisce un perimetro di
pericolosità e se ne fa discendere una legge.
La decisione del presidente del Veneto arriva dopo che lunedì scorso il
ministero della Salute - contraddicendo le richieste del 18 maggio e del 23
agosto arrivate dal ministero dell'Ambiente - ha respinto la proposta di
realizzare una direttiva nazionale e un conseguente monitoraggio in tutto
il Paese: "Il problema Pfas è concentrato solo nelle quattro province di
Vicenza, Rovigo, Venezia e Padova", ha scritto la Direzione generale della
prevenzione sanitaria.
In realtà, uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche fatto nel 2013
ha già esteso la questione a "vari territori italiani": Santa Croce
sull'Arno in provincia di Pisa, per esempio, poi il sottobacino Adda-Serio
in Lombardia e ancora l'area del Bormida che riceve gli scarichi dagli
impianti chimici di Spinetta Marengo (qui siamo in provincia di
Alessandria) allargando infine le criticità "all'intera asta del Po da
Torino a Ferrara".
Gli ottanta milioni richiesti al governo per gli interventi strutturali
sulle reti idriche non sono stati ancora messi a bilancio (Zaia attacca la
Ragioneria generale, l'opposizione locale parla di ritardi della giunta
veneta), ma nella zona rossa a Sud di Trissino - 180 chilometri quadrati,
79 comuni - la tensione è alta. Gli operai della Miteni, mercoledì scorso,
hanno scioperato per otto ore e lo stesso governatore ha incontrato le
"mamme dei Pfas". Già. In queste settimane sono diventati pubblici i primi
controlli clinici avviati a gennaio 2017: riguardano ragazze e ragazzi di
14 anni e, in diversi casi, sono state rintracciate nel sangue tracce di
Pfas (e Pfoa) tutt'altro che trascurabili: da 70 fino a 300 nanogrammi per
grammo.
Studi nordamericani parlano di una presenza media di 2-3 nanogrammi in ogni
persona, ma nessuno finora ha identificato una "soglia di pericolo". Ai
quattordicenni con solfuro di carbonio e acido fluoridrico "sopra la media"
è stata offerta - dal 15 settembre - la pulizia del sangue (plasmaferesi).
Alcune famiglie hanno accettato. E' un intervento, dice l'epidemiologo
Vincenzo Cordiano, "mai provato nel mondo".
Greenpeace chiede a Zaia di "bloccare tutte le fonti di inquinamento da
Pfas" e di abbassare drasticamente i livelli di sicurezza della sostanza
nell'acqua, "attualmente in Veneto sono tra i più alti al mondo".
L'associazione ambientalista oggi presenta una radiografia societaria della
Miteni Spa di Trissino. Avvalendosi di un istituto olandese esperto in
questo genere di controlli, Greenpeace ha scoperto che "la principale fonte
di inquinamento dell'area" (oltre a Miteni nel Nord-Ovest di Vicenza hanno
lavorato a lungo molte concerie) è parte di un gruppo chimico
internazionale, Icig, controllato da una holding lussemburghese che negli
ultimi quattro anni ha pagato un'aliquota fiscale del 13,3 per cento.
La holding, amministrata da due industriali tedeschi, è al 50 per cento
nelle mani di un fondo svizzero. Cassaforti dentro cassaforti. Lo studio
presentato da Greenpeace definisce il Gruppo Icig "un investitore
opportunista che acquista pezzi di grandi conglomerati farmaceutici o
chimici non più interessanti per le aziende di origine". E ancora, "una
realtà finanziaria che adotta strategie di acquisizione e vendita
aggressive: rileva imprese, le ristruttura tagliando i costi, in
particolare quelli del personale, e le rivende con profitto". Miteni comprò
l'azienda di Trissino nel 2009 dal gruppo giapponese Mitsubishi: il valore
stimato era di 33,86 milioni, la pagò un euro.
Negli ultimi dieci anni Miteni SpA ha sempre chiuso il bilancio in perdita
riducendo la forza lavoro da 176 a 126 dipendenti. Il collegio sindacale
considera i "rossi" un rischio per la continuità aziendale e, nel 2016, ha
invitato i proprietari a ricapitalizzare. La Procura di Vicenza ha indagato
dieci dirigenti dell'azienda per inquinamento di acque e ambiente. Un
risanamento serio, e l'eventuale risarcimento dei cittadini danneggiati, ha
un costo ipotizzato di almeno 200 milioni di euro, ma nel 2016 Miteni spa
sotto questa voce aveva messo a bilancio solo 6,54 milioni (la holding che
la controlla, tuttavia, ha disponibilità pari a 239 milioni). "Visti i
numerosi studi ambientali commissionati da Mitsubishi prima della vendita",
sostiene il report, e vista la presenza di Brian Anthony McGlynn come
consigliere delegato sotto la prima gestione e poi come presidente durante
la stagione Icig, "è probabile che i nuovi acquirenti conoscessero i rischi
ambientali dell'impresa acquistata".
L'8 marzo scorso i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Treviso
hanno certificato come Mitsubishi e Miteni Spa negli anni 1990, 1996, 2004,
2008 e 2009 abbiano incaricato varie società di consulenza di effettuare
indagini sullo stato di inquinamento del sito e, nonostante l'obbligo, "non
abbiano mai trasmesso i risultati a Regione, Provincia e comuni". Conclude
il report Greenpeace: "La condotta omissiva di Miteni Spa ha comportato che
l'inquinamento da Pfas si propagasse nella falda a chilometri di distanza".