[RSF] La guerra navale fra Italia e Francia

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Autore: PCL Roma
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Oggetto: [RSF] La guerra navale fra Italia e Francia
La guerra navale fra Italia e Francia
Per l'unità fra i lavoratori italiani e francesi contro la truffa dei
sovranismi nazionali


La “guerra” navale tra Italia e Francia attorno al controllo dei cantieri
di Saint-Nazaire è una cartina di tornasole della natura della “Unione”
Europea, ma anche del volgare inganno sovranista. A conferma dell'analisi
marxista del capitalismo, e dell'interesse indipendente della classe
operaia.

La stampa borghese italiana di questi giorni è un vero spettacolo. Sino a
poche settimane fa l'aspirante bonaparte Emmanuel Macron veniva salutato
come statista esemplare, fulgido modello di salutare liberismo, campione di
quei valori dell'europeismo che la classe dirigente italiana sarebbe
incapace di interpretare. Oggi gli stessi editorialisti borghesi denunciano
il presidente francese come traditore dell'Europa, miserabile
protezionista, nemico dell'Italia, sino a reclamare dal governo italiano
una reazione radicale. Grotteschi, ieri come oggi.

La verità è che Macron non ha tradito un bel nulla se non le ipocrite
illusioni dei suoi cantori liberali, imprigionati dalle nebbie della
propria ideologia. Macron difende gli interessi dell'imperialismo francese,
come Gentiloni difende gli interessi dell'imperialismo italiano. Gli uni e
gli altri contro i lavoratori italiani e francesi. Non esistono il
liberismo e il protezionismo come categorie astratte e modelli ideali.
Esiste la materialità degli interessi capitalistici che ricorrono di volta
in volta a misure “liberiste” come a misure “protezioniste”, a seconda dei
propri mutevoli interessi e dei diversi ambiti. Il capitalismo impone
sempre il proprio principio di realtà contro le astrazioni dei suoi
ideologi.

La crisi capitalistica internazionale e l'enorme crescita della spesa
mondiale in armamenti fanno della cantieristica (civile e militare) un
terreno di aspra competizione su scala globale senza risparmio di colpi. Si
calcola che tra il 2016 e il 2025 il settore militare coinvolgerà nel mondo
un giro d'affari di 770 miliardi. Tutte le potenze capitaliste sono
interessate alla spartizione del business, a partire dagli imperialismi
europei, gli uni contro gli altri armati.

La volontà francese di un controllo nazionale sulla propria cantieristica,
col plauso di tutta la Francia borghese, del nazionalismo lepenista, ma
anche del tricolore Melenchon, non risponde affatto alla volontà di
salvaguardare i posti di lavoro degli operai francesi, come recita Macron:
il suo progetto di attacco frontale ai diritti sindacali dei lavoratori
mira, guarda caso, a liberalizzare i licenziamenti, peggiorando addirittura
l'infame legge sul lavoro di Hollande. Macron vuole in realtà tutelare il
controllo del capitalismo francese sul proprio comparto militare, cui sono
interessati i cantieri di Saint-Nazaire, gli unici in grado di costruire
portaerei. Vuole difendere la capacità competitiva della Francia nello
scontro coi grandi produttori asiatici, coreani e giapponesi. Vuole
candidarsi alla spartizione annunciata della grande affare delle commesse
australiane e canadesi, con la ristrutturazione delle rispettive marine
militari. Vuole soprattutto impedire che il capitalismo italiano, con
Fincantieri, possa soffiargli il malloppo. In questo quadro Macron cerca
l'appoggio della cantieristica tedesca (Meyer Werft), nel nome di un comune
sbarramento “europeo” contro le aziende cinesi del settore, con cui
Fincantieri è in affari.

E l'Italia piagnona che oggi denuncia lo sgarbo francese con aria
scandalizzata? E la sinistra riformista che sul quotidiano “comunista” il
Manifesto chiede testualmente di «fare qualcosa per difendere la dignità
nazionale, a questo punto troppo bistrattata» (28/7)? Pura ipocrisia o
sconcertanti vaneggiamenti. Fincantieri è tra le più grandi imprese
capitalistiche nazionali, con investimenti in tutto il mondo, dal Brasile
al Vietnam sino agli Stati Uniti. Ha il primato mondiale nella produzione
di navi da crociera. Si candida a espandere la propria presenza (già
significativa) nel comparto militare in sinergia con Leonardo. Il controllo
italiano sui cantieri di Saint-Nazaire è un pezzo di questa strategia, in
aperto contrasto con l'interesse francese. La... “dignità nazionale” dei
capitalisti italiani è pertanto sufficientemente tutelata.

“Ma i capitalisti francesi si stanno comprando le imprese italiane
impedendo all'Italia di comprare le imprese francesi!”, grida sdegnata la
stampa nazionale, e tutta la carovana sovranista. Falso. Il capitale
finanziario francese ha sicuramente allargato, e di molto, la propria
presenza in Italia (nelle banche, nella moda, nell'industria
agroalimentare, nella logistica, nel grande commercio, nei media) secondo
le regole di quel libero mercato finanziario difeso da tutti i soloni
borghesi “europeisti” che oggi lamentano l'invasione d'oltralpe. Ma i
capitalisti italiani a loro volta hanno investito 52,2 miliardi
nell'acquisizione di pacchetti azionari delle imprese francesi negli ultimi
vent'anni. E proprio nel 2016 l'Italia ha sfilato alla Francia la più
grande commessa militare mondiale: la creazione dal nulla della marina del
Qatar. Un giro d'affari gigantesco per decine di miliardi, di cui
Fincantieri, coi suoi stabilimenti liguri, si è assicurato il controllo.
L'altolà della Francia sui cantieri di Saint-Nazaire è anche una ritorsione
per lo sgarbo subito in Qatar.

Ma allora gli operai italiani sono interessati al successo di Fincantieri
contro la Francia? Niente affatto. Fincantieri costruisce le proprie
fortune sullo sfruttamento degli operai, come i padroni francesi su quello
dei propri salariati. La maggiore concentrazione di operai immigrati
nell'industria italiana si registra nella cantieristica, nella fitta rete
di appalti e subappalti di cui Fincantieri si circonda, con livelli di
supersfruttamento e di omicidi bianchi senza eguali. L'ultimo contratto
integrativo in Fincantieri (purtroppo firmato dalla FIOM) sancisce
l'arretramento dei diritti sindacali, un peggioramento delle condizioni del
lavoro, la compressione del salario. Il successivo contratto di categoria
(firmato e difeso da Landini, in cambio del proprio ingresso nella
segreteria CGIL) peggiora ulteriormente il quadro, regalando oltretutto ai
padroni il nuovo affare del welfare aziendale. Non è un caso se proprio tra
i lavoratori di Fincantieri si è registrata un'ampia opposizione a questi
accordi capestro.

L'intera vicenda porta allora a una sola conclusione generale. L'Unione
Europea non è affatto il dominio di una oligarchia sovranazionale che
annulla la sovranità degli Stati, come è stata dipinta in questi anni dalle
culture sovraniste, di destra e di sinistra. L'Unione Europea è l'unione di
Stati nazionali imperialisti, in lotta l'uno contro l'altro per la
spartizione dei mercati, ma uniti nella contrapposizione agli operai
europei (e nel saccheggio di paesi minori della stessa UE come la Grecia).
La bandiera dell'”interesse nazionale” è la truffa che subordina gli operai
alla propria borghesia, contro gli operai degli altri paesi concorrenti:
gli operai francesi contro gli operai italiani, gli operai italiani contro
gli operai francesi. A trarne vantaggio sono unicamente i capitalisti e i
loro governi nazionali, che ovunque impongono ai propri operai condizioni
di lavoro e di vita sempre peggiori, ma pretendono di arruolarli nella
propria guerra contro i capitalisti concorrenti.
È necessario spezzare questo gioco. “Gli operai non hanno patria”, scriveva
il Manifesto di Marx. Questo principio vale oggi ancor più di allora.
L'interesse vero degli operai passa per l'unità internazionale delle
proprie ragioni al di là di ogni divisione di frontiera, a partire dalla
contrapposizione ai capitalisti di casa propria. Unire la lotta dei
lavoratori europei della cantieristica, dell'acciaio, dei porti, di ogni
settore del lavoro salariato, contro la classe dei capitalisti e contro i
loro governi, è l'unica risposta reale. Per l'unica prospettiva europeista
che risponde realmente all'interesse dei salariati: quella di un'Europa dei
lavoratori, degli Stati uniti socialisti d'Europa.



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