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Autor: Antonio Bruno
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Temat: [NuovoLab] A chi vorrebbe trasformare lo spirito di Genova in una reliquia
A chi vorrebbe trasformare lo spirito di Genova in una reliquia
di Lorenzo Guadagnucci e Vittorio Agnoletto — 19 luglio 2017

“La generale ansia di rimozione ci pare evidente. Lo spirito di Genova dev’essere liquidato come sterile retaggio del passato e con esso vanno eliminate dalla scena pubblica attuale le ragioni di un movimento”. La lettera aperta di Lorenzo Guadagnucci, co-fondatore del Comitato Verità e Giustizia per Genova, e Vittorio Agnoletto, già portavoce del Genoa Social Forum

Passano gli anni e la contestazione al G8 di Genova del 2001 rischia di finire nella categoria dei luoghi o dei fatti della memoria, con tutto ciò che di norma ne consegue in termini di ricordo retorico, a volte nostalgico, sempre fine a se stesso. Poiché siamo convinti che l’estate del 2001 sia stato uno spartiacque politico e culturale ancora attuale, vorremmo mettere a fuoco uno snodo che ci sembra oggi pressante, ossia una certa tendenza alla rimozione, ossia un’attitudine rinunciataria, nel mondo della cultura e dell’attivismo, che ci pare assai pericolosa.

Genova G8 resta uno spartiacque politico e culturale perché mai come in quelle giornate, come in quella fase politica, è emerso con tutta la sua forza il nuovo discrimine fra destra e sinistra, fra adattamento all’ideologia dominante e prospettive di giustizia sociale e ambientale su scala planetaria. È attorno al rigetto del paradigma neoliberale, con la conseguente ricerca di nuovi modelli di società, che si gioca il futuro della sinistra e più in generale la possibilità di immaginare, riprendendo uno slogan genovese, “un’economia capace di futuro” e quindi una società che persegua l’eguaglianza fra le persone e su scala globale .

Le idee forti dei forum e delle manifestazioni genovesi sono ancora in campo -la libertà di movimento per ogni essere umano, il ripudio del debito iniquo, la democrazia partecipativa, l’apertura alla visione indigena di Madre Terra, il superamento dell’ideologia della crescita- e altre che hanno preso forma in seno ai movimenti degli anni successivi, come la prospettiva dei beni comuni e il rifiuto dello strapotere della finanza. Perché mai dovremmo abbandonare questo patrimonio ideale e politico costruito dal basso e attraverso i continenti? È però quanto sta succedendo, con la complicità più o meno consapevole di spezzoni importanti della cittadinanza attiva e militante, forse vittima di stanchezza o rassegnata al prevalere dell’apparato mediatico e culturale mainstream. Rischia così di avverarsi il vero obiettivo della repressione genovese del luglio 2001: criminalizzare il movimento, attraverso la violenza istituzionale, per criminalizzare le sue idee e metterle fuori gioco.

Genova G8 non è un capitolo chiuso della nostra storia e lo si vede anche in Parlamento: all’inizio di luglio è stata approvata una legge sulla tortura, la cui ragione d’essere va ricercata proprio nelle giornate del luglio 2001, viste le condanne inflitte allo Stato italiano dalla Corte europea per i diritti umani dopo i ricorsi di alcuni cittadini per le torture praticate dentro la scuola Diaz. Ma l’esito legislativo è stato paradossale, con l’approvazione di un testo che non sarebbe applicabile a un nuovo caso Diaz o a un nuovo caso Bolzaneto, come spiegato in una decisiva quanto inascoltata lettera-denuncia alla presidente della Camera firmata da undici magistrati genovesi impegnati negli anni scorsi proprio nei processi Diaz e Bolzaneto. Abbiamo dunque una legge sulla tortura destinata a lasciare impuniti, e quindi a legittimare, la maggior parte dei casi di tortura che avverranno di qui in avanti. Il varo di una legge del genere è una grave sconfitta per la società civile e dovremmo chiederci seriamente perché siamo arrivati a tale risultato, per quali debolezze, con quali complicità.

È triste ma necessario constatare che in questa vicenda le organizzazioni deputate alla tutela dei diritti umani e in generale il mondo delle grandi associazioni e gli stessi sindacati, sono stati scavalcati, per rigore, coraggio e tenacia da pochi singoli attivisti e professionisti (avvocati, studiosi, docenti universitari) e da soggetti istituzionali come i magistrati genovesi o il commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, i cui puntuali e potenti messaggi alle istituzioni italiane sono stati lasciati cadere nell’indifferenza generale. È cioè prevalsa una logica minimalista -tipica dell’apparato politico-mediatico mainstream– secondo la quale occorre accontentarsi di quel che passa il convento-parlamento, perché non è tempo di grandi ideali e di grandi progetti e non è quindi il caso di lottare fino in fondo nemmeno quando si parla di diritti fondamentali.

Anche nelle settimane che hanno accompagnato il dibattito attorno alla legge sulla tortura, le giornate di Genova 2001 sono state evocate come un’imbarazzante pagina del passato, da chiudere al più presto, senza citare e tanto meno spiegare le ragioni per le quali centinaia di migliaia di persone scelsero di partecipare alla contestazione degli otto capi di stato e di governo, senza ricordare i nomi dei mandanti e degli esecutori delle torture e delle violenze, ridotte a fatti sì esecrabili ma come caduti dal cielo, come se non vi fosse stata a monte una precisa volontà politica di criminalizzare quel nuovo e sorprendente movimento globale che metteva in discussione i cardini del pensiero unico neoliberale.

Ai silenzi e alle omissioni si aggiunge il desiderio, anche in ambiti culturali “di sinistra”, di celebrare il de profundis definitivo delle idee e delle speranze di quei giorni. Quale sia l’obiettivo di tali operazioni è ben evidente; nel migliore dei casi un amarcord attorno a un cimelio -il G8 di Genova- sul quale si può anche spargere qualche nobile sentimento di commozione, qualche misurata frase di rimpianto, qualche parola di rammarico, ma a condizione di dichiarare solennemente chiuso e sigillato quel capitolo della nostra storia, dopo averlo sottratto all’attualità delle vicende politiche che scuotono il mondo odierno per trasformarlo in neutro oggetto di dissertazione teorica.

La generale ansia di rimozione ci pare evidente. Lo spirito di Genova dev’essere liquidato come sterile retaggio del passato e con esso vanno eliminate dalla scena pubblica attuale le ragioni di un movimento tanto radicale nella sua visione quanto competente nelle sue proposte; va ad ogni costo evitato il rischio di ascoltare i protagonisti di quegli eventi e le loro ragioni di ieri e di oggi: si rischierebbe di scoprire che non tutte le contraddizioni sono tranquillamente componibili nella narrazione funebre.

Davvero temi, battaglie e speranze si sono fermate nelle piazze e nelle strade di Genova? Davvero lo spirito di quelle giornate non ci parla più? Davvero chi ha vissuto Genova ha smesso di reputarsi parte di un processo di cambiamento che sta avvenendo su scala globale? Davvero i molti protagonisti di allora non hanno più niente da dire e non meritano d’essere ascoltati?

A noi sembra invece che la prospettiva portata sulla scena pubblica a cavallo dell’anno 2000 fra Seattle, Porto Alegre e Genova, con i suoi grandi ideali e la sua visione globale, sia tuttora di evidente attualità, se solo pensiamo ai grandi nodi politici del nostro tempo, pressoché coincidenti con l’agenda politica di quel movimento: le diseguaglianze drammaticamente crescenti; l’esplosione delle spese militari con la banalizzazione delle guerre e il continuo ricorso alla violenza; la predazione incontrollata delle risorse naturali; l’emergenza ambientale legata ai cambiamenti climatici; la tirannia del debito pubblico; la pretesa di negare il diritto alla libertà di movimento. Perché mai dovremmo nascondere a noi stessi che Genova G8 è tuttora fonte di grande e creativa ispirazione politica? Perché dovremmo subire, anche su questo piano, come è avvenuto per la legge sulla tortura, la logica minimalista del sistema mediatico e culturale mainstream?

Siamo a sedici anni dai forum, dai cortei e dalle piazze tematiche che portarono in primo piano una forte e radicale opposizione di massa all’ideologia neoliberale e ci sembra di poter sostenere, con buoni argomenti, che lo spirito di Genova non è affatto una reliquia della politica italiana: è semmai una vicenda aperta, un enorme patrimonio ideale e culturale al quale fare riferimento nelle lotte presenti e future, coscienti come siamo che lo slogan coniato a Porto Alegre nel 2001 -“Un altro mondo è possibile”- non ha smesso di ispirare milioni e milioni di persone attraverso il pianeta.

Lorenzo Guadagnucci, co-fondatore del Comitato Verità e Giustizia per Genova, Vittorio Agnoletto, già portavoce del Genoa Social Forum, autori del libro “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova”, Feltrinelli 2011.