[NuovoLab] Sturt-up minacciano ai poveri e lo stato sociale

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Auteur: Antonio Bruno
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Sujet: [NuovoLab] Sturt-up minacciano ai poveri e lo stato sociale
LE START-UP SONO LA VERA MINACCIA AL WELFARE STATE.
Fatto Quotidiano 28.6.2017 Filippomaria Pontani

In questo mondo di voucher, in questo mondo di eBay, uno dei pochi dogmi che sembrano unire la Merkel e Renzi, Report e Un Posto al Sole, le università e la Commissione Europea, è la fede nel potere salvifico delle "start-up".
Imprese da creare in una notte dotati solo di un computer e un'idea, ad alto tasso d'inovaizone e pronte a generare profiti, come nelal terra promessa (evocata, visitata, emulata) della Silicon Valley.
Tanto più necessario appare dunque il libro che un giornalista californiano, Steven Hill, ha appena scritto per il pubblico tedesco: Die Start-up Illusion (Knaur - Verlag): forte in libreria, ha suscitato vivaci dibattiti e prevedibili ostilità nella stampa liberale.
Hill descrive con toni impietosi la realtà che si cela dietro il glamour delle imprese digitali di oltreoceano: il 70% delle start-up falliscono ne lgiro di poche settimane e il 90 % non va mai in attivo; con rarissime eccezioni, le start-up impiegano poche persone, e poche in modo stabile (Upwork, il grande market place dei lavoretti freelance ha non più di 250 impiegati che gestiscono milioni di prestazioni occasionali nel mondo); le start-iup vivono per lo più di un lavoro a chiamata o a cottimo che talora (le aste online al ribasso ripristina condizioni tipiche dell'era di Dickens; le start-up dstrutturano ogni idea di "luogo di lavoro" o "orario d ilavoro" e molto raramente producono qualcosa id concreto, ma spesso organizzano il lavoro altrui (non di rado al limite dello schiavismo) o al peggio scopiazzano le idee di altre start-up più grandi nell'attesa di farsi comprare da loro; molte start-up rispondono a bisogni inesisteni, tentando di indurli nei potenziali clienti, e non mettendo altro in moto che i propri interessi di sopravvivenza; le start-up di successo, poi, ovvero quelle che si espandono a livello globale, spesso approfittano di legislazioni carenti o inadeguate per minimizzare le spese fiscali (chiedere ai tassisti di Uber dei loro contratti o grattare dietro la superficie di Airbnb, i cui maggiori profitti non vengono certo dalla sharing dei proprietari di un solo immobile).
Insoma, secondo Hill, minano alla base ogni idea seria di pato sociale e di welfare state.
In Germania, sono passati quasi 20 anni dalle riforme di Gerhard Schroder, che all'indomani dell'Annessione (come la definisce Vladimiro Giacchè in un libro memorabile) hanno afossato per sempre le idee della socialdemocrazia tedesca; da allora è un trionfo di contratti a tempo, "mini jobs" a 450 euro mensili (sono oggi circa 7 milioni il 17% dei lavoratori), licenziamenti facili, contratti atipici, salari fermi, fondi-pensione orivati, forme di precarietà di ogni ordine e grado (a tempo indeterminato è ormai il 55 % della forza lavoro, in Olanda si arriva al 50%); soprattutto sono aumentare esponenzialmente le diseguaglianze sociali e quelle sul posto di lavoro, in quanto si è insistito sulla quantità dei posti di lavoro anzichè sulla loro qualità.
E questo in anni in cui il Paese è cresciuto molto, giovandosi di un'unione monetaria costruita a proprio sostanziale vantaggio e a detrimento dei diretti concorrenti.
Hill non comprende come mai, in un contestu di diffuso malessere, aggravato dall'avanzare dell'automazione e dela digitializzazione, che consumano posti di lavoro non si pensi anzitutto a chi non riesce a pagare più i contributi per l'assistenza sanitaria, a chi ha fallito nel diventare "imprenditore di se stesso" (il mantra degli anni zero) , a chi (il 15 % dei lavoratori tedeschi) guadagna meno del salario minimo ed è spesso contretto a passare più tempo a cercare un lavoro precario che non a eseguirlo, e come mai il governo punti invece (anche tramiti copiosi finanziamenti ad hoc) a rendere Berlino il centro europeo dele start-up, investendo denari in una linea produttiva effimera ("le imrpese vuote") in scommesse dall'incerto avvenire, e in modalità lavorative destinate ad aggravare il disagio di larghe fasce della popolazione, soprattutto quella giovane.
Semmai, asuo parere, l'economia digitale europea, più asfittica di quella americana, che è anglofona e conta su un Paese immenso - potrebbe avere un futuro se, anzichè gingillarsi in impossibili rincorse a Facebook o Google, intervenisse a supporto delle piccole e medie imprese di provincia che rappresentano il nerbo dell'economia, dei suo posti di lavoro e del suo export, provando a colmare la distanza antropologica che separa al cultura odierna del "lavoro liquido" dal "modello Budenbrook" della storica azienda familiare inserita in un contesto cittadino.
E' interessante che un americano come Hill - forse scottato dal fenomeno Trump - si rivolga in modo accorato alla Germania (meglio, alla sua immagine della Germania) affinchè eserciti la guida di un altro modo di concepire il "capitalismo sociale" e di evitare il ritorno a forme di lavoro servile.
Anche se alcune sue proposte (anzitutto la creazione di un "conto di previdenza personale" finanziato da un aumento dei prezzi) paiono utopistiche in un mondo che ha scelto di competere al ribasso sul costo del lavoro, il punto che egli tocca è quello giusto; la necessità di partire non già da forme di reddito garantito (favorito anche da economisti alla Milton Friedman, certi che siano la scusa perfetta per giungere a completare lo smatellamento dello stato sociale di tipo europeo), bensì dal concetto di uguaglianza sul lavoro e sui lavori, che fornisca tutele, argini il peggioramento della qualità degli impieghi e venga garantita da uno stato in grsado di farsi rispettare e di decidere con calma e democrazia - non sull'onda delle mode - quale strada immaginare per il futuro.

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"Eppure il vento soffia ancora ...." Pierangelo Bertoli, (Sassuolo, 5 novembre 1942 – Modena, 7 ottobre 2002)

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