Ciao a tutt@,
premetto in questa mia email il mio ringraziamento a chi si è sbattut@
perché anche quest'anno ci fosse hackit.
È sempre una gioia infinita questi giorni con voi, con i compagni di un
pezzo di vita importante, e che praticamente solo ad hackit riesco a vedere.
Finite le smancerie arrivo all'argomento:
quest'anno sono arrivato ad hackit con mio figlio, 13enne
smartphonedotato, in perenne lotta con il device per combatterne la
dipendenza (e con i genitori che gli scassano gli organi genitali per
non farglici passare sopra troppo tempo).
Amante delle scienze (forse in risposta ai genitori umanisti), attratto
dalle tecnologie anche se non particolarmente spippolatore, arriva
venerdì ad hackit con me molto curioso.
Facciamo un giro, conosce i miei compagni di sempre, saluti e
presentazioni, passiamo per la lan space, entriamo nelle sale, torniamo
indietro, chiacchieriamo. Poi io mi fermo a parlare con qualcuno e lui
si estranea. Mi avvicino "tutto bene?" "Sisi, mi fanno male le gambe,
sono stanco" che nel suo linguaggio significa "mi sto rompendo i
coglioni". Sicché velocizzo le chiacchiere ed i saluti (tanto poi
torno), mi avvicino a lui "vuoi fare un altro giro, magari c'è qualcosa
di interessante che non abbiamo visto..." "nono, sono stanco, andiamo da
xy?" "certo".
Si esce, si chiacchiera e si arriva da chi ci ospita e lì si rimane.
Sabato pomeriggio ci sono i talk che mi interessano e viene anche lui,
la mia compagna, gli amici e i loro figli.
Faccio un giro con lui, gli chiedo se vuole venire a sentire il talk sul
libro del Forte "no, vado a giocare a ping pong".
A cena si chiacchiera e ad un certo punto lui, alla domanda se gli è
piaciuto hackit risponde "si si.... ma non c'era nulla di quello che
piace a me, solo la stampante 3D. Sui cellulari non c'era nulla....".
È stato lo spunto per parlare con gli amici di questa cosa, ed anche con
qualche compagno ad hackit sabato sera, ed abbiamo più o meno convenuto
tutte e tutti che se nel 1998 a Firenze, un 13enne sprovveduto come mio
figlio, ma come lui appassionato di tecnologia, fosse entrato al CPA,
avrebbe iniziato a sbavare copiosamente, perché si sarebbe trovato di
fronte non solo e non tanto quello che gli interessava in quel momento,
ma quello che gli sarebbe interessato da lì a qualche anno e che ancora
non aveva manco iniziato a prendere in considerazione.
Eravamo avanti, noi acar@ italiot@ di fine secolo, e lo siamo stati per
un bel po' di tempo (almeno fino a metà '00).
Ora un 13enne sprovveduto come mio figlio, ma come lui appassionato di
tecnologia entra ad hackit e preferisce giocare a ping pong, per non
annoiarsi.
Chi è nato nel 2000 oggi ha 16 anni, è alle superiori e potrebbe stare
in un collettivo. Magari frequenta un centro sociale o roba affine, è un
attivista se non un militante (o dir si voglia).
Cosa usa per comunicare con i suoi compagne e compagni?
Il seminario di Pinke e Ginox ha iniziato a darci qualche risposta
(anche se su numeri bassissimi, ma è pur sempre un inizio); così come
chiunque di noi frequenti giovani di quell'età ha le sue.
Nelle mie supplenze alle medie ho avuto a che fare con qualche decina di
ragazzi tra gli 11 e i 14 anni. NESSUNO usa l'email (e quindi mailing
list et simila); TUTTI usano whatsapp.
Tutti hanno un pc o un portatile in casa, ma quasi nessuno lo usa.
TUTTI usano lo smartphone per andare in rete quotidianamente.
Nel mio caso (che è particolare, perché vivo in una periferia agricola
dove la tecnologia non è il principale stimolo possibile) alla domanda
"che cos'è facebook" la risposta è stata "un'app". Manco sapevano che è
un'azienda. Un'app.
Quindi ci troviamo di fronte ad una massa sempre maggiore di utenti
quotidiani di dispositivi potenzialmente connessi alla rete (gli
smartphone), che vengono usati per comunicare, senza che ci sia la
consapevolezza (nella massa) di cosa, come e perché.
Tutti 'sti ragazzi fossero venuti ad hackit si sarebbero rotti come mio
figlio: non c'era nulla che gli parlava della loro quotidianità.
Punto: la butto lì, uno spunto su cui - penso - sarebbe cosa buona e
giusta riflettere.
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"un carabiniere mi disse: lottate lottate, che poi se vincete,
a noi ci mettono una stella rossa sopra il cappello
e vi picchiamo lo stesso". Roma, 1971
Guglielmo "Billi" Bilancioni