[Forumlucca] CASO ILARIA ALPI MIRAN HROVATIN : AGGIORNAMENTO

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Auteur: laura picchi
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Sujet: [Forumlucca] CASO ILARIA ALPI MIRAN HROVATIN : AGGIORNAMENTO



            
        Caso Alpi, il teste-chiave ''pagato dalle istituzioni italiane''

        

    




    Dettagli
    Pubblicato: 04 Aprile 2016    




    di Miriam Cuccu
Per il delitto Alpi-Hrovatin c’è un innocente in cella. Ora il processo di revisione



Dalla Gran Bretagna giungono nuovi dettagli sul caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin,
giornalista del Tg3 e operatore uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994.
Qui, infatti, gli inquirenti italiani hanno raggiunto “Gelle”, alias Ahmed Ali Rage,
che aveva accusato il connazionale Hashi Omar Hassan (poi condannato a
26 anni) dell’omicidio dei due italiani. Salvo poi ritrattare e
rifugiarsi a Birmingham, dove si è rifatto una vita.
Già in due
occasioni Gelle aveva detto di aver accusato Hashi per essere stato
pagato dalle istituzioni italiane e incastrare così l’altro somalo. Ed è
quanto avrebbe confermato anche davanti ai magistrati che sono volati
oltre la Manica per interrogarlo, a seguito dell’apertura a Perugia del
processo di revisione per il delitto Alpi-Hrovatin, per il quale l’unico
condannato (che ha trascorso 16 anni in carcere, mentre ora è ai
servizi sociali per buona condotta) è in realtà innocente. Hashi ha
sempre respinto l’accusa di concorso in omicidio sostenendo la sua
estraneità ai fatti di Mogadiscio.
Una prima volta nel 2002, proprio a
ridosso della condanna del connazionale, Gelle aveva telefonato al
giornalista somalo Sabrie sostenendo di aver “accusato qualcuno che non
c’entra nulla con l’omicidio dei due giornalisti”. E che: “Per farlo
sono stato pagato dalle istituzioni italiane”. Poi, lo scorso anno, è
stato raggiunto dalla trasmissione “Chi l’ha visto” andata in onda il 18
febbraio del 2015. “Non è stato Omar Hashi Hassan ad uccidere Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin. Io non ho visto chi ha sparato, non ero lì” aveva
detto. Parole che fanno crollare come un castello di carte vent’anni di
convinzioni e di verità processuali su quell’unico responsabile, alle
quali peraltro la famiglia non ha mai creduto.
La deposizione di
Gelle, condotta dal pm romano Elisabetta Ceniccola, sarebbe stata
secondo quanto detto dalla Procura di Roma “molto complessa” e “che
richiede ulteriori indagini”. È stato proprio a seguito della puntata di
“Chi l’ha visto” che il pubblico ministero (dopo essere stato provato
che l’uomo raggiunto dalla trasmissione televisiva fosse proprio Gelle)
ha chiesto ed ottenuto dalle autorità britanniche di poterlo interrogare
su quanto accaduto in Somalia. E, soprattutto, sulla ritrattazione
delle sue accuse.
Gelle arrivò in Italia solo quattro anni dopo la
morte di Ilaria e Miran, nel 1997, dopo essere stato considerato
attendibile dall’ambasciatore italiano Giuseppe Cassini. Hashi Omar
Hassan fu arrestato a gennaio del 1988 dalla Digos di Roma, dopo la
testimonianza resa da Gelle, alla quale però mancava il riconoscimento
da parte del teste e la conferma delle dichiarazioni nell'aula del
tribunale. Prima che entrambe avessero luogo, Gelle sparì per 17 anni,
fino a quando rilasciò quell’intervista shock. Nessuno, da allora (fino
alla rogatoria di pochi giorni fa) è mai andato a cercarlo. E questo
nonostante già da dieci anni gli inquirenti conoscessero persino
l’indirizzo di Birmingham in cui si trovava la sua abitazione.
Oltretutto, dopo essere stati desecretati gli atti della Commissione
parlamentare d’indagine, è emerso che già nel febbraio 2006 la Direzione
della polizia criminale del ministero degli Interni aveva comunicato
alla Commissione stessa dove Gelle fosse “sparito”.
L’altra
vacillante prova che ha determinato la condanna di Omar Hashi Hassan è
stato il riconoscimento da parte di Abdi, autista della troupe e ormai
deceduto. Secondo l’ambasciatore Cassini, che lo portò in Italia, “una
persona non affidabile e che farebbe qualunque cosa per sopravvivere”.
Parole pronunciate dal diplomatico in occasione della deposizione,
sempre desecretata pochi giorni fa, resa davanti alla Commissione
d’inchiesta nel 2004, ad ottobre. Abdi, diceva Cassini, “è un bantu. La
testimonianza di uno come lui è labile” e per la quale “non gli darei un
soldo bucato”.
Domani, 5 aprile, al processo di revisione della
condanna contro Hashi Hassan sfileranno molti protagonisti di questa
intricata vicenda, tra cui anche l’ambasciatore Cassini. Il primo passo
per ricostruire una storia ancora tutta da scoprire.

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