[Lecce-sf] da parte di Stefano

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Quella di “don Cesare”, “angelo degli immigrati” è una storiaccia che pare
non finire mai. Le abbiamo raccontate e denunciate in ogni dove, a partire
dal film inchiesta “Mare nostrum” (2003)
<http://www.arcoiris.tv/scheda/it/2957/>
http://www.arcoiris.tv/scheda/it/2957/ , le nefandezze compiute dal prete
padrone del fu Cpt ‘Regina pacis’ (e dai suoi compari di merende) che
dall’osanna di media, alti prelati e politicanti d’ogni risma finì in
gattabuia con accuse infamanti. Per lui era già stato battezzato il “partito
della nazione”: si spesero da Raffaele Fitto a Mantovano, allora vice
ministro agli Interni, dalla Poli Bortone alla Prestigiacomo, da Casini a
Buttiglione compreso l’intero establishment dei Democratici di Sinistra
pugliese. Ma l’indecente saga salentina e italiana non finì lì. Tanto che i
processi a carico di Lodeserto non si contano da quel 2003 in poi. Le accuse
anche: c’è buona parte del codice penale, roba da delinquenza abituale. Ma
come da consumata prassi in patria arriva anche la prescrizione per uno dei
fatti più gravi, quello per violenze e sevizie quando era direttore del
Centro di Permanenza Temporanea ‘Regina Pacis’, sostenuto e coperto dalla
Curia locale, finanziato con fiumi di fondi pubblici. In questo caso, è
bene ricordarlo, l’accusa per lui era di “gravi violenze con sevizie e
crudeltà” : insieme a otto carabinieri del XI Battaglione Puglia, a due
medici e alcuni suoi scagnozzi al soldo della omonima fondazione religiosa,
aveva prima pestato a sangue e poi ingozzato di carne di maiale cruda alcuni
migranti musulmani, rinchiusi a spese della collettività nel ‘suo’ centro,
in spregio alla loro religione. Fu informato anche l’allora pontefice
Giovanni Paolo II che riuscì soltanto a benedire i migranti torturati,
partirono campagne di controinformazione e decine e decine di interrogazioni
parlamentari, che caddero nel vuoto, di chi aveva capito l’antifona. Tanto
che il prete rimase a gestire la Guantanamo salentina fino alla condanna in
Appello di due anni e otto mesi, così bassa solo perché in Italia non
esisteva (come non esiste oggi) il reato di tortura. A seguire, puf… tutto
prescritto anche grazie ai favori di un pool di avvocati di grido pagati da
chissà chi, si fa per dire, dato che il prete risultava nullatenente. Poi
nuove accuse per truffa, sequestro di persona, calunnia, violenza privata e
altre gioiose amenità, compiute stavolta ai danni di alcune ex prostitute
che ”accoglieva” anch’esse al ‘Regina pacis’, lo portarono per qualche
giorno in galera. Con lui, indagati e dopo undici anni di processi
condannati, furono anche il nipote Giuseppe Lodeserto e Natalia Vieru, da
sempre sua sodale di nefandezze.

Il “don Cesare”, diventato nel frattempo presenza imbarazzante persino per
il chi l’aveva sempre coperto e sostenuto (il vescovo Cosmo Ruppi,
presidente della Cei di Puglia, oggi defunto) fu mandato in missione
pastorale. Indovinate un po’ dove? A casa della Vieru, che nel frattempo
aveva sposato il nipote, nella capitale moldava Chisinau. Per aprire un
altro braccio della fondazione ‘Regina pacis’. Qui ha perseverato con le
“opere di bene” che aveva imparato a fare nel Salento e, tanto per darsi
qualche nuovo aiutino, con altri fondi pubblici come quelli che gli portò
l’allora presidente della Provincia salentina, l’avvocato ed ex senatore Ds
Giovanni Pellegrino. Persino alcune visite blasonate non si fece mancare,
come quella dell’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema in ossequiosa
trasferta. Come se il Lodeserto fosse davvero un santo missionario e non un
personaggio da dizionario del crimine che stava subendo in patria fior di
processi e già qualche condanna. Bontà loro.

Per star tranquillo comunque il prete intestò ad un prestanome (il fratello
della Vieru) la direzione della fondazione ‘Regina pacis’ in Moldavia,
mentre lei si dedicava anche al riciclaggio con personaggi poi arrestati per
un’ inchiesta su fondi neri Enav-Finmeccanica (se volete approfondire
leggete a margine uno dei link). Quasi un salto di qualità, si potrebbe
dire…

Questo è quanto, e vi assicuro che vi sono stati risparmiati numerosi altri
interessanti passaggi. Fino agli inizi di marzo 2016 (pochi giorni fa)
quando dopo oltre un paio d’anni dalla condanna definitiva a 5 anni e 4 mesi
con interdizione perpetua dai pubblici uffici, per la giustizia italiana
arriva la chiusura della vicenda: al Lodeserto viene concesso di scontare un
residuo di pena di 2 anni e otto mesi a Quistello, nel mantovano, presso l’
associazione “Ave Maria nostra Speranza”. Lo stesso luogo dove fu arrestato
nel 2005, anch’esso al centro di processi, tra condanne e assoluzioni. Lì,
dove con i denari pubblici destinati all’accoglienza dei migranti Lodeserto
aveva costruito, come accusarono i giudici, un residence di lusso. In quel
caso la fece franca perchè il reato di peculato cadde grazie al Concordato
tra Stato e Chiesa: di quei fondi pubblici la Curia di Lecce poteva farci
quello che voleva, anche giocarci al lotto. Ma oggi la nuova benedizione il
prete tuttofare la deve ad un nuovo pool di blasonati avvocati, guidati in
questo caso da tale Fritz Massa, parlamentare del partito di Matteo Renzi.
In comunità “assisterà un disabile e darà supporto e aiuto alle strutture
religiose del posto”. Contenti loro… “Espiata la pena tornerà a fare del
bene in Moldavia”, assicurano i legali. Anche per questo l’impressione è
che a questa maledetta storia non si possa ancora aggiungere la parola fine.



stefano mencherini, giornalista indipendente e regista Rai



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