[Retenowar] Fwd: In ricordo di Sher Khan, assassinato 6 anni…

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http://heval.altervista.org/6-anni-fa-freddo-gelo-disumanita-assassinavano-sher-khan/


*In questi giorni son 6 anni che ci lasciato Mohammad Muzaffar Alì, per
tutte le compagne e i compagni di Roma e non solo, Sher Khan. Un nome che
purtroppo non dirà più nulla a tanti, troppi, della “sinistra italica”. Ma
che invece dovrebbe dirci tutto e di più. Sher Khan è stato il simbolo di
una stagione intensa di lotte, di passione, di militanza vera, di umanità
assetata di altra umanità e di giustizia, in cui si è riuscito a costruire,
respirare, lottare insieme, realmente. E’ stato il primo, erano gli anni in
cui nasceva Senzaconfine, gli anni in cui incrociò Dino Frisullo, don Luigi
Di Liegro, Eugenio Melandri ed altri che la parola compagno veramente la
seppero vivere e far vivere. Sher Khan è morto nel freddo dicembre di ormai
6 anni fa. Era appena uscito, dopo 40 giorni di detenzione, dal CIE di
Ponte Galeria, al termine di una vita dura, durissima, costellata di
fatiche e stenti. E di lotte e passioni. 6 anni dopo è un imperativo non
dimenticare Sher Khan, Mohammad Muzaffar Alì, morto di freddo e disumanità
6 anni fa per lottare, e cercare di costruire un mondo migliore strappando
ad ogni barbarie ogni giorno un pezzetto di umanità, con e per i tanti Sher
Khan di ogni giorno.*

*UN SUO ARTICOLO PUBBLICATO DA SENZACONFINE NEL 1994*

* [image: 13568_197825007662_733472662_3065244_130053_n]
<http://heval.altervista.org/wp-content/uploads/2015/12/13568_197825007662_733472662_3065244_130053_n.jpg>
*
http://www.senzaconfine.org/senzaconfine/wp-content/uploads/2013/06/Marzo-1994Aggressione-a-SherKhan.pdf
*parole
di vent’anni fa, parole terribilmente attuali *

(fonte immagine: Baruda.net, http://baruda.net/tag/sher-khan/ )



*ALCUNE TESTIMONIANZE SCRITTE SUBITO DOPO LA NOTIZIA DELLA MORTE*

*“Sher Khan: un leader pachistano fiero e determinato”*
Alfio Nicotra
Se chiudo gli occhi lo rivedo lì. In quel pastificio poco fuori San Lorenzo
a Porta Maggiore. Ci viene incontro con la sua tunica bianca e il sorriso
sornione sotto i baffi. Siamo dentro un alveare umano, credo nel 1990.
Reti, materassi, panni stesi, fornelli per il gas ovunque. Sher Khan sembra
il padrone di casa, ci fa strada in quella strana visita guidata. La
Pantanella è tutto un odore di umanità. Pelli colorate e babele di lingue.
Gli “invisibili” qui hanno un volto e, sia pur in modo precario, un rifugio
dal freddo.
Sono passati diciannove anni e la notizia ti arriva come un pugno dritto
nello stomaco. Non fai neanche in tempo a riprendere fiato e ti accorgi che
i ricordi ti stanno portando indietro. Questa volta sono in via Turati,
stesso periodo, sede di Senzaconfine, piena di fumo e volti asiatici.
“Cazzo Dino spegni questa sigaretta, non si respira”. Ma lui, Dino
Frisullo, è un tabagista inguaribile e Sher Khan invece un leader
pachistano fiero e determinato. L’associazione Senzaconfine di Eugenio
Melandri come la Caritas di Luigi Di Liegro era una delle poche realtà che
si faceva attraversare dall’organizzazione di base dei migranti in una
città che ogni giorno metteva in discussione la sua vocazione cosmopolita.
Sher Khan parlava italiano a scatti, ma la sua voce calda, quando parlava
nella sua lingua fluiva senza intoppi e doveva entrare nel cuore. Doveva
essere così perché per anni la comunità pachistana è stata tra le più
attive e combattive. Prima e dopo la sanatoria della legge Martelli. La
sede di Senzaconfine era nel quartiere dell’Esquilino, a due passi da
piazza Vittorio sotto i cui portici l’altra notte Sher Khan è morto di
freddo.
Al gelo, probabilmente colpito da un malore che gli ha impedito di
raggiungere lo stabile occupato di Ponte Mammolo, è morto un leader, un
protagonista di lotte straordinarie per la dignità. E’ morto da clandestino
e senza un tetto fisso. Nel disumano gioco dell’oca del sindaco Alemanno
fatto di sgomberi e caccia al clandestino questa è la condizione “normale”
di vita (o non vita?) di migliaia di esseri umani.
Chissà se Sher Khan sabato era alla manifestazione contro Berlusconi e
chissà cosa avrà mai pensato di quella marea di bandiere viola e rosse.
Chissà qual è stato il suo ultimo pensiero, desiderio o carezza. L’ultima
volta, qualche mese fa, mi era apparso all’improvviso, proprio in piazza
Vittorio. Mi aveva porto la mano dicendomi “ti ricordi, sono Sher Khan”.
Certo che ti ricordo, indomito leone pachistano, testardo combattente di
una umanità negata. Che stretta di mano la nostra e come era buono
quell’ultimo caffè bevuto insieme. Chiudo gli occhi e ti rivedo. Sher Khan
ucciso dal freddo e dall’indifferenza di Roma. Probabilmente anche dalla
nostra.





*IN MEMORIA E RISPETTO DI SHER KHAN*

Sher Khan è morto stanotte !
Morto di freddo e di patimenti (fuori dal CIE-Ponte Galeria solo da 3 giorni
, ” perché privo di permesso nonostante il soggiorno in Italia da almeno 20
anni”) in quella multietnica P.za Vittorio divenuta anche il sacello della
tragica storia del riscatto degli immigrati.
Morire di freddo nella metropoli della storia è un infamia da gridare ai
quattro venti.
Con oltre 600 chiese,centinaia di palazzi monumentali e di luoghi pubblici
al
coperto, 20000 appartamenti sfitti, una decina di occupazioni di case, oltre
30 spazi-centri sociali occupati , svariate sedi sindacali confederali e di
base , circoli e sezioni di partito : morire di freddo a Roma è una
bestemmia,
un controsenso, l´indice barbaro della modernità che continua ad uccidere
per
cattiveria, qualunquismo, indifferenza.
Ne portiamo tutti la responsabilità , quella di non aver fatto abbastanza
per
lenire la sofferenza !
Sher Khan era parte di noi. Lo abbiamo conosciuto tra i primi, per la
prestanza irriverente con cui affrontava e tutelava i bisogni-diritti
negati ai
suoi simili. Per l´assillo che metteva ovunque ci fosse un sopruso : con
quel
fiero volto, simpatico e sorridente; con quelle manone calorose e
gesticolanti;
con quel cipiglio da capopopolo , arringante e ritmante fluviali slogan da
megafono.
Lo abbiamo aiutato e sostenuto; cazziato per alcune ingenuità ed errori ,
dovuti per lo più allo stato di esclusione programmata a cui le istituzioni
costringono gli immigrati per far ricadere su di loro le colpe e i misfatti
della politica.
Sher Khan Addio ! Addio al tuo – di tanti – sogno di emancipazione e
liberazione , di cui avvertiamo e sentiamo il peso per non essere riusciti a
soddisfare : prendiamo rinnovato impegno perché il tuo sacrificio non sia
stato
inutile, così che altri tuoi-nostri fratelli e sorelle potranno realizzarlo
!
Addio Sher Khan , la terra ti sia accogliente .
Un saluto a pugno chiuso.

Vincenzo Miliucci per la Confederazione Cobas

*Comunicato stampa *

*Sher Khan è morto *

Sher Khan è morto. E’ stato trovato morto sul marciapiede di piazza
Vittorio, dove passava spesso le sue giornate tra gli immigrati, che da
anni cercava di aiutare nelle pratiche per il permesso di soggiorno e per
l’accoglienza. Gli agenti dicono che il suo cuore si è arrestato, per il
freddo, per l’alcool…. era uscito solo tre giorni fa da Ponte Galeria, dopo
vent’anni in Italia, e – ironia della sorte – avrebbe avuto tra poco il
permesso per motivi umanitari, dopo un lungo calvario burocratico e dopo
svariati soggiorni al centro di identificazione ed espulsione, sempre
rilasciato. Già, perchè lui in Pakistan, il suo paese, non ci poteva
tornare, rischiava la persecuzione.
Aveva guidato ormai quasi vent’anni fa la battaglia della Pantanella
insieme a Don Luigi Di Liegro e a Dino Frisullo, che oggi non ci sono più.
Aveva continuato caparbiamente a occupare case, a guidare manifestazioni,
con la voce sempre più roca ma sempre in prima fila. Un gran rompiscatole,
che ti telefonava alle ore più impensate dicendo “corri, c’è tanti ragazzi
qui che dormono al freddo, bisogna fare qualcosa”, oppure “bisogna
organizzare una manifestazione per i permessi di soggiorno, subito,
adesso”, ed era capace di non mollare la presa finchè non ti mettevi in
moto, finchè non scrivevi per lui un comunicato alle 2 di notte, o non ti
occupavi di un caso particolarmente difficile.
Sher Khan è morto. E’ morto di freddo. Dormiva nelle occupazioni, certo non
badava molto a se stesso; più volte era stato aggredito da gruppi di
fascisti, come lui definiva tutti gli aggressori. Di botte ne ha prese, ma
ha continuato a lottare. Fino a stamattina. Tornerà in Pakistan: forse per
nostalgia, ma “se muoio portatemi al paese”, aveva detto negli ultimi
giorni. E per la prima volta, in tasca avrà il suo permesso di soggiorno
ormai inutile. Stasera alle 18 ci sarà una riunione a piazza Vittorio per
organizzare un saluto e il suo ultimo viaggio.
Con tristezza, e la sensazione di rabbia per non aver fatto abbastanza,
Alessia Montuori

*Sher Khan, irregolare sempre in prima fila*

*Cinzia Gubbini – il manifesto*

Un mazzo di fiori e alcuni ceri. E soprattutto i compagni di lotta di Sher
Khan, increduli, in questo angolo di piazza Vittorio – tra via Bixio e via
Principe Eugenio – dove ieri notte è stato trovato morto «un clochard»,
come hanno battuto le agenzie di stampa. Ma in poche ore nella Roma
antirazzista si è diffusa la notizia: una volta tanto quel «barbone», quel
«senza fissa dimora», lo conoscono tutti. Si chiamava Mohammad Muzaffar
Alì, detto Sher Khan, e ieri sera il gruppo di persone corse in piazza
Vittorio – dove era stata convocata una riunione per decidere cosa fare per
rendergli omaggio – non smettevano di ricordare quanto fosse «un
infaticabile rompicoglioni».
Alto, grosso, come tanti immigrati dall’Asia non aveva mai imparato a
parlare bene l’italiano. Rimbomba nelle orecchie la sua voce possente: «Noi
vo-glia-mo permesso di soggiorno». Era lo slogan scandito fino al
parossismo nelle grandi manifestazioni antirazziste degli anni ’90. In quei
primi movimenti di massa che vedevano le comunità immigrate organizzarsi
per chiedere un documento. Sher Khan c’era sempre. Aveva iniziato alla
Pantanella, insieme a don Luigi Di Liegro e Dino Frisullo. Aveva fondato al
prima associazione degli immigrati asiatici, la «Union asian workers
association». «Un gran rompiscatole, che ti telefonava alle ore più
impensate dicendo “corri, c’è tanti ragazzi qui che dormono al freddo,
bisogna fare qualcosa”, ed era capace di non mollare la presa finché non ti
mettevi in moto», lo ricorda Alessia Montuori di Senzaconfine.
A Roma era arrivato nel 1988 dal Pakistan, dalla città di Dera Ghaji Khan
dove ora si cercherà di rimandare il suo corpo facendo una raccolta fondi.
Ad aspettarlo sono rimasti solo alcuni fratelli. Giovedì prossimo, invece,
ci sarà una commemorazione e forse anche un corteo. A lui sarebbe piaciuto.
Per Sher Khan fare politica, organizzarsi, fare gruppo e contestare era un
modo di vita. «Uno splendido caratteraccio, che ti costringeva a mollare
ogni impegno per fare le cose, con ogni mezzo necessario», per dirla con il
responsabile immigrazione di Rifondazione, Stefano Galieni. L’esatto
contrario del «modello immigrato» a cui aspirano le leggi italiane: Sher
Khan era il tipico soggetto che in tanti avrebbero volentieri cacciato a
calci fuori dall’Italia. Un improduttivo, uno con cui non era facile
ragionare, uno che non ha mai fatto niente per piacere. E, in parte, ce
l’hanno fatta. È stato un lavoro facile: a Sher Khan è stata data la
caccia. Non a lui in particolare, ovviamente. Ma ogni nuova barriera
edificata a suon di legge per rendere impossibile una vita dignitosa a chi
non si normalizza, gli ha tolto un pezzetto d’aria. Il suo lavoro era
un’occupazione informale, ma preziosa: accompagnava gli immigrati in
questura, si occupava di seguire le loro pastoie burocratiche, e in cambio
chiedeva dei soldi. Mai abbastanza – a differenza di altri – per diventare
ricco. Infatti non ha mai avuto una casa. Sher Khan ha sempre vissuto dove
capitava. Fino alla fine di settembre abitava nell’occupazione della
Cartiera, quella che è stata sgomberata dal sindaco Gianni Alemanno insieme
all’occupazione dell’ospedale Regina Elena. Centinaia di persone per strada
perché secondo il sindaco di Roma non si possono più tollerare illegalità.
Sempre per lo stesso motivo – e cioè perché non si possono tollerare le
illegalità – Sher Khan ha passato il mese di ottobre nel Centro di
identificazione e di espulsione di Ponte Galeria: non aveva un permesso di
soggiorno. Ora si scopre che a giorni ne avrebbe ottenuto uno per motivi
umanitari: glielo avrebbe rilasciato la questura di Roma, dove alla fine
era approdata la sua antica richiesta di asilo politico. Un permesso che
non avrebbe risolto la sua situazione se non per poco tempo: quel tipo di
documento dura un anno, ed è difficilissimo da rinnovare. Presto, sarebbe
tornato ad essere un clandestino. Il primo permesso lo aveva ottenuto tanti
anni fa con la sanatoria delle legge Martelli. Poi, siccome uno straniero
per vivere in Italia deve avere un regolare contratto di lavoro e una casa
con tutti i crismi, ha finito per perderlo. Cosa dovessero identificare a
Ponte Galeria – visto che il soggetto era ben conosciuto dalla questura
romana – non si capisce bene, ovviamente. Né dove avrebbero voluto
espellerlo, visto che Sher Khan viveva da ventidue anni in Italia. Infatti,
a rinviarlo in patria non ci ha pensato nessuno: ha semplicemente fatto un
ennesimo soggiorno nelle patrie galere per stranieri per poi tornare sui
marciapiedi di Piazza Vittorio. Forse, un po’ più depresso. Una persona che
lo ha incontrato proprio martedì dice di aver raccolto le sue lamentele:
«Non sto tanto bene», avrebbe detto. Certamente non abbastanza per vivere
in strada.
La legge, invece, Sher Khan la conosceva bene. Non le è sfuggito. Aveva
precedenti penali, e alcuni anni fa è stato condannato a un anno e otto
mesi di galera con un’accusa infamante: tentativo di stupro. Ma
quell’episodio che destò scandalo, va raccontato per quello che è stato
almeno il giorno della sua morte: Sher Khan toccò il sedere a un’addetta
alla sicurezza delle metropolitane con cui litigò perché – ubriaco e senza
biglietto – voleva infilarsi sul treno. Chi lo ha conosciuto, e ha
conosciuto il suo modo a volte arrogante e machista di relazionarsi, può
tranquillamente immaginarlo mentre compie un atto del genere. La condanna –
e altri precedenti legati alla sua vita di strada – hanno rappresentato un
insormontabile ostacolo all’ottenimento di un permesso di soggiorno. Quello
che ha chiesto a gran voce attraversando le strade di Roma per vent’anni.
Se n’è andato senza riuscire a metterci le mani sopra. Che maledizione,
Sher Khan.



*Annamaria Rivera, “La nostra barbarie”, il manifesto, 10 dicembre 2009.*

Mohammad Muzaffar Alì, detto Sher Khan, in Pakistan non era un marginale,
ma un capopopolo, un oppositore politico istruito, e stimato quanto
perseguitato. In Italia, Mohammad Muzaffar Alì era solo Sher Khan. Da Sher
Khan «aveva fatto la Pantanella», come si dice, cioè aveva partecipato alle
prime lotte per i diritti dei migranti. Da Sher Khan aveva incontrato Luigi
Di Liegro e Dino Frisullo e da loro era stato rispettato e protetto. Aveva
poi partecipato a ogni corteo, lotta, occupazione di case, lui che una casa
non l’avrebbe mai avuta e sarebbe morto di sconforto e di freddo su un
marciapiede di Piazza Vittorio. Era un ribelle nato, Sher Khan, perciò un
rompiscatole, perciò destinato a frequentare prigioni e lager per migranti.
Uno senza casa, senza lavoro, senza status legale, che va e viene da luoghi
di detenzione prima o poi si ammala e magari finisce alcolizzato. Negli
ultimi tempi Sher Khan beveva più del normale ed era gravemente malato. Ma
continuava a lottare caparbiamente. Perfino nel corso dell’ultimo soggiorno
a Ponte Galeria si era dato da fare: aveva organizzato un’assemblea e uno
sciopero della fame, e li aveva resi pubblici. Perfino quelli che lo
conoscevano bene mai si sarebbero aspettati che finisse morto assiderato
dalle parti di Piazza Vittorio, appena uscito da Ponte Galeria. Come Joseph
Roth nella Parigi degli anni Trenta. Ma forse gli anni Trenta sono tornati
senza che ce ne accorgessimo.

Chiediamoci tutti, e non retoricamente, che razza di Paese sia quello che
riserva un tale trattamento a un perseguitato politico, oltre tutto
bisognoso di cure. Che città sia quella che lascia che migranti, marginali
e poveri muoiano per strada di freddo. Che sinistra sia, soprattutto quella
istituzionale, che non riesce a prestare aiuto e solidarietà concreti a un
compagno come Sher Khan. E infine che antirazzismo sia quello che, sì,
magari ancora è capace di organizzare qualche protesta e di assicurare a
questo o a quello la tutela di qualche legale. Ma spesso dimentica che
tutti, anche quelli come Sher Khan, hanno bisogno di nutrirsi e di essere
curati, di dormire al caldo e di essere consolati, perfino coccolati se
sono appena usciti dall’incubo di Ponte Galeria. No, non basta invocare la
barbarie in cui è precipitato il Paese. Forse anche noi siamo parte della
barbarie e perciò nessuno può credersi assolto.



*Annamaria Rivera, “Vietato il corteo per Sher Khan”, il manifesto, 17
dicembre 2009*



Si sa, i corpi più vulnerabili stanno sempre nella plaga simbolica
dell’alterità indistinta che ispira aggressività, nel senso dell’*annullare,
*oppure indifferenza, nel senso del *lasciar morire*. Da vivo, Sher Khan
hanno cercato di annullarlo, di piegarne forza e coraggio, di farlo cadere
nel fondo della condizione sociale: con la discriminazione e privazione di
diritti, con il sequestro del corpo sofferente in galere o lager per
migranti. Poi hanno lasciato che una notte morisse per strada, di malattia,
di freddo, di sconforto. Dopo le prime notizie, per lo più all’insegna del
“barbone morto di freddo” e prive di ogni pietas; dopo l’indifferenza del
primo cittadino, mal mascherata da gelide dichiarazioni burocratiche –“il
Piano-freddo partirà come ogni anno”, arriva il divieto della questura per
il corteo in suo onore, giustificato in nome del santo natale e del
consumo. Eppure onorare un uomo che ha testimoniato, pur con i suoi limiti,
interesse e solidarietà per gli ultimi –lui stesso fatto divenire ultimo-
sarebbe stato un modo degno, per chi è cristiano, di onorare l’Uomo che si
sacrificò per gli ultimi. Ma la retorica delle radici cristiane e dei
crocifissi è ormai solo uno dei tanti slogan pubblicitari che il potere
marcescente utilizza per corrompere le coscienze e la qualità civile del
Paese. Ci sono corpi e corpi. C’è l’ostentazione iterata e drammatizzata,
oscena e isterica, del volto del Potere insanguinato da una lieve ferita,
proposto come sacra sindone. Per ricordarci i nostri peccati mortali: il
mancato idoleggiamento del potere, la pretesa di criticarlo, sottrarsi ad
esso, contrastarlo. E c’è l’annullamento dei corpi di cui il potere fa
strage nelle galere, nelle traversate del Mare nostrum, nell’inferno
libico, nelle missioni di pace, in cantieri, fabbriche e campagne, nei
lager per migranti, in ospedali rischiosi, nelle strade delle nostre città,
ostili e insicure per gli *altri*. Sher Khan è stato uno di quelli da
annullare e oggi occultare. Rispettarlo e onorarlo è invece dovere morale e
politico per noi che da vivo non l’abbiamo protetto abbastanza, né abbiamo
saputo impedire che vent’anni d’Italia lo riducessero a corpo sofferente
quanto irriducibile. Sappiamo quel che lui avrebbe fatto di fronte a un
corteo vietato: il vocione roco, la gestualità immoderata, il sorriso
furbo, si sarebbe messo alla testa senza esitare. Fare come lui può essere
un bel modo per ricordarlo.

*Giovedì 17 Dicembre alle ore 17:00 *

*Saremo a Piazza Vittorio per la veglia pubblica per Mohammed Muzzafar Alì,
detto Sher Khan.*

Ci saremo per ricordarlo e ricordare insieme a tutti gli antirazzisti le
battaglie portate avanti insieme.

Ci saremo per ricordarci che ancora molto da fare se c’è ancora chi muore,
di freddo, per strada…

Saremo insieme anche per denunciare pubblicamente le colpe di chi non lo ha
assistito durante la detenzione nel C.I.E. di Ponte Galeria e fuori, quando
è stato lasciato al suo destino.

Chiediamo a tutti di partecipare a questo momento di lutto che vuole anche
essere un momento di riflessione collettiva sul da farsi affinché le
battaglie per i diritti dei migranti siano ogni giorno nelle strade e nella
vita di questa città, nella vita di tutti noi così come lo è stato per Sher
Khan.

Per chi voglia contribuire alle spese per il funerale e per il trasporto in
Pakistan si può utilizzare il conto dell’associazione Senzaconfine,
specificando nel bonifico “per Sher Khan” e mandando contestualmente una
mail a senzaconfine@???.

Conto n. 111215 intestato a Associazione Senzaconfine
Banca Popolare Etica – Roma
IBAN: IT91W0501803200000000111215

Claudio Graziano

Responsabile Immigrazione

Arci Roma