---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: "'v.miliucci@???' via nowaroma" <nowaroma@???>
Data: 02/nov/2015 12:02
Oggetto: [nowaroma] comunicato Cobas sulle elezioni in Turchia + media
A: hyperlink@???,cosenza2feb@???,strikemeeting@???,info.uikionlus@???,basinozet@???,coordinamentokurdistan@???,alfo911@???,ulmora@???,sandroponzetti@???,etdavoli@???,s.crisci@???,ondarossa@???,redazione@???,pifano@???,nowaroma@???,190roma@???,ignizedda@???,alfteresa@???,mariomiliucci@???,a_mazzeo@???,martinalc99@???,pensionati@???,cobasprivato-roma@???,silvsimo@???,ibinibio@???,vittorio.fagioli@???,maciacia50@???
Cc:
COMUNICATO CELLA CONFEDERAZIONE COBAS SULLE ELEZIONI TURCHE
HA VINTO ERDOGAN CON LO STATO DI GUERRA, LE STRAGI E UN REGIME DI POLIZIA, MA NON E' NE' UN TRIONFO NE' UN'' ECCEZIONALITA' IN QUANTO NELLE PRECEDENTI ELEZIONI, DAL 2002 AD OGGI – TRANNE QUELLE DEL 7 GIUGNO 2015 - L'AKP AVEVA SEMPRE OTTENUTO LA MAGGIORANZA ASSOLUTA, ADDIRITTURA NEL 2011 IL 49,9% , MENTRE ORA IL 49,3%.
NONOSTANTE LA PERDITA DI 1 MILIONE DI VOTI, L'AUTENTICO VINCITORE DI QUESTA DRAMMATICHE ELEZIONI RESTA L'HDP , CHE CON 59 DEPUTATI DIVENTA IL 3° PARTITO TURCO.SEGNO DI UN RADICAMENTO CHE SUPERANDO I CONFINI DEL SUD EST SI ALLARGA AL TESSUTO URBANO DELLA TURCHIA E DI UNA VOLONTA' DI CAMBIAMENTO CHE NON E' VENUTA MENO , IN UNA CONDIZIONE AL LIMITE DELLA SOPRAVVIVENZA, ESASPERATA DALLE STRAGI, DALLO STATO DI ASSEDIO, DAGLI ARRESTI , DALLO SCIOVINISMO ANTICURDO.
IN UNO SCENARIO MEDIORIENTALE DOMINATO DALLE ARMATE DI MEZZO MONDO, SCESE IN CAMPO PER UNA NUOVA SPARTIZIONE DI RISORSE E TERRITORI , NON SARA' FACILE PER L'HDP GARANTIRSI L'AGIBILITA' POLITICA CONQUISTANDO DIRITTI NEGATI AL POPOLO CURDO, ALLE ALTRE MINORANZE, ALL'INSIEME DELLA SINISTRA ALTERNATIVA.
NON SARA' FACILE INPEDIRE AL TERRORISTA ERDOGAN DI DIVENTARE DITTATORE CON IL VOTO E DI PROMUOVERE PASSI SOSTANZIALI PER LA TRASFORMAZIONE DEMOCRATICA DELLA TURCHIA.
NON SARA' FACILE PER LA RESISTENZA CURDA FAR VALERE DIRITTI UNIVERSALI E L'AUTODETERMINAZIONE CONSOLIDATA DELLA ROJAVA : I LORO RAPPRESENTANTI DEVONO SEDERE AL TAVOLO DELLA CONFERENZA DI VIENNA SUL DESTINO DELLA SIRIA.
IN QUESTE DIFFICOLTA' CRESCENTI IL POPOLO E LA RESISTENZA CURDA SANNO DI POTER CONTARE SULLA SOLITARIETA' DAL BASSO , ESPRESSA ANCHE NELLE ELEZIONI TURCHE CON MIGLIAIA DI “ OSSERVATORI INTERNAZIONALI” E CHE CONTINUA A PRODIGARSI PER LA RICOSTRUZIONE DI KOBANE E PER ALTRI PROGETTI SOCIALI.
VITA , TERRA , LIBERTA' , PER IL POPOLO CURDO
LIBERTA' PER OCALAN E I PRIGIONIERI POLITICI
SOLIDARIETA' CON TUTTI I POPOLO OPPRESSI
ROMA 2 novembre 2015 CONFEDERAZIONE COBAS
DI SEGUITO I MEDIA SULLE ELEZIONI TURCHE
Repubblica;
Selahattin Demirta, leader del partito filo-curdo Hdp, che Recep Tayyip Erdogan non è riuscito a cancellare e che tornerà in Parlamento, anche se con meno voti del 7 giugno scorso, rivendica l'affermazione nonostante tutto fosse contro di loro. Avendo superato di poco la soglia del 10%, contro il 13% raccolto 5 mesi fa, Demisrtas ha ribadito che " questa non è stata un'elezione corretta, non abbiamo potuto fare campagna perché dovevamo proteggere la nostra gente da un massacro. Ma è ancora una grande vittoria. Abbiamo perso un milione di voti ma dobbiamo tenere testa a questa politica di massacro e fascismo". L'obiettivo ora "è una nuova costituzione e (la ripresa) di un processo di pace", interrotto da Erdogan poco prima delle elezioni dello scorso giugno((
L’HDP riesce di nuovo a entrare in parlamento con 59 deputati tra cui 24 donne / UIKI
Oggi in Turchia si sono svolte nuove elezioni per il parlamento turco. Dopo che alla elezioni del 7 giugno 2015 l’AKP del presidente Erdoğan ha perso la maggioranza assoluta e al partito progressista HDP è riuscito l’ingresso in parlamento, Erdoğan ha fatto lasciato fallire le trattative per la formazione di una coalizione e ha indetto nuove elezioni.
Perché il sogno del sistema presidenziale con poteri illimitati per la sua persona era fallito. Ha interrotto prontamente trattative con la parte curda per una soluzione politica della questione curda, le ha persino negate e ha dichiarato guerra alle forze democratiche e progressiste. Ondate di arresti, destituzioni di politici/sindaci democraticamente eletti, attacchi militari, attentati dinamitardi contro la propria popolazione civile – abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’attentato di Ankara – quindi hanno formato l’immagine della Turchia.
Le nuove elezioni non sembravano portare una svolta. Anche il giorno delle votazioni è stato segnato dalle più forti repressioni nei confronti della popolazione civile che voleva esercitare il proprio diritto di voto. Componenti del parlamento europeo dalle loro osservazioni hanno tratto la sintesi che „la democrazia non esiste “.
In base ai primi calcoli l’AKP continua a essere la maggiore forza in Turchia e potrà governare il paese da solo. Con la sua polarizzazione verso destra sembra aver sottratto voti soprattutto al partito nazional-fascista MHP. L’HDP invece nonostante la repressione ha di nuovo superato la soglia del 10% e è entrato in parlamento. Attualmente è l’unica forza in Turchia che ha dichiarato che la pace e la democrazia sono le sue più alte priorità.
Nella regione del Medio Oriente segnata da diversi conflitti con il risultato elettorale in Turchia si delinea un’escalation. La regione ha un dittatore in più, IS continuerà a ottenere rifornimenti militari, logistici e di personale attraverso la Turchia – l’ingresso della Turchia nella coalizione anti-IS è pura cartastraccia –, gli attacchi militari contro il PKK, il più importante attore nella lotta contro IS si acuiranno, i pericoli per le conquiste per la democratizzazione della Siria a partire dalla regione del Rojava si potenzieranno e i flussi di profughi non avranno fine.
La regione ha invece bisogno di una de-escalation e di pacificazione. Ora quindi si tratta di rafforzare il sostegno delle forze progressiste come l’HDP e di investire ogni energia e forza nella lotta per la democrazia e la pace.KURDAKAD
‘YSK ha annunciato i risultati prima della consegna dei documenti elettorali’
Il responsabile dell’elaborazione dati dell’HDP Haluk Ağabeyoğlu ha detto che la Turchia con le elezioni del 1 novembre ha assistito alla più grande frode della storia.
Parlando con l’ANF, Ağabeyoğlu ha detto che la Suprema Commissione Elettorale Turca (YSK) ha annunciato il risultato delle elezioni alla Centro di Consolidamento della Commissione Elettorale provinciale prima della consegna dei documenti elettorali in molte regioni di Istanbul. Ha affermato che in alcuni distretti di Istanbul, la procedura di consolidamento dei rapporti sui risultati sono stati eseguiti nelle scuole anziché nei Centri di Consolidamento della Commissione Elettorale.
‘I VOTI SONO STATI COMPILATI NELLE SCUOLE INVECE CHE NELLE COMMISSIONI ELETTORALI
Haluk Ağabeyoğlu ha ricordato la procedura normale dicendo; “Le persone possono votare fino alle 17:00, dopodiché le elezioni sono concluse e vengono contati i voti. I documenti elettorali poi vengono messi in dei sacchi e portati alla rispettiva commissione elettorale distrettuale insieme ai rapporti sui risultati. Secondo la legge, voti e rapporto vengono compilati presso la commissione elettorale distrettuale prima di essere portati alla YSK. Tuttavia la YSK ha annunciato il risultato per molte regioni di Istanbul prima del trasferimento dei documenti elettorali alla commissione distrettuale. In alcuni distretti come Beşiktaş, i rapporti sui risultati sono stati consolidati nelle scuole e sottoposti alla YSK senza essere consegnati alla commissione elettorale distrettuale. Questo è illegale.”
‘NON UN ERRORE, MA UNA FRODE’
Ağabeyoğlu ha richiamato l’attenzione anche su semplici frodi elettorali attraverso l’alterazione dei numeri dei voti contati, ad esempio scrivendo 3 invece di 30 o vice versa, che –ha detto- hanno causato un’enorme differenza tra i voti che loro hanno contato e quelli dichiarati dalla YSK.
Ağabeyoğlu ha descritto questa differenza non come un errore, ma piuttosto come una frode, sottolineando che le elezioni odierne hanno visto la più grande frode in tutta la storia della Turchia. Ha aggiunto che avvocati hanno sollevato obiezioni rispetto al risultato in molte zone.
Turchia, perché Erdogan ha stravinto il voto della paura
Perché Erdogan ha stravinto? Questo è il voto della paura, si era detto alla vigilia: la paura seminata da attentati terroristici senza precedenti nella storia della Turchia, come quello del 10 ottobre ad Ankara con oltre 100 morti, ma anche i timori per l’affermazione del movimento curdo che aspira all’autonomia di una parte tormentata del Paese già in conflitto, ai confini bollenti di una Siria in disgregazione da dove arrivano ogni giorno senza sosta migliaia di profughi: oltre 2 milioni solo in Turchia. Ha fatto leva sulla paura diffusa di vedere la destabilizzazione contagiare anche la repubblica fondata da Kemal Ataturk che attanaglia non soltanto i sostenitori del partito islamico Akp ma i turchi in generale.
Ha fatto credere, a torto o a ragione, che la Turchia versa in stato di emergenza, che è sotto attacco: dentro da parte delle strutture “parallele” dell’ex amico l’Imam Fetullah Gulen e della guerriglia curda del Pkk: fuori dalla minaccia che si possa creare ai suoi confini uno stato curdo sulle macerie della Siria, che lui stesso ha destabilizzato facendo passare migliaia di jihadisti anti-regime, compresi quelli che si sono poi arruolati con il Califfato.
Erdogan ha saputo sfruttare queste paure indicando la sua ricetta: un uomo solo al comando e un partito solo al governo per evitare coalizioni, esecutivi deboli e inefficaci. La democrazia turca è ancora troppo giovane per non cedere alle scorciatoie proposte dall’uomo forte. Abile quindi a spaccare il Paese su fronti contrapposti ma anche a intimidire gli avversari e a riunificarlo sotto l’egida di un raìs dai tratti sempre più mediorientali e sempre meno europei, come dimostrano gli attacchi proditori alla stampa d’opposizione.
Non è stato l’Islam la chiave dalla sua vittoria ma puntare sul nazionalismo, sulla difesa della Turchia: per questo ha drenato voti alla destra dell’Mhp e dei Lupi Grigi, puniti anche dal fatto di avere respinto, dopo le elezioni del 7 giugno scorso, il programma di una colazione con l’Akp del premier Ahmet Davutoglu. Ma perde velocità e consensi anche l’Hdp dell’astro nascente Salahettin Demirtas: il suo messaggio per una democrazia inclusiva e progressista questa volta non è andato oltre l’Anatolia del Sud Est. Mentre al partito repubblicano Chp resta il ruolo di eterno secondo: ha una leadership assai poco carismatica e un programma politico che non esce dai confini del settore laico e kemalista.
Ma tutto questo non basta a spiegare perché è ancora lui il “Sultano”. Recep Tayyp Erdogan, 61 anni, è di Kasimpasa, un quartiere popolare di Istanbul, dove da giovane per mantenersi vende ciambelle e limonate, giocando ala destra tra i semiprofessionisti fino alla laurea in economia e commercio. Ma allora era già entrato nel movimento nazionalista religioso di Necmettin Erbakan che poi da primo ministro verrà esautorato da un “golpe bianco” dei generali. Nel ‘94 diventa sindaco di Istanbul, quattro anni dopo è incarcerato per incitamento all’odio religioso ma nel 2002 consuma la sua prima rivincita aggiudicandosi le elezioni politiche che l’Akp, evoluzione moderata del partito islamico Refah di Erbakan: dominerà per 13 anni con l maggioranza assoluta. I laici lo temono, l’Europa esita ad accettare le richieste di Ankara di aderire all’Unione: ma Erdogan innesca la maggiore ascesa economica e sociale di un Paese musulmano senza petrolio e gas.
Nell’ascesa economica di questa Turchia _ che per altro si è notevolmente affievolita _ c’è anche la chiave sociale del suo successo politico. Erdogan, che nel 2014 diventa anche il primo presidente eletto nella storia repubblica turca con voto popolare diretto, è stato colui che ha rappresentato meglio di chiunque altro l’affermazione della media e piccola borghesia conservatrice musulmana dell’Anatolia, di quella gran parte del Paese per decenni esclusa dai kemalisti dalle stanze del potere. Difficile per questa Turchia popolare, trasformata dall’Akp in nuovi ceti affluenti, voltargli le spalle. Nonostante la crisi, il deprezzamento della lira, l’inflazione, Erdogan rimane il simbolo di una sorta di peronismo all’islamica, qui chiamato “Erdoganismo”, che fa ancora presa sulla maggioranza dei turchi che votano.
Può non piacere ma la vittoria di Erdogan fa comodo anche agli Stati Uniti, all’Europa, alla Nato, che non lo amano ma si chiedono anche loro timorosi non meno dei turchi: qual è l’alternativa in un Medio Oriente disgregato e di fronte a ondate di rifugiati? Ed ecco la risposta: un Raìs ancora più potente sul Bosforo a fare la guardia alle nostre paure.
di Alberto Negri
Ilsole24ore
Il Sultano riprende la sua corsa: riforma presidenziale e via Assad
Bagno di folla nei quartieri dei Fratelli musulmani: “Governerà per sempre”. Ora punta ad attribuirsi nuovi poteri e a un ruolo guida in Siria: senza il raiss
02/11/2015
maurizio molinari/ la Stampa
Turbanti rossi a Piyalepasa, grida di «Allah hu-Akbar» a Saffiet Cebi e 5 ore di raid no-stop dentro il territorio siriano: è quanto avviene fra il Bosforo e Kilis a descrivere la genesi di una vittoria che proietta Recep Tayyp Erdogan nell’ambizioso ruolo di Sultano del Medio Oriente.
A Piyalepasa c’è il seggio nella scuola dove il presidente turco ha studiato e davanti all’entrata sostano tre uomini barbuti - fra i 24 e i 50 anni - con turbanti biancorossi e lunghe jalabye nere. Si identificano con i Fratelli musulmani, non hanno dubbi sul fatto che Erdogan «governerà per sempre», credono nella «vittoria netta» che più tardi si materializzerà e identificano la «missione» del nuovo governo dell’Akp con «l’intervento in Siria per difendere i musulmani e rovesciare il tiranno Assad». «Erdogan è l’unico che si batte per l’Islam in Siria» afferma uno di loro, esternando un palpabile orgoglio.
ANALISI - Erdogan, interlocutore indispensabile su Siria e profughi (di S.Stefanini)
Se i seguaci dei Fratelli Musulmani vedono nella vittoria nelle urne un orizzonte di guerra quando Erdogan va a votare nel proprio seggio, nella scuola di Saffiet Cebi del distretto asiatico di Kisikli, ad accoglierlo ci sono donne velate che lanciano dolci sulla folla gridando «Allah hu-Akbar», Dio è grande. Le guardie del corpo del presidente distribuiscono piccoli regali ai bambini sulla strada adiacente e quando Erdogan esce dal seggio interpreta così il significato del voto per rinnovare il Parlamento: «È divenuto evidente quanto è importante la stabilità per la nostra nazione». La «stabilità» a cui si riferisce è descritta dalle decisioni che il premier Ahmet Davutoglu ha adottato negli ultimi cinque mesi per rovesciare il risultato elettorale che lo privò della maggioranza assoluta: interventi militari in Siria e Iraq contro curdi e Isis, massicce misure di sicurezza nel Sud-Est per sradicare il Pkk e più richiami all’Islam nella vita pubblica nazionale.
ISLAM E SICUREZZA INTERNA
La sovrapposizione fra una politica interna nel segno dell’Islam e una politica di sicurezza regionale muscolosa è la formula di «stabilità» attorno a cui Erdogan punta a costruire per la Turchia un ruolo di leadership in un Medio Oriente segnato dall’implosione degli Stati arabi. Ecco perché, a meno di 22 ore dall’apertura dei seggi, l’aviazione militare ha compiuto uno dei raid più massicci in Siria: nelle regioni oltreconfine attorno a Kilis i jet di Ankara hanno colpito senza interruzione dalle 9 alle 13 del mattino di sabato bersagliando tanto le postazioni dello Stato Islamico che della guerriglia curda, con un bilancio di almeno «cinquanta terroristi uccisi».
Ad avvalorare l’impressione che Erdogan abbia voluto far capire ai propri nemici in Siria cosa sta per avvenire c’è il fatto che i jet turchi in questa occasione hanno operato d’intesa con «forze turkmene sul terreno» ovvero con milizie etniche espressione diretta degli interessi di Ankara. È uno scenario che vede Erdogan, oramai libero da preoccupazioni politiche domestiche, proiettarsi in due direzioni: sul fronte interno verso la riforma presidenziale destinata ad assegnargli vasti poteri politico-istituzionali e sul fronte esterno verso un maggiore interventismo nelle crisi arabe. Puntando anzitutto a rovesciare Assad in tempi brevi.
IN ROTTA DI COLLISIONE
È la «strategia del Sultano», come qualcuno già la definisce a Washington, che però è portatrice di grattacapi in Occidente. A spiegarlo è Bruce Riedel, ex consigliere d’intelligence del presidente Barack Obama, secondo il quale «il risultato elettorale complica di molto l’impegno della coalizione internazionale perché Erdogan ha puntato su politiche e sentimenti anti-curdi» mentre l’amministrazione Usa ha deciso di armare proprio i guerriglieri curdi siriani per accrescere la pressione militare contro il regime di Assad. Già ai ferri corti con Putin proprio sulla Siria, l’onnipotente Erdogan segue una rotta di collisione anche con gli interessi di Washington. Come si addice ai veri Sultani.
L’EDITORIALE Le colpe europee Turchia, la rimonta di Erdogan e i rischi di un sistema di potere senza contrappesi di Franco Venturini /Corriere Sera
Utilizzando tutti gli strumenti del potere, anche i più spregiudicati, Recep Tayyip Erdogan ce l’ha fatta: nel nuovo Parlamento turco eletto ieri il capo dello Stato avrà la maggioranza assoluta e potrà forse rastrellare i seggi supplementari che gli servono per modificare la Costituzione e varare un presidenzialismo privo di validi contrappesi. Il fondatore del partito islamico Akp ci aveva già provato nello scorso giugno, ma il responso delle urne lo aveva punito privandolo di un primato che resisteva da tredici anni. Cosa è dunque cambiato, cinque mesi dopo, in questa Turchia che smentisce la sua voglia di aria nuova? È cambiato che il regista Erdogan, il «Sultano» Erdogan come lo chiamano i suoi avversari, ha dato libero sfogo alla sua strategia della paura trasformando le elezioni in un referendum. Il voto per il partito del presidente era un voto per la stabilità. Il voto per le opposizioni era un voto per l’insicurezza, per il conflitto permanente. Non per nulla dopo la sconfitta di giugno Erdogan aveva silurato la nascita di un governo di coalizione, aveva ripreso la guerra con i curdi del Pkk, aveva violato la libertà d’informazione e altri diritti civili, aveva assistito dall’alto a una serie di sanguinosi attentati culminati nella strage di Ankara del 10 ottobre dove avevano perso la vita centodue oppositori pacifisti . E nel contempo Erdogan si era schierato contro l’Isis, da buon alleato Nato aveva concesso il libero uso della base aerea di Incirlik agli Usa, era diventato arbitro dei tentativi negoziali sulla Siria. Un leader che recuperava la sua statura internazionale mentre all’interno mostrava pochi scrupoli nello spaventare gli elettori, aveva molte probabilità di vincere. E così è stato. I tormenti della Turchia, beninteso, non finiscono qui. L’opposizione dei laicisti che invocano Kemal Ataturk non sparirà come non sparirà quella dei curdi pacifisti, la guerra con il Pkk continuerà, l’economia in crisi avrà difficoltà a riprendersi, il rispetto dei diritti civili correrà vecchi e nuovi pericoli. Ma per noi europei la posta in gioco non finisce qui. Non è più l’ora delle ipocrisie comunitarie. La verità è che i flussi migratori si stanno rivelando un grimaldello capace di portare l’Unione Europea alla disgregazione sull’altare dei nazionalismi emergenziali o, ancor peggio, etnico-religiosi. E i più destabilizzanti di questi flussi, quelli che seguono la «rotta balcanica» per puntare al cuore del Continente, transitano dalla Turchia. Vengono dalla Siria, dall’Afghanistan e da altre contrade in fiamme. E percorrono la Turchia per poi gettarsi nell’Egeo e tentare di raggiungere le isole greche, territorio della Ue. Chi sopravvive troverà altri ostacoli e tanti muri, ma la chiave che minaccia tutta l’Europa, anche noi italiani che abbiamo a che fare con i flussi dalla Libia, si trova in Turchia. Lì vivono sotto sorveglianza due milioni di profughi, che Ankara può trattenere o incoraggiare a partire. Lì le massime autorità possono rendere più o meno massiccio il passaggio dei nuovi venuti che sognano Berlino o Stoccolma. E di nuovi venuti ce ne sono in abbondanza, soprattutto dalla martoriata regione di Aleppo. Quando Angela Merkel si recò da Erdogan, il 18 ottobre, furono in molti a pensare che con lei era l’Europa intera che andava a Canossa. La realtà è invece che la Cancelliera tedesca, neofita del decisionismo impopolare, dette allora una nuova prova del suo coraggio politico. Mentre alcuni dei suoi compagni di partito aspettano seduti sulle rive della Sprea, lei ha posto con chiarezza a Erdogan le esigenze di una Europa frammentata culturalmente prima ancora che politicamente. E ha ascoltato le contropartite che il «Sultano» ha chiesto: miliardi di aiuti, visti facili, accelerazione del negoziato di adesione alla Ue. Impegni indispensabili per dare tempo all’Europa e al suo terribile 2017 (elezioni tedesche, francesi e referendum britannico). Pensando ai suoi valori, quelli che ancora sopravvivono, l’Europa avrebbe dovuto augurarsi una parziale sconfitta di Erdogan e un governo allargato. Pensando ai suoi malanni, l’Europa che Angela Merkel rappresentò ad Ankara il mese scorso ha segretamente tifato per Erdogan. Per la credibilità delle promesse fatte, per la stabilità del potere. Ora che le urne hanno parlato e che Erdogan ha vinto, non è però il caso di esultare. Perché se abbiamo gran bisogno di un autocrate la colpa è soltanto nostra. ]
Erdogan festeggia il trionfo. Così la Turchia islamica ha sconfitto laici e curdi
l presidente riconquista la maggioranza assoluta dei seggi. L'Hdp entra per un soffio in Parlamento. A guidare i votanti la ricerca della stabilità e l'istinto nazionale in favore della "turchicità"
di BERNARDO VALLI/ Repubblica
ISTANBUL - L'anima islamica, radicata nell'Anatolia emancipata, ha sconfitto l'anima laica arroccata nei grandi centri urbani, Smirne, Istanbul. La nuova Turchia emersa dal mondo rurale grazie al miracolo economico, nel frattempo esaurito, ha sconfitto la Turchia repubblicana. Quella con una vecchia patina kemalista (ereditata da Ataturk), e con quel tocco politicamente aristocratico che distingue chi pensa di rappresentare la storia di fronte ai nuovi arrivati in società. Ai nuovi ricchi. Cosi Recep Tayyip Erdogan ha vinto ieri l'azzardata sfida elettorale lanciata dopo la perdita in giugno della maggioranza assoluta in parlamento. Ieri correva il rischio di naufragare dalla posizione di sultano onnipotente nel ruolo di presidente dimezzato. Invece l'ha spuntata. I suoi parlano di trionfo. Rivincita è un'espressione più appropriata.
Elezioni Turchia, trionfa Erdogan: ha la maggioranza assoluta
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Il suo partito, Giustizia e libertà (Akp) ha sfiorato il 50 per cento dei suffragi, quoziente che assegna almeno 316 seggi, su 550, quasi il numero che consentirebbe di promuovere il referendum necessario per dare alla Costituzione un'impronta presidenzialista, come vorrebbe Erdogan. Ma che consente soprattutto di governare da solo. Senza bisogno di ingombranti alleati, e senza intaccare l'eccezionale potere attribuitosi da Erdogan, violando i limiti istituzionali. Come presidente dovrebbe restare al di sopra delle parti. Non dovrebbe pesare sull'esecutivo. Ma quando quest'ultimo è controllato unicamente dal suo partito i confini stabiliti dalla Costituzione non contano. Erdogan non voleva che riaffiorassero nel caso fosse stato necessario ricorrere a una coalizione. Era il suo incubo.
L'affluenza alle urne ha quasi toccato il 90 per cento, un traguardo forse mai raggiunto in una vera democrazia, ma essa era dovuta più che a una spinta democratica alla durezza dello scontro. Alla voglia di scendere in campo. Per attaccare o difendersi. Poiché l'essenziale è avvenuto nelle urne non si può comunque negare il carattere democratico della sfida. La correttezza dello scrutinio susciterà polemiche, ma stando alla contabilità elettorale delle ultime ore il partito di Erdogan ha guadagnato tre milioni e mezzo di voti rispetto alle elezioni di giugno. Una rimonta sorprendente che lo ha riportato al risultato del 2011 (49,3 quasi uguale al 49, 9 di allora). Almeno due milioni di voti li ha perduti il partito nazionalista, di estrema destra (dei Lupi grigi). E un milione e mezzo sono arrivati a Erdogan dal partito di centro sinistra e filo curdo (Hdp). Cinque mesi fa aveva superato tra la sorpresa generale il dieci per cento necessario per entrare in Parlamento, mentre questa volta l'ha raggiunto per un soffio (10,6) cedendo almeno due punti al partito di governo, l'avversario principale.
Le provocazioni del presidente, che alla vigilia delle elezioni ha sequestrato, anzi si è appropriato di fatto di due giornali dell'opposizione, e ha spento due canali televisivi che lo infastidivano (senza contare gli almeno mille giornalisti licenziati negli ultimi tre anni) non hanno turbato la maggioranza dei votanti. La corsa alle urne era contro o in sostegno di un leader che incarna la nuova Turchia, islamica ma moderna, scaturita dal miracolo economico, e senz'altro fiera di potersi affiancare alla vecchia società laica, senza troppi complessi. Lo scarso comportamento democratico di Erdogan è apparso un elemento trascurabile rispetto alla stabilità del paese. Il trauma dei recenti attentati, la massa dei profughi, più di due milioni, arrivata dalla limitrofa Siria, e il rischio di essere contagiati dalla guerra civile alle porte, hanno probabilmente dissuaso persino molti elettori, persino curdi, dal ridare il voto al Partito democratico dei popoli (Hdp), guidato da un dinamico uomo politico, Selahattin Demirtas.
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