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liberi» per Askapena
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Davide Angelilli
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EDIZIONE DEL10.10.2015
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PUBBLICATO9.10.2015, 23:59
Il 12 ottobre, proprio nella ricorrenza dello sbarco in America di
Colombo, in Spagna è festa nazionale. Come ricorda l’intellettuale
Santiago Alba Rico, il dodici ottobre non rappresenta solamente
l’inizio della Conquista. Fino al 1958, la ricorrenza fu occasione per
celebrare il «Giorno della Razza», più tardi diventato «Giorno della
Ispanità», solamente dal 1987, invece, il nome ufficiale della giornata
è «Festa nazionale di Spagna». Oltre ad essere una provocazione nei
confronti degli indigeni americani, infatti, la data simboleggia la
cacciata dalla penisola iberica degli ebrei e dei moriscos (gruppo
religioso musulmano) e, in generale, la costruzione della Spagna come
nazione e come Impero.
Un progetto che si fonda sull’espansione territoriale, ma anche sulla
soppressione della dissidenza interna, e suppone l’inevitabile
repressione delle comunità nazionali, come la basca e la catalana, che
abitano all’interno dello stesso Stato. La problematica nazionale,
o meglio della sovranità popolare delle comunità nazionali è tuttora
determinante nel vivace panorama politico che si muove nello Stato
spagnolo. In una recente intervista, Arnaldo Otegi (il leader della
sinistra indipendentista basca ancora in carcere) ha giustamente
notato come, a differenza dell’indipendenza scozzese che non
provocherebbe grandi scosse sull’idea di nazione inglese, per lo Stato
spagnolo, il riconoscimento del suo carattere plurinazionale
significherebbe una forte crisi d’identità.
Per questi motivi, e per la potenza semantica del 12 ottobre,
l’organizzazione internazionalista basca Askapena ha deciso di
chiudere la campagna contro la richiesta d’illegalizzazione
presentata dall’Audiencia Nacional. Il tribunale politico speciale
di Madrid accusa la piattaforma internazionalista di aver agito come
braccio internazionale di Eta. Il tentativo di rendere illegale
Askapena e di mettere in carcere cinque suoi militanti –denunciano
invece dall’organizzazione– rappresenta l’ennesimo attacco politico,
strumentalmente portato avanti con un processo giudiziario.
Un’azione repressiva che, sotto la maschera della legalità, nasconde la
volontà di negare al movimento popolare basco i diritti civili
e politici che gli corrispondono.
Allora, in quest’ultimo mese, una kefiah arancione –il simbolo delle
rivendicazioni dei popoli oppressi e il colore che rappresenta la
disobbedienza nell’attuale immaginario politico basco– ha portato la
voce di Askapena in diversi paesi dell’Europa e dell’America Latina.
Lo storico movimento, nato quasi trent’anni fa, ha infatti deciso di
rispondere all’attacco giudiziario con l’iniziativa internazionale
«Herriak Libre» (in italiano, «popoli liberi»). Una campagna che ha
raccolto più di quaranta processi popolari: sentenze di assoluzione
per Askapena e di condanna dello Stato spagnolo, «per la sua
complicità con il colonialismo e con l’attuale sistema
imperialista», per le pesanti responsabilità della drammatica
situazione che vive oggi il Sahara. Il simbolico lancio di una scarpa —
che ricorda quella volata contro il presidente G. W. Bush– ha sigillato
i numerosi processo popolari realizzati da organizzazioni,
associazioni e movimenti solidali in diverse località fuori e dentro
i Paesi Baschi: tra le altre, Caracas, Buenos Aires, Bogotá, fino alla
Val Susa in Italia.
La «marcia dei popoli liberi», con la partecipazione del movimento
per i diritti del Sahara, dei popoli indigeni americani, della sinistra
catalana, raccoglierà tutte queste sentenze, per farne una sola voce
di condanna. Un solo grido di libertà dall’altra faccia dell’impero.
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