è stata ufficializzata ieri la sentenza definitiva del Tribunale Supremo,
che conferma ciò che decise l'Audiencia Nacional alcuni mesi fa, cioè
illegalizzare e sequestrare 107 Herriko Taberne basche, le "taberne del
popolo", spazi sociali, politici e culturali della società basca.
Riproponiamo un articolo de IL MANIFESTO apparso a settembre 2014, proprio
a ridosso della sentenza dell'AN.
Da ieri sono iniziate mobilitazioni in tutta Euskal Herria per denunciare
l'ennesima aggressione repressiva dello stato spagnolo nei confronti della
società basca.
#HerrikoakLibre
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#HerrikoTabernakLibre
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---------------------Vietato parlare basco: chiuse cento “tabernas”
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http://ilmanifesto.info/wordpress/wp-content/uploads/2014/09/06/07storie-2-paesi-baschi-n.jpg>Un
terremoto politico. Un tribunale spagnolo ha ordinato la confisca
di più di cento spazi sociali e culturali baschi: le *“herriko tabernas*
”.
Sul finire del lontano 18° secolo Wilhelm Von Humboldt notava come
i baschi, nonostante le storiche peripezie, avevano conservato «il
vecchio spirito di libertà e indipendenza». Lo studioso, che definì la
lingua il tratto caratteristico più forte di questo popolo, l’intima
connessione con la terra che abita, era però tristemente convinto che
la cultura e la lingua basca fossero destinate a scomparire di lì
a cent’anni. Così non è andata. Ancora oggi chi arriva in qualsiasi comune
di questa montuosa terra può sentire parlare l’euskera in qualche
“*herriko
taberna*”, e non solo. Locali adibiti a bar, queste “taverne popolari”
sono centri d’attività sociali e culturali costituiti da cittadini,
generalmente abitanti del quartiere, che si mettono in comune senza
interessi di lucro e li gestiscono cooperando.
Le numerose “*herriko*” sono via via diventate il punto d’incontro di
tutta la classe lavoratrice basca. Dodici anni fa, nel 2002, l’Audencia
Nacional aprì un processo proprio contro le taverne popolari.
All’epoca il magistrato Baltasar Garzón iniziava un procedimento
contro tutte le strutture sociali e politiche di Eta; e contro
i quadri di Batasuna, considerato dalla magistratura il braccio
politico dell’organizzazione armata. Trentatré persone passavano al
banco degli imputati e si accusavano le “*herriko*” di essere
collegamento e strumento della lotta armata. Il tribunale cominciò
quindi il lavoro d’investigazione e le taverne furono sottoposte
a controlli economici per controllare che i proventi non fossero
destinati a uso illegale. Dal 2003 le taverne popolari sono quindi
controllate economicamente da amministratori giudiziari, onde
evitare che i profitti che vi si generano finanzino Eta.
La sentenza è arrivata solo pochi giorni fa. Il 30 luglio 2014 l’Audencia
Nacional ha condannato venti degli imputati a pene fino ai tre anni di
carcere, tra cui alcuni dei quadri politici storici della sinistra
indipendentista. Inoltre, il tribunale spagnolo ha chiesto la
confisca di 111 tra le “*herriko tabernas*” attive nei Paesi Baschi,
quasi tutte. I giudici hanno fatto proprie le tesi delle forze di
polizia e hanno argomentato che «oltre al servizio finanziario che
prestavano – si legge nelle motivazioni — costituivano una struttura
logistica per lo sviluppo».
Le principali forze politiche della sinistra indipendentista hanno
espresso il loro rammarico per la sentenza. Il coordinatore di
Lokarri – un’organizzazione sociale che lavora per la fine della violenza
armata nei Paesi Baschi – l’ha definita un ostacolo per la pace. Per il
portavoce del partito Sortu è una sentenza politica: «La prova che la
Spagna continua a perseguire le attività politiche e che quando
può, come in questo caso, le reprime fino a incarcerare».
A Bilbao non si parla d’altro. Per tanti, quella che è stata definita «la
maggiore confisca di beni a un movimento politico dai tempi del
franchismo», è un attacco più profondo al movimento, per impedire che
«si realizzi – come scrive l’intellettuale basco Gil San Vicente – la
dinamica che va dal contropotere al potere popolare, passando per
l’autorganizzazione e l’indipendenza socialista». La rapina di una
ricchezza materiale e culturale che serviva, tra l’altro, per mostrare
una tenue immagine di un’altra società possibile. Ogni riferimento
agli sgomberi di centri sociali e autogestiti qui da noi è puramente…