Da: Coordinamentokurdistan
[
mailto:coordinamentokurdistan-bounces@gnumerica.org] Per conto di centro
ARARAT
Inviato: domenica 1 marzo 2015 12:43
A: coordinamentokurdistan@???
Oggetto: [Coordinamentokurdistan] report di compagni napolitani e foto album
Abbiamo preferito le immagini alle parole. Cinque giorni dentro Kobane sono
abbastanza per scegliere un altro punto di vista sul mondo. Quello della
rivoluzione possibile. Questo e il motivo per cui abbiamo paura della
retorica e non riusciamo ad immaginare un testo in grado di contenere tutto
quello che abbiamo vissuto correndo oltre il filo spinato per oltrepassare
quella maledetta frontiera, con luci e fucili dell'esercito turco puntati
alla schiena. Se fosse un altro posto, un qualunque altro posto, quelle
strade piene di macerie, cadaveri e resti umani, sarebbero la cosa più
simile allinferno che si può immaginare sulla terra. E invece la libertà,
così difficile da immaginare realizzata per noi che abbiamo perso il sapore
della conquista, ha trasformato quel disastro in nuove fondamenta. Sola come
durante la guerra, Kobane lentamente si sta rialzando sulle proprie gambe e
giorno dopo giorno raccoglie le migliaia di abitanti che aveva messo al
sicuro a Suruç e che ora sono pronti a ricominciare dove il Daesh li aveva
violentemente interrotti. Non siamo giornalisti. Siamo parte di un progetto
collettivo, Rojava calling, che da mesi supporta e sostiene questa
esperienza. Quello che raccontiamo e un tentativo di restituire la verità
della Rojava anche attraverso latrocità del conflitto. Sappiamo che la
densità e lintensità degli incontri e delle esperienze che abbiamo vissuto
in questi giorni sono state un privilegio che dobbiamo ai fratelli e alle
sorelle che abbiamo lasciato oltre il confine e che ci hanno accompagnato
instante dopo istante. Abbiamo battuto quartiere per quartiere la città
distrutta, addentrandoci tra i passaggi segreti che i combattenti e le
combattenti hanno aperto tra i palazzi per non esporsi mai ai cecchini
dellIsis. Quegli stessi varchi grazie ai quali metro dopo metro i compagni
hanno riconquistato la città. Siamo saliti fino alla cima della collina che
oggi porta il nome di Arin Mirkan sulla quale è stata issata limmensa
bandiera che ha sancito la liberazione. Abbiamo chiacchierato con i
combattenti e le combattenti dello YPG e YPJ di resistenza, pratiche
rivoluzionarie, strategie di smantellamento della mentalità patriarcale,
capitalismo e liberazione. Abbiamo assistito alla prima riunione ufficiale
dei tre cantoni che hanno scelto quel teatro apocalittico per discutere
insieme non solo della ricostruzione di Kobane , ma pure del futuro della
rivoluzione del Rojava. Abbiamo attraversato il cuore di una città senza
moneta, che durante la guerra non ha mai smesso di produrre pane e garantire
sopravvivenza a chi era rimasto in città. Abbiamo lavorato fianco a fianco
ai ragazzi del media center, quei ragazzi che durante la guerra sono rimasti
dentro Kobane per raccontare al mondo quello che accadeva istante dopo
istante. Ma soprattutto di questi giorni non scorderemo mai la ricchezza
delle discussioni politiche fatte al calar della sera davanti a un chai con
alcuni protagonisti di questa rivoluzione di cui abbiamo promesso di
cancellare volti e nomi. Non dobbiamo dimenticare che Kobane, la Rojava, il
confederalismo democratico sono il risultato di un esperimento praticato
negli ultimi decenni da unorganizzazione, il Pkk, che oggi ancora viene
accostata al terrorismo e costretta alla clandestinità. Tutte queste cose
vanno tenute assieme perché kobane non diventi solo una bandiera da
sventolare ma una pratica che mira alla riproducibilità e alla
moltiplicazione. Tutto il mondo e in debito con questa rivoluzione. Kobane,
la sua gente e la sua resistenza sono patrimonio dellumanità.
Eleonora, Egidio, Teo, Valentina , Marta
clicca sul link per vedere il fotoreportage
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