[autorgstudbo] Domani: Pranzo sociale + Spettacolo teatrale:…

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Autore: News AutOrg.anizzazione Stud.entesca BO
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To: autorgstudbo, forum, espress
Oggetto: [autorgstudbo] Domani: Pranzo sociale + Spettacolo teatrale: “Pitbull”
DOMENICA 18 GENNAIO’015 dalle 12,30

@ Vag61 - Spazio libero autogestito in via P.Fabbri 110 - Bo

Pranzo sociale + Spettacolo teatrale: “Pitbull”

- Ore 12,30 Pranzo di autofinanziamento legale

– Ore 15,30 “Pitbull”, rappresentazione a cura del laboratorio di
teatro dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia (testo
e regia di Monica Franzoni e Riccardo Paterlini). ” L’Opg è abitato da
un popolo di combattenti, che hanno ingaggiato una lotta dura con la
vita, che hanno inferto e subito grande sofferenza, ma che alla fine
in tutti i casi hanno avuto la peggio. È così che la domanda di
partenza alla fine dello spettacolo risulta ribaltata: è possibile
reinserire all’interno della cosiddetta società civil un ricoverato
dell’Opg?”.

Link: http://vag61.noblogs.org/post/2015/01/09/pranzo-sociale-spettacolo-teatrale-pitbull/

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Pitbull

Testo e regia: Monica Franzoni e Riccardo Paterlini

È possibile rieducare un Pit Bull? È possibile reinserire all’interno
della cosiddetta società civile un cane che ha vissuto innumerevoli
combattimenti, che ha subito ed inferto inenarrabili violenze? Questo
spettacolo nasce da questa controversa questione, lungamente dibattuta
da etologi ed animalisti. Il Pit, il cane da combattimento per
eccellenza, per essere preparato al ring,
subisce un addestramento infame: “catena e bastone, bastone e catena…”
ai quali si aggiunge un massiccio uso di droghe e di stimolanti. Il
Pit, perché distrugga il suo avversario, è sottoposto ad un processo
di sistematica decostruzione dei limiti e degli argini naturali che
ogni animale, compreso l’uomo, ha inscritti nel dna. La violenza
diviene così una forza che si autoalimenta, che nutre sé stessa,
seguendo una logica distruttiva ed autodistruttiva. Il Pit diviene una
molla, “un fascio di muscoli e nervi pronto a scattare contr’a
chicchessia”.

In scena a porre il pubblico di fronte al problema della rieducazione
del Pit uno scopino della M.O.F.: un lavorante dell’Ospedale
Psichiatrico Giudiziario appassionato di cani. L’eco delle sue parole
riecheggia tra i muri di cemento armato e si riverbera immediatamente
sulla condizione del ricoverato dell’O.p.g., dell’internato del
“manicomio criminale” ingabbiato in un canile dove gli si chiede di
ritrovare l’equilibrio e di ricostruire quei limiti e quegli argini
che egli ha irrimediabilmente perduto. L’O.p.g. è abitato da un popolo
di combattenti, che hanno ingaggiato una lotta dura con la vita, che
hanno inferto e subito grande sofferenza, ma che alla fine in tutti i
casi hanno avuto la peggio.

È così che la domanda di partenza alla fine dello spettacolo risulta
ribaltata: è possibile reinserire all’interno della cosiddetta società
civile un ricoverato dell’O.p.g.?

La risposta è sì.

Rimane però inevaso un ultimo interrogativo che viene consegnato al
pubblico irrisolto: siamo sicuri che il “canile giudiziario” sia il
luogo adatto per favorire questo processo?

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